« indietro La porta delle lingue, Il ponte del sale, Rovigo, via Orti 32, 45100: n. 1, ANNA MARIA FARABBI, Adlujè, pp. 110, 12,00; n. 2, MARCO MUNARO, Ionio e altri mari, pp. 94, € 12,00; n. 3, GUIDO CARMINATI, Contar, pp. 222, € 13,00.
L’omogeneità dei tre titoli di questa nuova collana, tutti del 2003, risiede nel delicato equilibrio, perseguito e trovato con raffinate soluzioni di cultura e sensibilità, tra arcaicità del referente e potenzialità liberate all’interno dello ‘spazio letterario’. Per arcaicità si intende la sessualità selvatica della strega (dell’eretica) suscitata da Anna Maria Farabbi (Perugia, 1959) attraverso discese profonde nel dialetto eugubino (adlujè sta per ‘cacciare di frodo’). L’irrazionale trova da incarnarsi in un mito terragno fatto di carmina, ninne nanne (perché la strega, ovviamente, è buona e terribile insieme, antica madre), oscenità. La geografia delle fortezze veneziane sparse nello Ionio, fitta trama onomastica greco-, veneto-, mediterranea («Assos, Myrtos, ripidissime scogliere sul mare, lingue di terra e roccia. Fortezza veneziana»), è il solco profondo dell’erranza soprattutto segnica che dà vita al viaggio testuale di Marco Munaro (n. 1960). L’irrazionale è, infine, nella lingua stessa e nel sapere umano tutto («cussìo miniuscolo e provinzial»), direttamente al centro del complesso esperimento di Guido Carminati (Venezia 1945-Pisa 1999), autore di un romanzo eroicomico i cui protagonisti Puc e Cup danno il nome all’incredibile gergo in cui è scritto: il pucuppiano. Si tratta di una mistura musicale di dialetti veneti e lombardi, del secentismo dell’Anonimo («Quando i clinami imperscrutabil e le occulte machine costellactive del’Ananke e dela Tiche»), e di castigliano (in omaggio al donchisciottismo dell’ispirazione: «escucha como diversamente danza li dei sul piano al Pollino e, verbigrazia, al Cecilio Tailora »), un gramelot patafisico che riserva ad un italiano tutto petrarchista i versi delle boschive ecloghe prorompenti dalle scorze de la Forêt Alfabetic. Comune a questi attraversamenti dello spazio letterario, è la distorsione delle esperienze e dei generi, ma in termini quasi geometrici, mai propriamente espressionisti. Siamo, è chiaro, sulla rotta del Monte analogo, il viaggio escogitato da René Daumal alla ricerca dell’immensa montagna/continente nel mezzo del Pacifico non rilevata dalle carte, ma che deve esistere, perché blocco di irrazionale magicamente solidificato, da meta diviene misura e fondamento, ‘sfasato’ ma insieme misurabile per latitudine e longitudine, dell’esistere. Oggetti e scrittura sono cittadini dello stesso mondo: «il sole è sotto / nelle incisioni sul mio palmo» (Farabbi), «Pini immensi sul mare / che esalate significati / sono certo parole balsamiche / quelle che escono dalle vostre pigne» (Munaro), o ancora si prenda la ‘partitura’ disegnata del canto dei pipistrelli nel Contar di Carminati. La prosa (il ‘nume’ di Ponge è invocato da Munaro), vale a dire il discorso poetico della ragione, contiene in germe versicoli di poesia che a questa si affianca ‘sdoppiandosi’ (Farabbi, Munaro) o da questa occasionalmente ‘si libera’ (Carminati). La quadratura ottica del cerchio, insomma, è l’illusione riuscita a chi ha escogitato la collana.
Fabio Zinelli
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