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« indietro ANNALISA COMES, Ouvrage de dame, Firenze, Gazebo Edizioni 2004, pp. 44, s.i.p.
Interessante fin dal titolo, questa silloge della poetessa-performer-traduttrice, allieva fiorentino-romana di Amelia Rosselli. Un titolo scelto in accezione polemica – venivano così designate, spiega la citazione d’apertura da Simone de Beauvoir, le opere delle donne che scrivevano restando nel proprio piccolo mondo privato, per passatempo – a cui fa in effetti riscontro, lungo l’arco della silloge, un ritornante raffronto tra il rapporto prodotto poetico/attività femminili, esperienza combattuta e sofferta, emancipazione sempre mancante di risolutive sicurezze, e forse per questo più orgogliosamente da imparare, da conquistare. «Eppure io ti ho insegnato / a portare questo lungo coltello / nella notte / tra le pareti di libri / le parole che sanno intessere / punto a croce / qui nello sguardo / più strettamente... »: la scrittura ha una sua dimensione artigianale, come il ricamo, la tessitura o l’acquerello; nella fattispecie, una sua dose d’esercizio, di databile (e presumibilmente ironica) ‘taccuinità’: «i versi sono versi / e la lingua mente o brucia / e non sa promettere / che un fascio di esercizi / nel quaderno verdesalvia / millenovecentonovantanove ». Perciò, se è vero che per un destino ingrato la pratica della scrittura è destinata a convivere con quella dei doveri domestici, a condividere il tempo con l’amore e gli affetti, contrastati, mai scontati («la mia origine è pigra / e il tempo che scorre / la scrittura, che piega l’anima / ne offre corona / e il resto alla tua presenza...», «sono il commiato / e il cantuccio per nascondermi, / per fingere gli affetti / gli oggetti che sono in ginocchio / e l’ordine dell’aldiqua / non l’ago della bilancia, / non il conto della spesa / le sporte residue...»); se i versi sono brevi (e spesso le poesie sono fatte di una sola frase), quasi rubati al resto del giorno, ai gesti di quotidiana dedizione, è pur sempre nella poesia che l’autrice – e la donna – trova veramente, più che la celebre ‘stanza tutta per sé’, riscossa senza trionfo, se stessa, prima di tutto, comunque fedele al suo «compito di abbellire l’anima». Caterina Bigazzi ¬ top of page |
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