« indietro DAVIDE BREGOLA, Da qui verso casa, Roma, Edizioni Interculturali 2002, pp. 155, € 11,00. ARMANDO GNISCI-NORA MOLL, Diaspore europee & Lettere migranti, Roma, Edizioni Interculturali 2002, pp. 218, € 5,00.
Sono i primi due volumi di una nuova collana dovuta all’infaticabile e benemerita iniziativa di Armando Gnisci, l’iniziatore degli studi di letteratura migrante in Italia, e della sua generosa scuola. Incuriosisce anzitutto la raccolta di Bregola, che intervista sui temi della scrittura narrativa undici autori di libri italiani con cittadinanza non italiana, pur giustificando come casuale il criterio della scelta («potevano anche essere ‘scrittori solo italiani’ o ‘scrittori solo uomini’ o ‘scrittori solo di confine’ ecc.»): perché, se un dato emerge dai dialoghi, è proprio l’insofferenza di questi autori (dall’irakeno Tawfik de La straniera, Bompiani 1999, alla statunitense Alice Oxman all’albanese Ron Kubati al brasiliano Julio Cesar Monteiro Martins) per la categoria del ‘migrante’, che ha certamente giovato a costruirne un’immagine e a proporli al grande pubblico, ma rischia di soffocarne la specificità letteraria sotto l’applicazione di categorie socio- emografiche che vengono considerate estranee alla propria scrittura. Tutto sommato, si ha l’impressione che non sia mai stato facile per gli scrittori accettare di buon grado le etichette imposte dall’esterno, come ermetici o neo-avanguardisti o cannibali o splatter, ma se questo aiuta a conoscerli e riconoscerli ben vengano le categorie semplificatrici e bando all’ipocrisia. L’interesse di questi dialoghi è invece, per felice impostazione del curatore, nell’argomento strettamente tecnico: lo stile, la costruzione dell’impianto narrativo, il rapporto con la lingua italiana. E le risposte forniscono spunti molteplici, tavolta banali («parto da un’idea, poi il testo prende vita da sé»), più spesso curiosi («ho letto un libro di De Carlo, Due di due: se è così facile scrivere un romanzo, allora posso farlo anch’io») e talora importanti per comprendere le motivazioni della diffusione di determinati tagli, tecniche, atmosfere, o il fondamento di determinate innovazioni: l’influenza del prosimetro arabo sugli inserti poetici di Tawfik, quella delle sceneggiature poliziesche su Kubati, il minimalismo «necessario» della Oxman in contrapposizione all’italiano «barocco» degli scrittori madrelingua, i motivi folklorici del paese d’origine trasformati in macrometafore del racconto, l’autobiografia- shock di Helga Schneider (autrice di Lasciami andare, madre, Adelphi 2001, dialogo fra una ragazza e la madre volontaria delle SS), le tecniche-scalpello per limare le frasi, la concezione tutta mentale di un romanzo che si comincia a scrivere quando in testa è compiuto, le raffinate strategie di Jarmilla Ockayova (Requiem per tre padri, Baldini & Castoldi 1998) per costruire e disseminare emblemi che inducano il lettore a scoprire le geometrie segrete della storia, i consigli di Christiana de Caldas Brito sul personaggio che crea da sé l’ambiente di cui ha bisogno, le indicazioni di Monteiro Martins sui dialoghi senza commento del narratore, «importati» nell’italiano dall’America, e sull’eccitazione che coglie lo scrittore quando riesce a produrre gradualmente l’atmosfera necessaria alla creazione: un campionario di problemi, soluzioni, tecniche, prospettive, impressioni che Bregola, anch’egli narratore confesso, conclude con una sorta di intervista metodologica a Gnisci sulla linea critica che ispira la collana. Ne emerge una liquidazione dell’universalismo, goethiano e post-, in favore di una concezione della scrittura migrante come punta civile e qualitativa della produzione letteraria mondiale che trova in Soyinka e Gordimer, Brodskij e Walcott, Gao Xingjian e Naipaul le sue conferme più eclatanti, ma anche una chiara coscienza della distinzione severa che è necessario introdurre fra scrittori migranti e migranti che scrivono come forma di testimonianza privata o collettiva: «conosco pochissimi scrittori migranti che siano veri scrittori in Italia e con loro comunico ogni giorno: cresciamo insieme». Ferma restando l’opposizione all’etichetta di «scrittori immigrati », che non si limita a indicare, come potremmo credere, una condizione stanziale rispetto al nomadismo permanente del «migrante», bensì cela – secondo Gnisci – un intento di ghettizzazione razzista (in senso linguistico?). Le stesse opinioni sono espresse in chiusura dell’altro volume, che raccoglie poesie, racconti, microsaggi e testimonianze presentate al primo «Festival europeo degli scrittori migranti» tenuto a Roma nel giugno 2002 con l’apporto di scrittori come Gëzim Hajdari, Jan Koneffke, Barbara Serdakowski, Christiana de Caldas Brito. Qui l’eterogeneità degli autori, dei temi, dei generi e dei livelli richiede uno spoglio molto attento per individuare una guida di lettura, ma tra i saggi possiamo segnalare l’indagine di Carmine Chiellino su La comunità italiana in Germania come laboratorio di identità europea, i Percorsi antologici di Mia Lecomte e l’utile panorama di Maria Cristina Mauceri su La letteratura italiana della migrazione nei curricula universitari europei e nordamericani.
(Francesco Stella)
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