BRIGHTON RETURN
A few days off for some fool conference,
and now you drag your hangover round what remains
of the place you wasted five of your best years in –
getting stoned on grass, going out and getting beers in
and getting up to start again at three
and getting off in bedsits, and not getting AIDS –
recalling last night’s ‘think tank’, and the nonsense
talked by G–, and how everyone seemed sober
except for you. The pale sun of late October
warms the stuccoed crescents, red-brick lanes,
shutters of Refreshment Rooms, boarded-up arcades,
and you remember how it was you found each other
in this past-its-best, out-of-season seaside town:
South London boys both mad to make your mark,
as hungry, fierce and hampered as the shark
in the sea-front aquarium, twitching for the sea.
You shared its rooming houses and its thousand pubs;
to you he was the chosen one, the brother
you’d never had, and you grew inseparable here,
among the swells of salt, wet rot, stale beer,
walking into wind and fine rain that would drown
the words you threw away like twice-smoked stubs.
Now he’s dead, you scan the all-absolving waters
as, once, you watched a speck far out, beyond the pier,
grow larger, more like him each time it rose and dipped
(always so far removed, so clenched and clipped)
when he swam back in towards you, waiting: he,
so like and unlike you – why should he have drawn
the short straw? Why should he – a wife, a son, two daughters...
while you... Gull-cries and a sudden rasp
of chains, your own life slipping from your grasp –
at the Mini-Golf you watch a golf-ball disappear
into the gulf below your feet, below the little lawn,
and shiver. Go on, past the wrought-iron terraces
of the prom, the storm-lashed, ocean-liner blocks,
blistered beach-huts, silent funfair, Family World’s
deserted paddling-pool – to the place that claimed your
girl’s
unhappiness and yours: a ‘clifftop eyrie’ –
a bay window, a patched and paper-peeling double room
where the gas fire sighed all winter at your carelessness,
the kitchen where you stirred hot drinks to nurse
her colds, her aches and pains, her ‘curse’;
past the wind-battered, sea-blue-painted box
(Lifeguard, First Aid) to the cliff-walk, ‘The Coombe’,
that sandy, scrubby, gorse-dotted bit of ground
where you got her to agree the thing had died
and she ran off in the rain to cry. Rigging whines
and rattles in the yacht marina where you wrote those lines,
‘through wood and weeds, washed up’ (alliteratively)
‘like bottles, torn shoes and a plastic cup, we walked
without
a word, and parted’; a giant claw dug up the drowned,
gouged up the sea-floor gravel, and you’d wake
with plaster in your hair, survivors of an earthquake,
or wet and raw, sea-creatures on a slab – she cried
to see these too. Back now, to the gulls’ angry shout,
the littered beach, the breakwaters’ ancient callouses;
last light on the grimy swell, the scum-topped surf.
Mast-lines clink in moorings that a salt wind scours.
Remember how you used to stand for hours,
hunched deep in your collar, staring out to sea?
The flag with ‘Lifeguard’ flaps, a swirling tidal wash
slaps the pier’s once pearl-white, rusting palaces;
slate-grey breakers chase the foam-tossed shingle
up the shore. Forty, scalding-eyed and single,
you turn back to the town that was your ‘turf ’.
What now? Refreshments? First Aid? Hours of tosh?
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RITORNO A BRIGHTON
Alcuni giorni di ferie per un convegno idiota,
e ora ti trascini dietro i postumi della sbornia in ciò che
rimane
del posto dove sprecasti cinque dei tuoi anni migliori –
fumando erba, uscendo e comprando birre
e alzandoti per cominciare ancora alle tre
e scopando in topaie, e non beccandoti l’AIDS –
ricordando il ‘raduno’ della scorsa notte, e le fesserie
dette da G–, e come ognuno sembrava lucido
a parte te. Il sole smorto di fine ottobre
scalda le strade stuccate a semicerchio, vicoli di mattoni rossi,
persiane delle Sale Ristorazione, sale giochi coperte di assi,
e ti ricordi come fu che vi trovaste
in questa cittadina di mare scaduta, fuori stagione:
due maschi sudlondinesi entrambi pazzi di farsi conoscere,
affamati, feroci e impacciati come lo squalo
nell’acquario sul lungomare che si dibatte verso il mare.
Divideste le sue camere ammobiliate e i suoi mille locali;
per te lui fu il prescelto, il fratello
che non avevi mai avuto, e diventaste inseparabili qui,
tra gli odori di sale, di muffa, e di birra svaporata,
camminando verso il vento e la pioggia fine che affogava
le parole da voi scartate come cicche due volte fumate.
Adesso è morto, scruti le acque che tutto assolvono
come, una volta, guardavi un punto lontano, oltre il molo,
farsi più grande, più come lui ogni volta che sorgeva e
sprofondava
(sempre così distaccato, così serrato e preciso)
quando ritornava a nuoto verso te che lo aspettavi; lui
così simile e dissimile da te – perché è toccato a lui?
Perché lui – una moglie, un figlio, due figlie...
mentre tu... I gridi dei gabbiani e uno stridore repentino
di catene, la tua stessa vita che dalle mani ti sfugge –
al Mini-Golf guardi una pallina da golf sparire
nel golfo sotto ai tuoi piedi, sotto al praticello,
e rabbrividisci. Avanti, oltre il ferro battutto delle file di
case a schiera
della passeggiata, i massi transatlantici sferzati da tempeste,
cabine piene di vesciche, lunapark silenzioso, la piscina
di Family World deserta – al posto che rivendicava l’infelicità
della tua ragazza e tua: un ‘nido sulla scogliera’ –
un bovindo, una stanza doppia rattoppata e scrostata
dove la stufa a gas sospirò tutto l’inverno per la tua noncuranza,
la cucina dove mescolavi bevande calde per curare
i suoi raffreddori, i suoi malanni, il suo ‘ciclo’;
oltre la scatola flagellata dal vento, dipinta blu-mare
(Guardia Costiera, Pronto Soccorso) al sentiero sulla scogliera, ‘The Coombe’,
quel sabbioso pezzo di terra a macchia cosparso di ginestrone
dove la convincesti che la cosa era morta
e corse via lei a piangere sotto la pioggia. Sartiame geme
e sbatacchia nel porticciolo per panfili dove scrivesti quelle
righe,
‘attraverso il legname e le erbacce, lasciati dal mare’ (allitterativamente)
‘come bottiglie, scarpe lacere e un bicchiere di plastica,
camminammo
in silenzio, e ci lasciammo’: un artiglio gigante dissotterrò
gli annegati,
sradicando la ghiaia del fondale, e vi svegliavate
con intonaco nei capelli, superstiti di un terremoto,
oppure bagnate e crude, creature marine su una lastra –
lei pianse
anche alla loro vista. Di nuovo, il grido furioso dei gabbiani,
la spiaggia insudiciata, gli antichi calli dei frangiflutti;
ultime luci sul mare morto fuligginoso, i frangenti lerci.
Cordame tintinna su ormeggi che un vento salmastro picchia.
Ti ricordi i tempi in cui stavi per ore,
rannicchiato nel tuo bavero, a fissare il mare?
La bandiera ‘Guardia costiera’ sventola, uno sciabordio
vorticoso
si scaraventa contro i palazzi del molo rugginosi, una volta
biancoperla;
frangenti grigioardesia rincorrono i ciottoli ravvolti di spuma
sulla sponda. Quarant’anni, occhi infuocati e scapolo,
ti giri verso la città che era ‘tua’.
E adesso? Al bar? Pronto soccorso? Ore di scemenze?
(Traduzione a cura di John Butcher e Marta Penchini)
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