« indietro LA METAFISICA IMPERFETTA: BAUDELAIRE E IL PRIMO LUZI
d’onnipossente musica scintilledi Michela Landi Dimorai sotto portici spaziosi che la marina empiva di faville e la sera i pilastri maestosi tramutavano in grotte di basalto. Onde volgendo immagini dell’alto fondevano ieratiche con tocchi del tramonto riflesso dai miei occhi.
La vie antérieure di Baudelaire, nella traduzione di Luzi (di cui abbiamo citato, a mo’ di incipit, le prime due quartine)1 pare esemplificare l’opus alchemicum che sottende ad ogni ri-scrittura poetica, quale i due autori la intendono: trasmutazione del testo originale, sintetica e complessa, dove ogni elemento rinvii alle mutue rispondenze della sostanza cosmica spiritualizzata. Lo stesso Baudelaire, a sua volta critico e traduttore afferma, in un passo de L’Art romantique (che qui citiamo nella traduzione di Luzi quale figura ne L’idea simbolista)2: che cosa è un poeta (prendo la parola nella sua accezione più ampia) se non un traduttore, un decifratore? Ecco dunque accolta, dal giovane poeta italiano, la sfida ‘demiurgica’ della nuova poiesis lanciata dal Maestro francese, che egli qualifica come «genio poetico centrale della modernità»3. È vero che i due autori si trovano insieme a ricodificare, poeticamente e criticamente, in antagonismo con la contemporaneità, il senso assoluto e profondo di una «modernità» che Luzi definirà, nel Discorso naturale, «la coscienza critica di ciò che è andato perduto»4. In tale ottica, è ‘moderna’ la percezione di un’istanza drammatica nel proprio tempo, la quale tuttavia non si esaurisce nell’evento o nella successione di eventi che delimitano storicamente la contemporaneità; essa piuttosto consiste (e trova la ragione della sua stessa consistenza) nel ripresentare costantemente una causa che l’evento stesso, transitorio effetto, indirettamente attesta: la ‘perdita’ consustanziale all’humanitas. Così appunto scrive Baudelaire nel Peintre de la vie moderne: [Le peintre] cherche ce quelque chose qu’on nous permettra d’appeler la modernité; car il ne se présente pas de meilleur mot pour exprimer l’idée en question. Il s’agit, pour lui, de dégager de la mode ce qu’elle peut contenir de poétique dans l’historique, de tirer l’éternel du transitoire5. Laddove infatti il ‘contemporaneo’ è «colui che partecipa immediatamente alle ragioni del tempo, ne sposa tutte le cause»6, l’uomo moderno (che Luzi riconosce principalmente, tra gli italiani, in Dante e Leopardi) è colui che soffre nel suo stesso tempo, consapevole di ciò che «esso ha fatto morire per divenire, appunto, tale» [ibid.]. Sarebbe, insomma, eminentemente moderno il «senso critico e drammatico del tempo che muta, che impone fratture e scissioni con ciò che era stato prima» [ibid.]. Ma mentre molti autori – prosegue Luzi [ivi, p. 15] – «impararono a scrivere poesia moderna per rifiutare la vita moderna», certe figure vivono il senso drammatico, agonico, della poiesis all’interno della storia; l’«éternel» nel «transitoire». La peculiare pregnanza attribuita da Baudelaire, così come da Luzi, ad un topos ricorrente nella letteratura a partire dal secondo Ottocento, quello dell’anima anceps, si deve anche ad una affinità di circostanze storico-ideologiche le quali, riattualizzando l’eterno dissidio in seno all’Essere, ne ravvivano i connotati. Come Baudelaire incarna in modo esemplare tale dualismo, quale riaffiora nelle coscienze sotto l’effetto di una particolare ‘congiuntura’ storica (la conflittualità tra l’arte e le istanze sociali ingenerata dall’asservimento dell’arte stessa al divertissement borghese e alla retorica utilitaristica di Louis Philippe d’Orléans e di Napoleone III), così il primo Luzi, accostatosi al movimento ermetico si fa portavoce, con le raccolte Avvento notturno e Un brindisi (scritte tra il 1936 e il 1944), di una scommessa anti-retorica; ovvero di una «action restreinte», per dirlo con Mallarmé7, allo scopo di preservare l’integrità della poiesis dall’«étalage», nuova vanitas che si ripropone nei sembianti del propagandismo fascista. Dato il comune presupposto, il patriae tempus iniquum, è vivo in ambito ermetico – e Luzi lo afferma a più riprese – l’esempio poetico dei simbolisti, dai quali comunemente si rivendica una filiazione. Ad evidenziare l’impatto dell’esperienza simbolista sul Luzi ‘ermetico’, ci sono di esempio due componimenti, Periodo e Patio, tratti da Avvento notturno8; qui si rilevano, pur nello scarto stilistico (giacché Luzi ci sembra molto più prossimo a Mallarmé), analogie tematiche con La vie antérieure ma il presupposto (l’osmosi consentita dalla ‘fluidità’ naturale, pre-logica, delle istanze del soggetto e dell’oggetto) è ripreso in antifrasi: sull’immagine ‘aperta’ del «portique » si trasferisce connotativamente l’idea di un vacuum metafisico, allorché le «images des cieux» non sono più infuocate e plastiche ma raggelate, «vitrifiées», come nell’Hérodiade mallarméana. Il vetro è ancora, in Luzi, come fu in Mallarmé, il medium translucido ed iridescente dell’auto-referenzialità del poetico che, disseminando segni, resta tuttavia nel suo ‘alveo’ «sans briser la glace», ovvero senza frangere la barriera ‘sociale’ della decodificazione, della ‘comprensibilità’ oggettiva; un’«apparence fausse de présent»9: Alvei le mura: in alto / esitavano effigi inesplorate [...] (Periodo); E un giorno cercherai col cuore il fondo / delle città scalfite, il volo spento / delle colombe tra i pilastri in sogno (Periodo); Forse è un’ombra del cuore l’orrore che disarma / e raggela sui vetri lo stupore / delle grida chimeriche degli atrî (Patio); Così il senso ‘moderno’ della perdita, che la contemporaneità ravviva, si rifugia nel luogo di per sé ‘aperto’ del sogno che, tuttavia, non può che rinviare al soggetto l’immagine ‘inesplorata’ di sé, ovvero della musa malata, livida, i cui occhi incavati sono popolati dalle «visions nocturnes»10: il vuoto s’avvicenda nelle cave / specchiere, nella febbre viola dei basalti (Patio). Alla sperimentazione poetica dei temi e del lessico cari ai simbolisti che interessa il periodo del fascismo e della seconda guerra mondiale segue per Luzi, in un ritrovato equilibrio del soggetto con la realtà storico-ideologica, il decennio di attenzione critica rivolta ai maestri francesi: del 1950 è l’Anthologie de la poésie lyrique française, che Luzi redige insieme a T. Landolfi11 e che celebra Baudelaire con ben quaranta testi. Due anni dopo si colloca lo Studio su Mallarmé12 dove il suo autore, nel riconoscere la lezione del simbolismo come un’esasperata appendice idealistica ed antropocentrica del romanticismo, non prescinde dall’esempio baudelairiano. È del 1959 la già citata Idea simbolista; corredata di un vasto apparato critico, l’opera torna ampiamente su quella poetica. Tra i testi antologizzati figurano, oltre alla Vie antérieure, le poesie- manifesto: Correspondances, L’albatros, Elévation, che sono le più ‘classicamente’ romantiche; è ovvio che, quand’anche Luzi lo avesse voluto, cert’altra produzione non avrebbe trovato terreno propizio all’interno di una scelta antologica dell’epoca. Torna spesso il nome di Baudelaire nei saggi successivi di Luzi (Naturalezza del poeta, Dante e Leopardi o della modernità, Discorso naturale) 13 fino ad oggi; nella Conversazione, raccolta di interviste pubblicata nel 1999 a cura di A. Maria Murdocca, Luzi mostra di accogliere ancora come un caposaldo (necessariamente dialettico)14 della sua poetica, l’esperienza baudelairiana. Ma ci sembra interessante, al di là del Luzi critico di Baudelaire sul quale tuttavia ci piacerebbe soffermarci, individuare altri aspetti tematici comuni tra il poeta francese e il Luzi ‘ermetico’, che rinviano immediatamente all’idea di modernità come senso del dramma e della perdita. Dal confronto dei due testi luziani testè citati con La vie antérieure si coglie senz’altro la comune pregnanza figurale del paradiso perduto, che appare tanto più viva quanto più è marcato lo straniamento del poeta rispetto alla storia. Come Baudelaire dovette abbandonare l’idea della ‘centralità’ del Poète nel suo tempo ed accettare un’inesorabile «perte d’auréole»15, così l’esperienza ‘iniziatica’ della guerra costringe Luzi a rinunciare alla «fisica perfetta» (come lui la definisce) de La Barca, sua prima raccolta (dove il soggetto godeva di una generosa, materna, fusione con l’oggetto)16, per prendere atto di una ‘metafisica imperfetta’, ovvero dell’Essere in perdita, conseguente al male biblico della deiezione. Lo stesso atteggiamento si ravvisa, come è noto, in Baudelaire, tra claustrofobia del reale e dilatazione estrema degli spazi sognati