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Last night, I dreamed of America.
It was prom night.
She lay down under the spinning globes
at the makeshift bandstand
in her worn-out dress
and too-high heels,
the gardenia
pinned at her waist
was brown and crumbling into itself.
What’s it worth, she cried,
this land of Pilgrim’s pride?
As much as love, I answered. More.
The globes spun.
I never won anything, I said,
I lost time and lovers, years,
but you, purple mountains,
you amber waves of grain, belong to me
as much as I do to you.
She sighed, the band played,
the skin fell away from her bones.
Then the room went black
and I woke.
I want my life back,
the days of too much clarity,
the nights smelling of rage,
but it’s gone.
If I could shift my body
that is too weak now,
I’d lie face down on this hospital bed,
this icy water called Ohio River.
I’d float past all the sad towns,
past all the dreamers onshore
with their hands out.
I’d hold on, I’d hold,
till the awful heaviness
tore from me,
sank to bottom and stayed.
Then I’d stand up
like Lazarus
and walk home across the water.
THE MOTHER’S TALE
Once when I was young, Juanito,
there was a ballroom in Lima
where Hernan, your father,
danced with another woman
and I cut him across the cheek
with a pocketknife.
Oh, the pitch of music sometimes,
the smoke and rustle of crinoline.
But what things to remember know
on your wedding day.
I pour a kettle of hot water
into the wooden tub where you are sitting.
I was young, free.
But Juanito, how free is a woman?—-
born with Eve’s sin between her legs,
and inside her,
Lucifer sits on a throne of abalone shells,
his staff with the head of John the Baptist
skewered on it.
And in judgment, son, in judgment he says
that women will bear the fruit of the tree
we wished so much to eat
and that fruit will devour us
generation by generation,
so my son,
you must beat Rosita often.
She must know the weight of a man’s hand,
the bruises that are like the wound of Christ.
Her blood that is black at the heart
must flow until it is red and pure as His.
And she must be pregnant always
if not with child
then with the knowledge
that she is alive because of you.
That you can take her life
more easily than she creates it,
that suffering is her inheritance from you
and through you, from Christ,
who walked on his mother’s body
to be the King of Heaven.
REUNIONS WITH A GHOST
The first night God created was too weak;
it fell down on its back,
a woman in a cobalt blue dress.
I was that woman and I didn’t die.
I lived for you,
but you don’t care. You’re drunk again,
turned inward as always.
Nobody has trouble like I do, you tell me,
unzipping your pants
to show me the scar on your thigh,
where the train sliced into you
when you were ten.
You talk about it with wonder and self-contempt,
because you didn’t die
and you think you deserved to.
When I kneel to touch it,
you just stand there
with your eyes closed,
your pants and underwear bunched at you ankles.
I slide my hand up your thigh
to the scar and you shiver
and grab me by the hair.
We kiss, we sink to the floor,
but we never touch it,
we just go on and on tumbling through space
like two bits of stardust that shed no light,
until it’s finished,
our descent, our falling in place.
We sit up. Nothing’s different, nothing.
Is it love, is it friendship
that pins us down,
until we give in,
then rise defeated once more
to reenter the sanctuary of our separate lives?
Sober now, you dress,
then sit watching me
go through the motions of reconstruction—-
reddening cheeks, eyeshadowing eyelids,
sticking bobby pins here and there.
We kiss outside
and you walk off, arm in arm with your demon.
So I’ve come through the ordeal of loving once again,
sane, whole, wise, I think as I watch you,
and when you turn back, I see in your eyes
acceptance, resignation,
certainty that we must collide from time to time.
Yes. Yes, I meant goodbye when I said it.
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DI PIÙ
a James Wright
Ieri notte sognai l’America.
Era una notte di gala.
Stava distesa sotto i globi rotanti
al palco improvvisato della banda
nel suo abito consunto,
e i tacchi troppo alti,
la gardenia
appuntata al petto
era scura e si sbriciolava.
Quanto vale, gridò,
questa terra gloria dei Pellegrini?
Quanto l’amore, risposi. Di più.
I globi ruotavano.
Non ho mai vinto nulla, dissi,
ho perso tempo e amanti, anni,
ma voi, monti purpurei,
voi onde ambrate di grano, mi appartenete
quanto io a voi.
Lei sospirò, la banda suonava,
la pelle le abbandonò le ossa.
