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« indietro PAUL DE ROUX, Entrevoir, suivi de Le front contre la vitre et de La halte obscure, préface de Guy Goffette, Paris, Poésie / Gallimard 2014, pp. 382, € 9,50.
Animatore culturale (si ricorderà la rivista Traverse da lui fondata nel 1969) e critico d’arte (Fantin-Latour, figures et fleurs,1995; Pissarro, villes et campagnes, 1995, cui si aggiunge il più recente saggio su Ingres), Paul de Roux, artista mediterraneo per provenienza (Nîmes, 1937) e vocazione, è poeta di paesaggio, e, nel senso proprio del termine, impressionista – se non, in taluni casi, pointilliste. Nella prefazione a questa edizione, che riunisce alcune tra le principali raccolte di de Roux, Guy Goffette adotta un registro empatico: si spoglia, in altri termini, dei panni del critico per assumere, a suggello del duraturo sodalizio poetico che li lega, la modalità – come direbbe Roland Barthes – dell’être avec. Tale intenzione è, d’altronde, confermata dal dialogo in versi ch’egli instaura con de Roux. Una felice concomitanza, che è la contemporanea uscita, per la stessa collana, di Tombeau du Capricorne[1], consente di porre queste due testimonianze, insieme poetiche e critiche, su un piano di co-testualità. In «Paul de Roux. Une bibliographie à la dérobée» Goffette, richiamandosi al titolo dell’ultima raccolta di de Roux (À la dérobée, 2005) si appropria infatti di frammenti del suo dettato, mentre il corsivo attesta la presenza, nel discorso d’autore, dell’imprestito («Entrevoir, c’est tout ce qu’il voulait / que les pas restent ouverts au coeur / de l’élégie, et pareil au chat, / le front contre la vitre, épuiser / les nuages»). Ne scaturisce una voce mista attraverso cui è significata una «doppia presenza». «Une double présence» è appunto il titolo che Goffette adotta per la sua prefazione, il quale richiama a sua volta, in chiave antifrastica, il titolo del romanzo di de Roux, Une double absence (Gallimard, 2000). Di de Roux, Goffette pone in risalto la discrezione, l’umiltà, la comunione con gli elementi: cantore della luce e delle chiare acque, egli ama trascorrere il suo miglior tempo a Vaucluse. Scevro, tuttavia, da vagheggiamenti di un’età dell’oro della poesia lirica giacché, come Goffette ricorda citandolo, la sua nostalgia è tutta del presente (p. 10). Presente fondato sul primato di un’erlebnis di cui attestano i quaderni intitolati, appunto, Au jour le jour[2]. D’altronde de Roux è convinto, come Goffette ancora ricorda, che la poesia non esista al di fuori del fenomeno, ossia del poema in cui un astratto desiderio prende vita e forma come l’immagine sotto lo sguardo. Poeta refrattario alle sperimentazioni dalla facile etichetta, Paul de Roux, pur pluripremiato dall’Académie Française (si ricorderanno il Grand Prix de Poésie nel 1986; il Prix Paul Verlaine nel 1999 e il Prix Théophile Gautier nel 2003) resta un autore marginale nel panorama contemporaneo, che si identifica spesso con le vagues sperimentali parigine. Il tropismo mediterraneo, il lirismo trattenuto, il registro tenue, la voce limpida e fluida di un cantabile sottovoce («crier me dégoûte», confessa in Le matin frémit…, p. 75) lo tengono a debita distanza dall’aggressività meccanicista e macchinista di certe poetiche metropolitane le quali, espulsa programmaticamente la vita dalle forme, significano, attraverso la discontinuità, il rumore e il frantume, l’alienazione e la reificazione. In de Roux, la vita non solo permane nello spazio della parola, ma anzi vi conserva e valorizza tutte le sue prerogative: in primo luogo, nell’adesione ad una ciclicità organica inscritta nel ritmo stagionale (si veda la sezione di Entrevoir: «Paysage en trois