« indietro TIZIANA CERA ROSCO, Il sangue trattenere, Borgomanero (NO), Edizioni Atelier 2003, pp. 48, s.i.p. Molti i pregi di questa piccola ma organica raccolta. Una poesia intensa e contrastata, davvero ‘di spirito e carne’ (per non citare le abusate categorie di ‘sacro’ e ‘profano’, tormento ed estasi, eros e pathos...); in cui colpisce l’elemento della libido sia verso la vita e la creazione, che verso l’annullamento liberatorio del sé. Il rilievo dato al sangue – simbolo polisemantico per eccellenza – alle varie parti anatomiche e in genere alla corporeità della dimensione fisica è pregnante (un’attenzione che sembrerebbe confermata anche dal titolo della prima pubblicazione dell’autrice, Calco dei tuoi arti): la poesia di Cera Rosco è innanzitutto nella forza che entra nelle membra, le fa agire. Ma non si tratta del fatto che sia la carne a prevalere sullo spirito o viceversa: piuttosto, nella dialettica degli opposti, è la carne a tendere verso uno spirito che amandola la sfugge, in un continuo desiderio di chi non può appartenerci totalmente, come la Maddalena ‘frenata’ nel suo slancio di amore verso Cristo. Una tensione che si risolve in una liturgia sensuale e sessuale, che vede i ruoli di una lei e di un lui calarsi nel contrasto insanabile tra sessi, in eterna ma mai scontata lotta (ben dichiarata da un «Facciamo messa», che suona come invito eroticocatartico). La celebrazione del rito dell’amore si fa così celebrazione eucaristica, quasi misterica, in profonda e dolorosissima comunione nel corpo («una ferita chiara e ben curata / tra il mio corpo e il tuo»). Infatti il tema romantico dell’Amore – anche umano – come vera Passione, è reso ‘attuale’ dallo stemperarsi in versi di fisicità piena, ricchi di verbi e immagini, di gruppi consonantici forti (con, ad esempio, il ritornare insistito di lettere ‘dure’, come la gutturale sorda, o vocali ‘drammatiche’, come la a: «dal cavo cola polpa cruda controluce»). Neologismi, fusioni esasperanti («la bellezzamiele »; «lo voglio inspessire questo quadro / – marmopuledro la tua telapetto – ...»; «lascia cainizzare i verbi»), echi e reminiscenze dalle Scritture, ‘profanate’ in un contesto squisitamente affettivo e terreno («l’inguine che fora il tuo costato», «la mia bocca ha sete / della linfa segreta dei viventi»), interrogative ‘assolute’ («dov’era il limite preciso della limpidezza di Dio? / Dov’ero io?») contribuiscono alla resa espressiva, anzi espressionistica, di una pena antica, e forse meritata, un dolore che si rinnova nel giorno, nei giorni, nel tempo: una Domenica che è piuttosto un Venerdì Santo, che prolunga la Passione fino ad un moderno affresco di Ecce foemina, nella donazione completa ma mai perfetta di sé, sacrificio dissacrante. Allo stesso tempo, la bellezza di versi pregevolmente ‘alti’ («– con quell’assioma nello sguardo / mi farai luce? / unguento per il dio? –»; «Ti guardo dalle vetrate / da dietro la sepoltura // autentica, come uno scarto / come un lungo lavoro d’esperienze») e versi di esistenziale ispirata forza, ‘religiosamente’ umana («La luce non è presto. / la luce non è appena stata. // Senza abbagli / lievitano i chiodi del mio male»; «Ché ti ho visto Cristo in questo corpo / la sindone dura dei capelli sciolti / tesseva il tuo viso legato alla mia nuca. // – C’era saliva nel nome che mi hai dato?»). Verosimilmente segni, questi, di un amore per la poesia della ‘frattura’, di tutti i tempi (soprattutto al femminile): la poesia amorosa ed erotica, religiosa, visionaria e mistica, in una tradizione perfettamente reinterpretata.
Caterina Bigazzi ¬ top of page |
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