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HUGO DIZ, Palabras a mano. Poemas escogidos - Tomo I - 1969/1983, Rosario (Argentina), Editorial Ciudad Gótica 2003, pp. 286.

Questo è il primo dei due volumi antologici dell’opera poetica di Hugo Diz: argentino, nato a Rosario nel 1942, giornalista e curatore del Festival Internazionale di Poesia di Rosario che quest’anno arriva alla XII edizione. Come ricorda Martín Prieto nella sua prefazione (Hugo Diz: poesía y política en la tradición de la vanguardia, pp. 9-22), l’autore è inscindibile dalla storia di una rivista memorabile nella letteratura argentina, «El lagrimal trifulca», realizzata insieme a Francisco ed Elvio Gandolfo e pubblicata tra il 1968 e il 1976. La rivista proponeva una poetica molto definita, che riunendo il modernismo brasiliano, il cosiddetto «exteriorismo nicaraguense» e l’antipoesia del cileno Nicanor Parra veniva a rinnovare il panorama della poesia di quegli anni. Ed è proprio in questa linea che si definisce la poetica dello stesso Diz, vale a dire, nel distacco dall’effusione lirica mediante l’ironia, nella preponderanza dell’oggettività sulla soggettività e nella preferenza per il tono narrativo piuttosto che lirico. La poesia di Hugo Diz – se si sorvola sulle pubblicazioni molto giovanili, che girano attorno alle tematiche dell’amore, della morte e della fugacità («Conta / soltanto il morire. // Muore una luce / la sua intensità / il suo splendore. / / Oppure è la notte / che resta in agguato? ») – , già le prime raccolte si presentano con le caratteristiche caldeggiate dalla rivista, come poesia engagée, militante, di testimonianza e di denuncia. I testi dei Poemas insurrectos son del ’71, e il Manual de utilidades del ’72, ossia degli anni durissimi del ritorno di Perón, la lotta armata e la feroce repressione operata dalla dittatura militare, con la drammatica sequela dei desaparecidos e dell’esilio di massa. Lo stesso Diz ha raccontato che una volta venne contattato da Santucho, capo storico del gruppo guerrigliero ERP, per il quale Diz non nascondeva le simpatie, per manifestargli il suo apprezzamento, personale e di tutto il suo gruppo, per le sue poesie, che avevano fotocopiato e distribuite in un particolare volantinaggio nella città di Tucumán. Si capisce che non manchino omaggi a poeti dichiaratamente marxisti e militanti, come César Vallejo o Ernesto Cardenal, e perfino a poeti guerriglieri, alcuni di loro tragicamente morti, come il peruviano Javier Heraud o l’argentino Haroldo Conti. Niente a che fare quindi con la poesia fine a se stessa, auspicata dalle avanguardie storiche, bensì una poesia strumentale, «che serva a qualcosa» (Cardenal), e che «magari riesca a risvegliare il popolo» (Conti). Non manca tuttavia una venatura di lirismo, in particolare quando si canta l’anelito di libertà o la follia d’amore, creando una continuità che, seppure marginalmente, attraversa tutta la poesia di Hugo Diz («Non il volo, / non il canto, / non il piumaggio invidiava, / ma l’aria, le nuvole, / il riposo in cima agli alberi, / la libertà che regna / al suo interno / finché le ali / affaticate / smettono / di muoversi», da Historias veras historias, 1974, p. 70). I momenti più alti dell’impegno politico si trovano invece nel citato Manual de utilidades (scritto in parte nel ’72 ma pubblicato nel ’76), dove la cifra espressiva predominante è l’ironia (v. La nueva ley, o l’amaro Métodos), dentro il quale spicca il poemetto Secuencias de mayo (pp. 113-129), che ricrea la rivolta rosarina del maggio 1969, finita nel sangue. Seguiranno le poesie dedicate al golpe in Cile (v. Chile 1973, 1973), e alla guerra del Vietnam (Hurra Vietnam, 1974). Fra questi ultimi versi sono particolarmente toccanti quelli che ritraggono la piccola Thi, «dieci anni freschi e rustici / dieci anni freschi ingenui», vittima di una feroce violazione finita nel sogno liberatorio della fucilazione (p. 162).
La vena lirica dell’autore, come già accennato, sotterranea e isolatamente emergente in tutti questi anni, esplode infine in Cancioneros del jardín de Robinson (1983), con lo sviluppo di una nuova voce che dichiara con semplicità e grazia la sintonia con la natura e con tutti i tipi di animali, sintonia gioiosa, talvolta malinconica, sempre sul filo della comunione ecologica o del misticismo laico. Si veda, ad esempio, questo Paesaggio: «Il fuoco / del sole / nella notte / viene / lento / e canta / vecchio salice / pianto / e sogno / piegato / e notturno» (p. 190); oppure Verso l’alto: «Risale per le scale / dell’aria, gradino per gradino, / l’acqua dei fiumi. // Di sole in sole, il raggio lancinante / sogna il suo sogno vaporoso. // E viene, il ciclo sulle spalle, / cavaliere / d’altre acque, l’eterno ritorno» (p.184). Il volume si chiude con Tre canzoni a Josefa, splendido omaggio alla madre, con l’uso del delicato, rispettoso e insieme affettuoso pronome usted, che una volta si usava dare ai genitori e che qui serve a creare questa atmosfera di distanza e fiducia, ubbidienza e voglia trasgressiva, propiziata dalla presenza materna come da ogni indiscussa figura tutelare: «Il giorno arrivava insieme a voi / e al canto dei galli / della casa».
[M.L.C.]

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