di un’«époque nue»17. È tra i noti temi dell’Invitation au voyage e di Moesta et errabunda18 che si situa, con maggiore disincanto, la voce del primo Luzi, anch’egli mosso dalla nostalgia; dolore del nostos, o del ritorno impossibile: Sotto più grave cielo ritorniamo Non diversi da allora [...] e ancora per la strada conosciuta ci volgiamo incerti a guardare le aiuole immobili e riflessi nei canali i giardini d’amore vietati dal tempo (Ritorno)19. Se il «vert paradis» è la vasta, panica figurazione di un essere univoco e di una voce ancestrale, materna ed inglobante, la figura femminile, drammatica incarnazione della colpa assume in sé, espiandolo, il mistero doloroso dell’origine. Come la tomba occulta l’orrore della corruptio corporis, così la bellezza ideale, pura, indolore (la «fisica perfetta»), altro non sarebbe che quella rappresa nel marmo, le cui linee non si spostano: il femminino statuario è innocuo, non seduce e non ammorba la maschia poiesis classica (la «perfetta salute ellenica», come la definì Laforgue criticando la ‘restaurazione’ di Taine)20. L’ipostasi statuaria della Beauté e della Géante21 fu dunque necessaria per riaffermare il valore edificante di un atto poetico volto a sublimare il femminino come colpa; la salvifica, proprio perché sterile, maestosità dell’Idea, soffocava una motilità già drammaticamente insita nella viva ‘corporeità’ della poesia moderna: Je suis belle, ô mortels! Comme un rêve de pierre (La Beauté). Il movimento conferisce al femminino reale e sensuale (alla musa malata), l’imperfezione metafisica, drammatica, della ‘modernità’: esso è la figurazione dialettica dell’essere- in-perdita attraverso gli eventi; attraverso quella dimensione ‘storica’ e transitoria’ che il poeta riconobbe come fertile antitesi del poetico. Sostenendo infatti che il Bello – lungi dall’essere «unique et absolu» – è caratterizzato da una «composition double», egli afferma, nel Peintre de la vie moderne, che [Le beau] est fait d’un élément éternel, invariable [...] et d’un élément relatif, circonstanciel22. Così, laddove la bellezza classica, reductio ad unicum (come la definisce Luzi), si faceva portavoce di una stasis concettuale, producendo oggetti artistici debitamente epurati dalla sensualità, quella ‘moderna’ è dinamica, dialettica, tragicamente feconda. Musa inquietante in ragione dei risvolti oscuri di cui si macchia il bello incarnato, la danzatrice, raffigurazione della bellezza in movimento come «enivrement de la douleur», esemplifica il peccato originale in Baudelaire come nel primo Luzi; nella Fanfarlo, essa è l’espressione corporea di una colpevole ‘motilità’ del poetico: La danse, c’est la poésie avec des bras et des jambes, c’est la matière, gracieuse et terrible, animée, embellie par le mouvement23. Il poeta ricerca insomma nel femminino restituito alla sua physis una costituzione ‘passiva’ del senso; quello stesso ‘scarto’ rispetto alla stasis iniziale che, drammaticamente, informa il testo ‘moderno’ – forma plastica dei possibili – mediante un sommovimento, un’alterazione delle norme classiche: Il aimait un corps humain comme une harmonie matérielle, comme une belle architecture, plus le mouvement24. Il movimento «qui déplace les lignes», effetto della seduzione- deiezione, è anche effetto del male cosmico dell’origine e del dolore metafisico che ne scaturisce: la linea spostata confonde la visione e invalida la percezione armoniosa dell’unio mystica: Vanità, vanità. Troppo confuse le linee; cade il mallo della noce, cade il cielo annerito tra le chiuse lungamente di là dalla tua voce (Vista)25. In quanto componente «transitoire» della Beauté e come un suo «maquillage», il «mouvement» è al tempo stesso, metaforicamente, travestimento, occultamento della nudità ‘segnica’ del nomen mediante una ‘toilette’ poetica scintillante che, come la pelle del serpente (insieme cangiante ed effimera) occulta il male simbolico (cattolico) dietro abbacinanti quanto fugaci screziature; il dinamismo stesso della figura femminile, duplicato dalla sua connaturata sinuosità (ancora: l’«éternel» e il «circonstanciel » nel Bello), sottrae al soggetto percipiente l’immagine globale della rappresentazione, la quale si scinde in mille diffrazioni, in mille istantanee visioni o possibilità di senso susseguenti: Que j’aime