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« indietro GUIDO MATTIA GALLERANI, Falsa partenza, Borgomanero, Giuliano Ladolfi Editore 2014, pp. 52, € 10,00.
Nel linguaggio sportivo, ‘falsa partenza’ indica un’infrazione compiuta da un atleta, che, anticipando il segnale del giudice di gara, parte prima degli altri e per tale motivo incorre nell’immediata squalifica. La Falsa partenza di Guido Mattia Gallerani raccoglie, con sottile ironia paratestuale, il disincanto della sconfitta, «l’urgenza / irresistibile del corridore / di scattare primo al via», traducendola in una programmatica dichiarazione di non esistenza: «Io sono quello che volete che sia / e non per niente nessuno mai / sospetta del mio accento. // […] Perché io non esisto se non inseguito / da un vostro evento». Posta alle soglie del testo, Prefatto si presenta quale pre-fatio all’intera silloge e ne anticipa lo sviluppo narrativo e conoscitivo: «orma la vostra riempie / e da scalzo, nudo mi infilo, / m’adatto al vostro nuovo vestito». Alla condizione liminare del testo corrisponde la precarietà del soggetto poetico che Gallerani cercherà di recuperare attraverso un viaggio che si snoda lungo le quattro sezioni della raccolta. Falsa partenza è un macrotesto sapientemente costruito, all’interno del quale agiscono due voci: l’io-autore, che compare in Prefatto e Fossi, e l’io personaggio, che si muove nei non-luoghi ‘parentetici’ della vita. Tra parentesi sono infatti i titoli di sezione e la temporalità semantica delle parentesi permette all’autore di indagare lo spazio dell’io attraverso una serie di luoghi potenziali (natura), di esperienze amorose («il terzo genere»), di immagini demitizzate (poesia, letteratura e vita) e attraverso la precarietà dell’esistenza. Gallerani attua così una progressiva sospensione delle coordinate spazio-temporali del-mondo-della-vita in quattro tempi. Nella prima sezione (Lontananza del bosco), Gallerani trova nella natura un iniziale termine di confronto, in un contesto per cui, ad accogliere il poeta in uno spazio che resiste all’«occidentalità moderna del capitale», sono gli animali del bosco (talpa, tasso, castoro, procione, orso) – veri e propri positivi portatori di un’alterità che potrebbe salvaguardare l’identità del soggetto. Ed è solo con la poesia che Gallerani riesce ad aderire al ritmo della natura e a «spostarsi in controsenso» tra i «cerchi consecutivi» e le «increspature», nati dall’incontro tra l’io e la natura. In (Terzo genere), l’epifania è bruscamente interrotta dal «canto lontano […] / in cui per la mia fame di te / e di me si fa sbrano». La «macabra dolcezza» dell’amore non vale gli «animali» del sottobosco, mentre le donne della città «vagano come essenze del sottovuoto» e «aprono all’agitazione del ricordo», dominato dal «fuoco spento» dell’amore. In (Annunci da riviste letterarie), Gallerani riprende il tema dell’occidentalità moderna del capitale, per aggredire amaramente la cultura accademica (e non) italiana ed europea, ridotta «all’acchiappa-fantasma del presente». E così accade nell’ultima sezione, (Post-1980), dove lo statuto universale dell’arte è ricondotto a quello individuale dell’io, vittima dell’umana in differenza («Tutti i nostri visi si corrispondevano / in un’immagine comune: / per voi non c’era differenza di persone»). La presa di coscienza dell’«olimpionica / falsa partenza», che ha trasformato la voce che dice io nella domanda «Qual è il tuo nome?», riannoda piano della narrazione e quello dell’autore nella poesia Fossi. In questo ultimo atto, alla squalifica dell’io Gallerani contrappone le «profondità / dell’indice sul foglio / il solco» della matita, la poesia, il «solo colpo» che egli può attuare nei confronti della vita, in quel «viaggio già interrotto» che può essere descritto «solo» attraverso «l’inchiostro».
(Alberto Comparini)
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