saisons», pp. 81-109). In secondo luogo, nel promuovere una visione che è condivisione: contro lo sguardo frontale sull’oggetto che è dominio del guardato, egli rivendica infatti un ‘intravedere’ che è anche un «vedere tra» e un «vedere con». Con la «pauvre lumière» (p. 26), sigla un patto di fedeltà: «Regarde et ne te lasse pas». Fedeltà di cui attesta, per riprendere le parole di Goffette, «la grande fréquence du verbe ‘voir’ et de ses dérivés» (p. 13). In terzo luogo, nel conferire agli elementi una poiesi propria, investendoli di una forza primeva che pare richiamarsi alla tradizione eraclitea; alle sacre nozze tra l’io e la luce si aggiungeranno quelle tra l’acqua e il vento (Le grillon, p. 29). Nel siglare l’unità primordiale di soffio e di luce (piuma-pneuma) di ascendenza neoplatonica, Paul de Roux ripropone l’immagine barocca degli uccelli luminosi, come punto di contatto tra la terra e il cielo: «des cris d’oiseaux émiettent la lumière» (p. 8). Parimenti, le nubi sono «souffles épars» che segnano il cammino (Nuée, p. 21). Centrale è infatti il tema ‘aereo’ e, se vogliamo, mercuriale, della fuga e del passaggio (Le fugitif; Passage, pp. 22 23), di cui talvolta si fa portatrice l’acqua che scorre; ma la mano, come l’inquadratura dell’immagine offerta da una finestra o come la cornice di un quadro, assicura una presa sul mondo: prensione del reale da parte dei sensi che è principio d’ogni comprensione se non di umanizzazione delle cose (L’amitié des murs, p. 26; Les tuiles, p. 33) o delle creature viventi (Le figuier, p. 38; Les ronces, p. 54; Stèle pour un corbeau, p. 105). La vena creaturale, sorta di pietas cristiana di de Roux, riconosce nel celebre abbraccio di un cavallo da parte di Nietzsche un gesto esemplare: l’«impossible personne» quale noi tutti siamo, s’inchina di fronte ad una «brave bête» (Nietzsche, un cheval, p. 151) Ed è proprio a questo testo che si richiamerà Goffette nel secondo componimento di «Ô caravelles», dedicato a Paul de Roux: Vieux et perdu comme un cheval[3].
Spesso de Roux si trova, come Goffette, in sintonia con una certa vena verlainiana (On voit la pluie qui tombe…, p. 48; Pluie, p. 59); la perplessità, lo stupore di fronte a presenze sfuggenti dà luogo talvolta a ripiegamento elegiaco, talaltra a ironico sorriso. La candida e scanzonata levità, che fu anche di Prévert, rivive, ad esempio, nello sguardo posato su nature morte, di cui si coglie l’ostinato consistere in postura di scena (Potiron sec décoré par un peintre naïf, p. 24). De Roux registra con divertito sarcasmo l’umiltà e l’obbedienza servile delle cose alla loro destinazione allorché l’uomo segue ad interrogarsi intorno a improbabili teleologie: «Cette chaise fait son métier de chaise / la table aussi, et le bocal posé dessus / les murs font leur métier de mur […] / Mais quel est le métier des hommes / dites moi, ô chers serruriers?» (p. 25). Il mistero del tempo, infatti, stride come un «bruit de tuyauterie» o di «vieille machinerie brinquebalante: la bousculant, où tomberaiton?» (Le temps, p. 58).
(Michela Landi)
[1] G. Goffette, Tombeau du Capricorne, in Un manteau de fortune, suivi de L’adieu aux lisières et de Tombeau du Capricorne. Préface de Jacques Réda, Paris, Poésie / Gallimard 2014, pp. 275-89, scil., p. 277. [2] Segnaliamo la recentissima uscita, presso la stessa collana, di Au jour le jour 5 (Carnets 2000-2005), avant-propos de G. Ortlieb, 2014. [3] G. Goffette, Ô caravelles, II, Vieux et perdu comme un cheval (Un manteau de fortune), in G. Goffette, Un manteau de fortune, suivi de L’adieu aux lisières et de Tombeau du capricorne, Paris, Poésie / Gallimard 2014, p. 20. ¬ top of page |
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