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MASSIMO SANNELLI, Due sequenze, Civitella (AR), Zona, pp. 30, € 3,50; L’esperienza, Trento, La Finestra 2003, pp. 93, 14,00; Antivedere (2002- 2003), Genova, pp. 47, Quaderni di Cantarena 5, Scuola Media Statale V. Centurione, Salita inferiore Castaldi, 5, 16154 (centurione@tin.it), 2003.

 

È artificio, dice Artaud in limine al Teatro e il suo doppio, visto che il mondo è soprattutto affamato, dedicare a cultura e civiltà un pensiero che è quotidianamente occupato soprattutto dalla fame. Urgente sarebbe invece estrarre dalla cultura idee la cui forza sia quella stessa della fame. Dal centro misterioso di noi stessi viene il bisogno di credere al qualche cosa che ci fa vivere. In questo senso «la mistica non è Artaud / Artaud è mistico», come si legge in una poesia di Antivedere (ma è già un’autocitazione): il centro del mistero non ha una chiave, ma è l’opera che porta in sé traccia del mistero e di questa fame. Di tale orizzonte aperto all’irrazionalità come esperienza della creazione poetica e, insieme, al bisogno di azione politica (di teatro, ‘con’ Artaud; o anche, con Amelia Rosselli, perché è forzato alla scrittura chi non trovi per destino o per vocazione, sbocco a una attivitàstrettamente politica) che essa sembra qui sottendere, bisogna tenere conto per avvicinare il dolce stil nuovo di Sannelli cancellando da subito il sospetto di un limite  soprattutto melodico che farebbe di ogni rivisitazione di questa zona della nostra letteratura una discesa nel ventre molle di un immutato poema paradisiaco. Fragranza e friabilità del lessico sono una delle componenti primarie di tutti questi testi. Così come la dulcedo dell’aggettivazione (soave, dolce, tenero, gaio) è accompagnata dalla continua voce benedicente che della Vita Nova recupera soprattutto lo ‘stile della loda’: «...tutta la sezione scritta / benedice quasi: tutta la parte / benedizione è vera» (Sequenza). Cioè affermazione nell’inno. L’apparente rarefazione dei temi (si tratta in realtà di sovraesposizione) si accompagna naturalmente ad una costante messa a fuoco ‘metalinguistica’: «Bisogna scandire che piace / l’ordinata / selezione, sul tema cortese / dell’amore perfetto» (Sequenza). Ma soprattutto la robustezza del disegno strofico e interversale e del ritmo «più mentale e riposato che realmente sillabico » (come si spiega in L’esperienza, ‘diario pedagogico’ nato a ridosso del progetto didattico finanziato dalla Provincia di Genova secondo la formula ‘una scuola adotta un artista, un artista adotta una scuola’), collocano questa poesia in uno ‘spazio metrico’ dove, secondo le parole più in là citate di Amelia Rosselli, innanzitutto «l’idea era logica». In questo senso, Sequenza, ancora più che cartellino con sapore di cultismo (col rinvio quasi esplicito al canto gregoriano ci troviamo anzi in presenza di una forma fortemente implicata nei primi sviluppi del teatro, come umanità del ‘sacro’) o tecnicismo minimalista, è (secondo la tradizione secolare  evocata) il passo musicale della prosa. Sensuale certo, come il colore grasso del pennello del Merisi (Antivedere), ma logica. Poesia musicale ma discorsiva, nella costruzione di una architettura di ‘temi’ (e qui si sente più forte la lezione di Giuliano Mesa), che gettano un ponte su quell’irrazionale (ancora Artaud, esploratore degli estremi limiti, ma più ‘laicamente’ Pasolini) di cui parlavamo, per tradurre questa fame in un’azione di ‘cultura’: «... la città è / verticale e bella: gli arpeggi della cultura / cercano l’alto».

 

Fabio Zinelli


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