Poi la stanza diventò nera
e io mi svegliai.
Rivoglio la mia vita,
i giorni di soverchia chiarezza,
le notti odoranti di rabbia,
ma se n’è andata.
Se potessi spostare il mio corpo
che è troppo debole ora,
mi stenderei a bocconi su questo letto d’ospedale,
quest’acqua gelata chiamata Fiume Ohio.
Scorrerei oltre tutte le città tristi,
oltre tutti i sognatori sulla riva
con le mani tese.
Terrei duro, terrei duro,
finché il peso, finché la terribile pesantezza
non si strappasse da me,
cadesse e rimanesse laggiù in fondo.
Poi mi alzerei
come Lazzaro
e andrei a casa camminando sull’acqua.
da Sin (1986)
IL RACCONTO DELLA MADRE
Una volta, quando ero giovane, Juanito,
c’era una sala da ballo a Lima
dove Hernán, tuo padre,
ballava con un’altra donna
e gli feci un taglio sulla guancia
con un coltello.
O, il tono della musica a volte,
il fumo e il fruscio della crinolina.
Ma cosa mi viene in mente ora
il giorno del tuo matrimonio.
Verso un pentolino d’acqua calda
nella tinozza di legno dove sei seduto.
Ero giovane, libera.
Ma Juanito, una donna quant’è libera? –
Nata col peccato di Eva fra le gambe,
e dentro di sé,
Lucifero siede su un trono di conchiglie,
con la testa di Giovanni Battista infilzata
nel bastone.
E da giudice, figliolo, da giudice dice
che le donne partoriranno il frutto dell’albero
che tanto desiderammo mangiare
e quel frutto ci divorerà
generazione dopo generazione,
perciò, figlio mio,
devi picchiarla spesso Rosita.
Deve conoscere il peso della mano d’un uomo,
i lividi come le ferite di Cristo.
Il suo sangue che è nero al cuore
deve scorrere finché non è rosso e puro come il Suo.
E deve essere sempre pregna
se non d’una creatura
allora della consapevolezza
che è viva grazie a te.
Che tu puoi prenderle la vita
più facilmente di quanto lei la crei,
che sofferenza è l’eredità che avrà da te,
e per tuo tramite, da Cristo,
che camminò sul corpo di sua madre
per essere il Re dei Cieli.
RIUNIONI CON UN FANTASMA
a Jim
La prima notte che Dio creò era troppo debole;
cadde sulla sua schiena,
una donna in abito blu cobalto.
Ero io quella donna e non morii.
Vissi per te,
ma a te che importa. Sei di nuovo ubriaco,
introverso come sempre.
Nessuno è preoccupato come me, mi dici,
aprendo la cerniera dei pantaloni
per mostrarmi la cicatrice sulla coscia,
dove il treno ti fece a fette
quando avevi dieci anni.
Ne parli con stupore e disprezzo di te,
perché non moristi
e pensi che te lo saresti meritato.
Quando m’inginocchio per toccarla,
rimani là in piedi
ad occhi chiusi,
i pantaloni e le mutande ammucchiati alle caviglie.
Faccio scorrere la mano su per la tua coscia
fino alla cicatrice e tremi
e mi afferri per i capelli.
Ci baciamo, cadiamo sul pavimento,
ma senza mai toccarlo,
continuiamo solo a precipitare nello spazio
come due scintille di polvere di stelle che non danno luce,
finché è finito,
la nostra discesa, il nostro ritorno all’ordine.
Ci tiriamo su. Nulla è diverso, nulla.
È l’amore, è l’amicizia
che c’inchioda
finché non ci arrendiamo,
per poi alzarci di nuovo sconfitti
e rientrare nel santuario delle nostre vite separate?
Sobrio ora, ti vesti,
poi ti siedi e mi guardi
ripetere i movimenti della ricostruzione –
il rosso alle labbra, l’ombretto agli occhi,
forcine infilate qua e là.
Fuori ci baciamo
e te ne vai, a braccetto con il tuo demone.
Così ho attraversato ancora una volta il tormento dell’amore,
sano, completo, saggio, penso mentre ti guardo,
e quando ti volti, vedo nei tuoi occhi
accettazione, rassegnazione,
certezza che dobbiamo scontrarci di tanto in tanto.
Sì. Sì, intendevo un arrivederci quando l’ho detto.
da Fate (1991)
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