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ROBERT LOWELL, Collected Poems, New York, Farrar, Straus and Giroux 2003, pp. 1186, $ 45.

 

Si attendeva da molti anni, ed eccolo questo imponente volume nell’elegante veste della Farrar, Straus and Giroux che raccoglie l’opera di uno dei maggiori e più influenti poeti di lingua inglese del secondo Novecento. I curatori – Frank Bidart, allievo ed amico di Lowell, e David Gewanter – presentano il corpus lowelliano così che il libro, oltre ad esserne l’edizione definitiva cui si dovrà d’ora in poi far riferimento, è anche una miniera di dati e spunti critici grazie al rigore filologico, all’accuratezza delle note, a un utilissimo glossario e ad una serie di appendici che presentano materiale inedito o di difficile reperimento. Nel saggio introduttivo Bidart sottolinea opportunamente come la riscrittura, la continua revisione immaginativa di un’idea o di un testo fosse per Lowell un necessario «atto di autocritica » per raggiungere versioni poetiche sempre migliori, almeno al suo orecchio, delle precedenti. Per Lowell, ricorda Bidart, il testo originario continuava a coesistere con le sue riscritture, un ‘fantasma’ da cui lui stesso era incapace di staccarsi. Uno degli obiettivi di quest’edizione è appunto riportare alla luce quei ‘fantasmi’ e offrire al lettore le diverse redazioni di alcuni fra i più noti testi lowelliani. I curatori citano il caso di Beyond the Alps, la cui prima e prolissa stesura pubblicata in rivista nel 1953 è   riprodotta in una delle appendici e può essere messa a confronto con la sua più concisa riscrittura in Life Studies, poi ristampata quasi identica in For the Union Dead ma integrata con la quarta strofe dell’originale, a sua volta testo autonomo in History col titolo Ovid and Caeser’s Daughter. Studi comparati di questo tipo sono possibili in moltissimi casi perché avantesti e varianti significative sono stati accuratamente ricercati nei fondi Lowell degli archivi di Harvard e dell’Università del Texas oltre che nelle riviste in cui alcune poesie apparvero per la prima volta. Più ci si addentra nella lettura delle note, che fra l’altro si avvalgono della migliore critica lowelliana (dagli scritti di Randall Jarrell a quelli di Staples, Mazzaro, Yenser, ecc.) più si apprezza questa edizione ed il gioco intratestuale ci appare inesauribile ed appassionante per comprendere appieno la scrittura di Lowell, la variabilità potenzialmente infinita di ogni sua immagine, la sua ossessione revisionistica in nome di un’ideale eccellenza poetica. Per quanto ampio, si tratta comunque di un apparato selettivo, dettato da un gusto, avverte Bidart, del tutto personale che determina anche una gerarchia estetica fra le varie riscritture. Arbitraria è infatti la scelta di stampare il ciclo di sonetti History del 1973 e tralasciare Notebook (1969-70), da cui esso in parte deriva, sebbene Lowell non lo ritenesse sostitutivo del volume più antico. Suppliscono, anche in questo caso, le note ai testi che attingono perfino dalle bozze corrette dal poeta per evidenziare la sua estenuante ricerca del mot juste per fermare un’immagine. Vero gioiello è la ristampa in appendice di Land of Unlikeness, il libro d’esordio del 1944 che Lowell non volle mai ripubblicare. Delle 21 poesie, 11 furono ripensate e riscritte per il suo secondo volume, Lord Weary’s Castle (1947), ed è ora affascinante poterne ricostruire la genesi. Si metta ad esempio a confronto l’incipit di un celebre testo, Concord, («Ten thousand Fords are idle here in search / Of a tradition...») con la più verbosa redazione del 1944 («Gold idles here in its inventor’s search / For history...») e con quella pubblicata sulla Partisan Review nel 1943 («Ford idles here in his inventor’s search / for history...») per vedere come l’idea di una ricchezza volgare indifferente alle tradizioni su cui si è innestata trovi infine nella concretezza delle «diecimila Ford» un più efficace corrispettivo visivo per trasmettere la dispiegata forza del denaro.

