« indietro PETER WATERHOUSE
Peter Waterhouse è poeta e traduttore poliglotta che vive tra le lingue. Scrive in tedesco, ma anche in inglese. È tra i maggiori nel panorama della letteratura tedesca contemporanea. Nei suoi versi e nei suoi saggi va sviluppando una poetica del transito tra significati e forme concrete. Tra parole e paesaggio, umano e naturale. Lo spazio di trasformazione è il campo di tensioni del continuum: non solo tra oggetti e significati, ma anche tra tempi – strati diversi dell’esperienza della storia, della lingua, del paesaggio. La sua poesia è una archeologia del presente – della lingua e dei luoghi che essa nomina. Del gesto di chi «dice il continuum » fa parte anche il gesto del tradurre. Peter Waterhouse è il traduttore di autori impegnativi e apparentemente ‘intraducibili’ come Andrea Zanzotto, o Gerald Manley Hopkins. Romapoesiafestival 2003 ha ospitato Peter Waterhouse nella rassegna ‘poeti dal mondo’. Peter Waterhouse ha deciso di leggere un testo scritto in inglese, con ‘a fronte’ la traduzione italiana. L’inglese è funzionale alla più ampia possibilità di comprensione da parte del pubblico. Il suo intento era infatti quello di riuscire a comunicare versione originale e traduzione nella loro identità e insieme alterità. Il testo qui presentato è ambientato a Londra, il subtesto corre verso il passato letterario (la Tempesta di Shakespeare è disseminata in citazioni aperte o criptate), il presente è quello della paura, della realtà degli attentati suicidi che minacciano la città a partire dallo scoppio della guerra irakena. Verso il passato corrono anche le operazioni di scavo nei toponimi, risollevati dalla banalità e ritradotti, restituiti alla letteralità. Nomi di luoghi, fermate di metropolitana, di bus, nomi di monumenti. E il fiume, il grande Tamigi, con ponti, rive, isole e docks. I nomi e i luoghi carichi di storia vengono esplorati in cerca di un senso per il presente e per il futuro, in cerca della possibilità di una seconda vita: per chi parla – sopravvissuto come Prospero – e per le parole pronunciate, che pongano fine alla guerra, alla tempesta. La traduzione in questo caso è stata intesa come traslazione. Lo spostamento di una lingua in un altro spazio modifica non solo la lingua ma anche il luogo descritto. La traduzione che Peter Waterhouse mi ha chiesto sposta, traduce il testo da Londra a Roma, non solo dall’inglese all’italiano. Il subtesto cambia: in cerca di un autore canonico della tradizione italiana-latina, in cerca di un topos di tempesta, mi sono imbattuta in Virgilio. I luoghi di Roma rispondono tutti a una ricerca di archeologia dei significati antichi proiettata verso il futuro. Per esempio, la Stazione di St. Elephants and Castles risponde alla traduzione erronea di una antica insegna di taverna, Infante di Castiglia – nel tempo diventata St. Elephants and Castles. Così funziona la lingua: cresce su se stessa creando nuovi luoghi. Dai suoni nascono i luoghi, dai luoghi i suoni, i nomi. Così per tradurre St. Elephants and Castles ho pensato al Monte Testaccio. Mons testae, le teste di coccio degli orci. Di Peter Waterhouse in Italia è pubblicata la raccolta Fiori, Roma, Donzelli 1997.
Camilla Miglio
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