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« indietro CARMEN GALLO, Tecniche di nascondimento per adulti, Trieste, Svevo, 2024, pp. 90, euro 15.
Dopo Paura degli occhi (2014), Appartamenti o stanze (2017, recensito su queste pagine da Bernardo De Luca: cfr. «Semicerchio» LVI, 2017/1) e Le fuggitive (2020), Carmen Gallo torna alla scrittura creativa con un brillante manuale di sparizione, o asparizione, per dirla con l’ultimo Caproni. «Questo libro è uno sfogo, un promemoria, un inventario, un diario e una cronaca», osserva l’autrice: vale a dire, è un testo polimorfo e inafferrabile, ciò che dimostra di quante potenzialità ancora disponga la letteratura italiana quando attinge a una dimensione internazionale di invenzione, ibrida e felicemente disconnessa dalle convenzioni di rito e maniera. Forte anche di una raffinata veste editoriale, la stessa apprezzabile in ogni titolo della “Biblioteca di Letteratura Inutile”, Tecniche è un iconotesto che alterna o mischia fotografie e brani di prosa poetica, secondo un modello fortunato di questi anni, solo che si pensi, per limitarsi a due nomi di punta del panorama estero, ad Anne Carson o a Suzanne Doppelt. Un’opera a più livelli, costruita per geometrie variabili e moltiplicazione delle possibilità combinatorie che le interazioni parola-immagine attivano. Notevole in tal senso mi pare la scelta di eludere, a testo, l'autoreferenzialità, laddove i ritratti dell’autrice, di ieri e di oggi, con soggetto isolato o duplicato in specularità gemellare, ricorrono sovente, sia pure per scorci, alonature, tagli sghembi. Il risultato è un quid pro quo verbovisivo allestito per disseminare plurime opzioni di senso. Contano qui, credo, anche le competenze letterarie di Gallo, fine studiosa di poesia metafisica Sei e primo-novecentesca, ossia del più formidabile apparato di asparizioni escogitato dalla cultura occidentale. Se la vita è disintegrazione ed entropia, l’escapista gioca d’anticipo, (si) manca in modo attivo e non per inaggirabile volere del fato. Nascondimento è azione più che cancellazione, e scegliere di farsi fuori – fuori inquadratura, fuori fuoco, fuori ruolo e fuori genere – è un gesto col segno del più, inversione del fare a meno, presto o tardi, di noi, da parte del mondo. Questa possibile lettura per così dire esistenziale se non escatologica di Tecniche non deve però far pensare a uno scritto serioso e gravemente meditativo: sì, la pronuncia è scarna, essenziale, ma mai distante o fredda, piuttosto venata di un umorismo sottile e pensoso di marca britannica (diciamo swiftiano-carrolliana), con qualche sfumatura di malinconia partenopea. Vi si riconosce all’opera un’intelligenza algebrica, e retoricamente asciutta – sintassi semplice, lessico quotidiano, tono pratico-illustrativo – ma gocciante umori e sottintesi, capace di suscitare nella mente di chi legge ambigui sorrisi in dissolvenza da gatto del Cheshire. L’attrito tra esibita semplicità e vertigine degli impliciti si manifesta soprattutto attraverso l’ingranaggio che accoppia/disaccoppia parola e immagine. Gallo sa divertire collegando scatto fotografico e testo d’accompagnamento – di fatto, brevi sintagmi prelevati dal flusso discorsivo – con scale di Penrose, se non di Hogwarts, adibite a unire due luoghi ma con esiti non-funzionali, o funzionali secondo percorsi eccentrici nei quali perdersi è altrettanto facile che trovarsi. Si veda a proposito come, a p. 38, la foto dello schermo quadripartito di una camera di sorveglianza interferisca produttivamente con l’indicazione sottostante: «Essere come tutti, come loro». Forse non è inappropriato istituire un parallelo tra le annotazioni a piè d’immagine di Tecniche e quello che nel teatro shakespeariano si chiama aside, l’‘a parte’ che sta e non sta dentro il piano del discorso, facendo spazio a un ‘senso terzo’, decentrato e mobile. Renitente al dilemma binario e mortifero tra essere e non essere, la scrittrice sceglie di essere altro(ve), giocando a rimpiattino nella tana del Bianconiglio della pagina. Se dovessi dire di cosa parla, Tecniche, direi: della scrittura che si fa, del suo accompagnare, mutando, i vari stadi della vita. Ciò che nella bambina è estroversione, misura del sé con e attraverso gli altri («a metà tra il gioco e il desiderio di essere trovati»), nell'adulta diventa atto di esibito nascondimento, quel celarsi in piena vista chiamato letteratura. Ma non era così, già, per l’Alighieri imboscato nella selva dei segni? Forse l’Inferno non è la proto-guida di un hiker che mette in versi/mette in mostra il suo essere un hider eclissato nelle più fonde latebre, pur sapendosi destinato a riveder le stelle? Le fotografie e le parole di Gallo fanno pensare a una soggettività che si studia, e studia la realtà circostante, per esercitare il proprio diritto a deviare, a mettere almeno per un po’ tra parentesi gli obblighi e i piccoli e grandi disagi dovuti al nostro essere animali sociali in un’era di estinzione del noi e vetrinizzazione del sé. «Ciò che importa è non dimenticare mai che ci si nasconde per poter essere vivi o liberi o felici (e non sono la stessa cosa), nel medio o lungo termine». Non meno spaesate di cinque anni fa, le fuggitive d’oggi sanno bene quanto sia inutile vagheggiare segreti posti delle fragole, improbabili romitaggi, Eden schermati o bunker inespugnabili. Confinarsi in soffitta, diventare gigantesche blatte, o talpe, non conviene: ha costi psichici troppo alti. Alienarsi del tutto dal proprio io significa poi andar ben oltre la fuga: equivale a dissolversi. Non resta loro, perciò, che «gestire bene il desiderio di nascondersi», accettare il peso delle contingenze, sviluppare il fiuto e gli istinti della creatura che si adatta per ingannare, se non la morte, la minaccia che la sovrasta, in vista di una temporanea salvezza. L’arguto, profondo Tecniche di nascondimento per adulti è il melvilliano “I would prefer not to” di Carmen Gallo – il suo cortese, attenuato, ma fermo, modo di affermare ciò che proprio non è, ciò che per certo sa di non volere. ¬ top of page |
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