« indietro ROBERTO CARIFI, Il gelo e la luce, Firenze, Le Lettere 2003, pp.75, € 11,00.
Il discorso poetico di Carifi sceglie da sempre la pronuncia alta e ambiziosa della relazione con l’assoluto, coerente con l’heideggeriano binomio di poesia e verità dell’essere. Sottratta a ogni minimalismo della comunicazione e dell’uso quotidiano, caricata di una cifra di oscura sacralità, la parola poetica in Carifi sembra avere il compito indifferibile di alludere a un’oltranza mai interamente nominabile. Al lettore che, ammirato dalla limpidezza espressiva e dalla coerenza simbolica di questo universo poetico, tenti di sintonizzarsi con la sua interrogazione dell’assoluto, Il gelo e la luce oppone però un carattere arduo e introverso, lontano da ogni compiacimento, esibendo quasi le stimmate di un discorso iniziatico sul senso della poesia e dell’esistenza: una serrata tensione interpretativa giocata sul paradosso e sull’ossimoro («il muso acerbo del passato / dentro i tuoi occhi rossi di memoria»; «sorda come la luce che si scioglie in neve / quando ritorni tenera alla fonte»); un paesaggio allegorico di figure e luoghi tipici della poesia ontologica (il custode, la sentinella, la tessitrice, la soglia, la porta, il confine); la rigorosa formulazione di aree semantiche ‘archetipiche’ (alla «chiusura» rimanda ad esempio la ricorrente area semantica del gelo-pietra-notte-morte); una dizione secca e dichiarativa, mai sfrangiata in enjambements, che concilia un’apodittica tonalità di oscura certezza con l’ambiguità dei suoi contenuti. Ma nell’ultima sezione del libro, Luci e preghiere, il volto un po’ algido e pretestuoso di questa sacrale oscurità sembra sciogliersi (come il gelo in luce, appunto) in un serrato e commosso colloquio tra l’io e l’assoluto che, con accenti di una nuova e felice autenticità, rivela l’indistricabile legame tra ricerca dell’io, di Dio, della parola, del Nihil: «E come il fiore abbandonato e nudo / senza perché nell’abbandono / e come l’acqua che nulla chiede al mare, / Dio delle cose mute e delle cose buone, / Dio dell’amore che non afferra, / della stella accesa e della stella morta, / Dio del pianto e della luce, / senza nome e in ogni nome amato / lasciami come un fiore abbandonato / senza perché nell’abbandono». Cosicché queste ultime, intensissime poesie sembrano illuminare non solo il dittico – il gelo e la luce – che titola il testo, ma l’intera poetica di Carifi, che flette la parola in preghiera, formula antica e perfetta della ricerca di armonia cosmica, «perché non c’è preghiera che non sia / voce dal nulla al Nulla». Caterina Verbaro ¬ top of page |
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