Prima ancora delle poesie, si consiglia di leggere nella settima ed ultima appendice il saggio di Lowell del 1977 After Enjoying Six or Seven Essays on Me a conferma di quella caratteristica della sua pratica poetica, la riscrittura infinita, che a Bidart preme mettere in evidenza. «Ho passato centinaia e centinaia d’ore», scrive Lowell, «a dar forma, ampliare e cambiare lavori senza speranza o difettosi. Rimango disteso sul letto a fissare, cancellare, riscrivere, ricancellare quello che era stato scritto, più volte, per giorni e settimane. Ore divine d’impegno e ozio... intuizione, intelligenza, seguendo il mio orecchio che non sa quello che dice...». Chi non ricorda le molte foto del poeta disteso su un fianco, sul letto, penna in mano e dappertutto fogli sparsi della sua «continuing story», come chiama i suoi trent’anni di scrittura in questo saggio. E per illustrare il suo percorso dai Life Studies in poi, da quell’umanissimo libro che cede all’autobiografia, ci racconta un percorso metrico piuttosto che tematico – dallo stile colloquiale ispiratogli da Flaubert degli ‘studi dal vero’ dove gioca ironicamente con ritmo e metrica a quello più sobrio di For the Union Dead (1964) che recupera un metro regolare senza cadere nel simbolismo barocco e sublime della poesia giovanile; dalle lunghe sequenze di Near the Ocean (1967) alla maniera di Andrew Marvell, alla sterminata raccolta dei quasi sonetti in versi sciolti dei primi anni Settanta, fino al verso libero dell’ultimo libro, Day by Day (1977). Ma questa progressione è più di «una serie di rifiuti», conclude Lowell, d’un ritrarsi «sazio e disgustato da uno stile all’altro». Assai di più infatti. C’è la bellezza e la tragedia della vita di un uomo, la partecipazione sofferta alla storia di un’intera epoca, lo sguardo attento su tutta la tradizione occidentale, i suoi ideali e le loro perversioni. E l’ossessione tecnica non è che un’ulteriore evidenza di un’insaziabile mania di riscrittura, di ricerca d’originalità anche prosodica per raccontare tutto questo.

Si consiglia inoltre una lettura cronologia delle Collected Poems che mette ancor più in evidenza i continui travasi di tematiche in forme diverse, gli aggiustamenti di toni e cambiamenti di stile e metro, i recuperi di versi, immagini, strofe e testi che rispuntano da una pagina all’altra. La stessa pratica dell’imitazione, annunciata fin dalla nota introduttiva a Lord Weary’s Castle, aderisce ad un’idea del far poesia che procede dall’appropriazione alla rielaborazione soggettiva di materiale poetico, inclusa l’eredità culturale. Si parta dunque da Lord Weary’s Castle, scritto da Lowell sullo sfondo del secondo conflitto mondiale, della sua obiezione di coscienza e della temporanea conversione al Cattolicesimo – una denuncia spietata di ogni guerra come perversione dei valori del Cristianesimo che finisce per apparirgli come una pubblica presa di giro. Indimenticabili alcuni versi straordinariamente attuali: «While we live, we live // To snuff the smoke of victims. In the snow / The kitten heaved its hindlegs, as if fouled, / And died. We bent it in a Christmas box / And scattered blazing weeds to scare the crow / Until the snake-tailed sea-winds coughed and howled / For alms outside the church whose double locks / Wait for St. Peter, the distorted key...». Il conflitto fra bene e male ritorna nei monologhi di The Mills of the Kavanaughs (1951) il cui realismo psicologico preannuncia l’abbandono della poesia pubblica e l’avvento dei Life Studies, della poesia cosiddetta ‘confessionale’ sebbene il termine non fosse affatto gradito al poeta (come ben illustra Bidart nella postfazione, anch’essa tesa a correggere imprecisioni critiche con l’affetto del discepolo verso il maestro e l’amico). Quindi lo ritroviamo magistrale interprete della tradizione poetica occidentale nelle bellissime Imitations (1961), giustamente inserite qui come un libro quasi ‘originale’ secondo le indicazioni di Lowell, non una raccolta di traduzioni, come purtroppo è stato talvolta trattato: «Questo libro è in parte autosufficiente e scisso dalle sue fonti, e dovrebbe essere prima letto come una sequenza, una voce che attraversa molte personalità...». Lowell riappare poi poeta civile in For the Union Dead, mentre il composito Near the Ocean, scritto sulla sfondo della guerra del Vietnam e delle lotte per i diritti civili, preannuncia la stagione diaristica, privata e pubblica, dei sonetti di History, For Lizzie and Harriet e The Dolphin, tutti del 1973. Infine l’ultimo capitolo, quello elegiaco di Day by Day.

Siamo grati a questo volume che ci mette sotto gli occhi tutta la grandezza del progetto poetico di Lowell, di una poesia che ha visto avverarsi, a quasi trent’anni dalla morte del suo autore, il pronostico dell’amico poeta e critico Randall Jarrell che nel recensire le prime pubblicazioni di Cal scrisse che «alcune delle migliori poesie degli anni a venire sarebbero state scritte da lui», alcune sarebbero state lette «finché gli uomini ricorderanno l’inglese».

 

[Antonella Francini]


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