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GIANNI D’ELIA, Bassa stagione, Torino, Einaudi 2003, pp. 120, € 12,00.

Sequenze della Bassa stagione «ai bordi del millennio», nella forma, endecasillabi riuniti in terzine, del «poema a diario » che era del precedente volume einaudiano di D’Elia, Sulla riva dell’epoca (2000). Elegia di fine estate sulla riviera marchigiana e mala tempora della storia d’«Itaglia», «bassa stagione» dei destini individuali e collettivi si intrecciano secondo la linea ideologica e poetica Leopardi- Pasolini, la linea della dicotomia, e dell’oscuro nesso, natura/storia, corpo/ coscienza, dando vita a una ginestra che somiglia infatti al primaverile glicine pasoliniano: «Ma nella notte marchigiana, cova / ancora, a marzo, perché a maggio esploda, / l’antica ginestra leopardiana, nuova... ». Pasolini, evocato nelle sequenze conclusive, è presente in tutto il libro, non soltanto per eco e citazioni (una fra le tante: «le T bianche su fondo nero dei Tabacchi», che rinvia a Poesia in forma di rosa, La ricerca di una casa: «Ed ecco un ‘Tabacchi’, ecco un ‘Pane e pasta’... »), ma come un accento, come un vero e proprio habitus stilistico del quale D’Elia sembra appropriarsi per un personale culto, come se di Pasolini intendesse perpetuare la voce. Ma è un Pasolini senza febbre, crepuscolare, «lontano dai sessi solitari e ossessi, / ma anche dalla passione dell’ammanco», che di natura contempla la «meraviglia»: «natura, transumana liberazione », più della perenne agonia. Non tanto la lama tagliente del pensiero e nemmeno l’ebbro abisso del corpo, quanto piuttosto l’obiettivo posato sulla realtà, il piacere di vedere e la sua risoluzione in parole, la descrizione, personale cifra di questa poesia. D’Elia descrive col virtuosismo di un secentista il catalogo delle forme di natura: «negli anfratti d’ombre / / lucide d’alghe verdi e cozze nere, / dove il granchio zampetta anchilosato / risalendo lo scoglio abbarbicato // sopra le specie parassite in schiere / incollate al calcare come gomme / del naturale prodigio che avviene; // valve d’ostriche, conchiglie, lumache, / o il piccolo paguro che va in fretta»; l’«odorosa metamorfosi»: «ogni pomodoro fatto a pezzi, ogni / peperone, ogni patata, carota, / mezzaluna di cipolla, ha lo speciale // suo segno nell’odore e nel colore / del frammento della cosa iniziale / che frigge e cuoce come un tritume astrale... ». Ma ciò che più conta è fissare in icona verbale il «nuovo della storia in corso», le immagini del presente. Ed ecco che nel libro nulla manca del tragico tritume della cronaca: un pensiero su Craxi ad Hammamet e «il quarto / posto di Irvine al Gran Premio del Belgio», «Ulivo e Movimenti in girotondo » e «un bel Pancho toscano», la morte di Edoardo Agnelli e il Grande Fratello televisivo, e ancora Sofri, «la faccia di Briatore», la rima «Bin Laden» / «l’Ade», e «schiere di Costanzi», «la gang dei berluscones », ecc. ecc. Ma nelle sequenze culminanti D’Elia misura le sue terzine con lo spettacolo più riuscito e, dicono, più gravido di conseguenze «in corso»: Ground Zero (in rima con «andare in giro», richiamato in apertura e in copertina), mette tutta quanta in versi la videocassetta dell’11 settembre. Questa che si vuole poetica della realtà e della vita ha i suoi interni testuali, immagini: «Come un coltello, nell’orgoglioso panetto / del grattacielo, l’aereo, nel burro / di cristallocemento, assassinava infedeli», che discendono dalla retorica giornalistica: «E l’aereo s’è infilato nella seconda torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro. [...] La prima è implosa, ha inghiottito se stessa. La seconda s’è fusa, s’è sciolta. Per il calore s’è sciolta proprio come un panetto di burro messo sul fuoco » (O. Fallaci, La rabbia e l’orgoglio, in «Corriere della Sera», 29 settembre 2001). Si sente la mancanza, in questo libro di D’Elia, del Pasolini ultimo di Trasumanar e organizzar (una via nuova dopo la fase «ingiallita» delle sequenze a terzine definitivamente chiusa da Poesia in forma di rosa) e dell’Abiura dalla «Trilogia della vita» (e di Salò), dell’«abiura» contro il potere che usa le immagini, la retorica. Clausole da sottoscrivere ma un poco ‘facili’ come questa di D’Elia: «obliata è la santa anarchia del diverso // che s’oppone al mondo così com’è stato / pensato da qualche bastardo del passato... », non sono riconducibili alla radicalità «che Pasolini addita... »: «Poiché le istituzioni sono commoventi: e gli uomini » (L’enigma di Pio XII), «Destra divina che è dentro di noi, nel sonno» (Saluto e augurio).
Giacomo Iori

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