voir, chère indolente, De ton corps si beau, Comme une étoffe vacillante, Miroiter la peau! (Le Serpent qui danse)26. Le danzatrici scuotono l’oriente appassionato, effondono i metalli del sole le veementi baiadere (Se musica è la donna amata)27. Così se nel fiume, «serpent qui danse» luziano dalla pelle luminosa si scinde in tante voci la voce che mi guida (Il fiume)28 e la terra ancora argina l’acqua – ne guida e ne descrive il corso –, la statuaria forma antica si discioglie progressivamente nell’incommensurabile; si fa inquietante temporalità-liquidità, come già fu con la voce rauca del maremadre baudelairiano: Il mare, sai, mi associa al suo tormento, Il mare viene, volge in fuga, viene, Coniuga tempo e spazio in questa voce Che soffre e prega rotta alle scogliere (Onde)29. La «nature étrange et symbolique» della modernité, quale è evocata da Baudelaire in Avec ses vêtements ondoyants et nacrés30, è una natura duplicata dalla vastità incoercibile del suo peccato; o, meglio, investita della colpa connaturata al soggetto, già di per sé deietto e «dédoublé», che si riversa e si espia nel femminino sensuale e mortifero. Ecco dunque il verde screziato della donna-serpente farsi metaforicamente cupo, livido: Il tuo viso talora può riflettere Lo screzio abbrividente delle siepi di lauro (Un brindisi)31. Ed è senz’altro un tema analogo a quello del Serpent qui danse che si riscontra in un testo luziano del 1938, Danzatrice verde22 dove si coglie, attraverso i «vêtements ondoyants et nacrés», un femminino misteriosamente generoso («carità delle gonne») ma visivamente e simbolicamente inafferrabile in ragione del suo movimento: il mistero stesso dell’origine è anche qui evocato mediante una frammentazione di visioni, un perpetuum mobile che nasconde la pienezza della figura-oggetto, impedendo al soggetto di abbracciarne la totalità, di coglierne l’essenza: Poi del moto fingeva ogni clemenza nell’onda di smerache si stempra nella memoria, origine e parvenza della morte il paesaggio del suo passo. Carità delle gonne; rifluiva indi l’informe, indi la vita in ombre di viola dal vuoto costellato di vigilie al mio sguardo senza meta. E ricordiamo anche il distico finale di Patio (cit.): La tua forma nell’aria si ripete lungo un prisma ammaliato e una pallida rete. Anche Luzi interviene criticamente su questo aspetto della modernità, che introduce una corporea ‘motilità’ nel rigore sistematico del logocentrismo occidentale invalidando il principium individuationis: Senza alcun proposito determinato, né volendo inscrivere ciò in un sistema di ricerca o di analisi, mi accade sempre di considerare la figura di un artista degno come il risultato di un movimento perpetuo e progressivo. Dove la traccia di questo movimento non è sensibile nell’apparenza o nel segreto, mi viene sottratta la gioia e la vertigine di misurare delle distanze; l’interesse che l’opera riesce allora a suscitare in me mi lascia inquieto ed ottuso di fronte ad essa, con un assillo proporzionale alla sua bellezza33. Scrisse Baudelaire in un Salon che la migliore esplicazione di un’immagine è quella che ci è offerta da una poesia. Così, come la danzatrice è irrappresentabile per la sfuggevolezza che è consustanziale alla vita stessa, i Phares34 baudelairiani altro non evocano che tante sfaccettature prospettiche, mediate dai geni della pittura, nelle quali possa idealmente raffigurarsi il quadro totale. Ogni frammento visivo, ogni movimento di danza è anche un’eco, un frammento uditivo in cui si manifesta il Verbo, disperdendosi immediatamente nell’infinità delle sue possibili ricezioni: C’est un cri répété par mille sentinelles, Un ordre renvoyé par mille porte-voix; C’est un phare allumé sur mille citadelles, Un appel de chasseurs perdus dans les grands bois! E anche questo è un tema caro a Luzi, il quale tenterà di cogliere, da scriba del dettato universale, i messaggi spezzati e plurivoci del Grande Codice e, ancor prima, i segmenti del Grande Patema35. Già al tempo di Un brindisi (1940-44) egli scriveva, nel Cuore di vetro36, con riferimento antifrastico alla «chevelure» cara a Baudelaire e a Mallarmé: Ma i tuoi capelli blu dimenticati Al fuoco dei riflessi lungo i vetri rotanti, La tua immagine fredda dagli occhi nichelati Ripetuta dai fari sconsolanti! Ed è proprio nella strofe dei Phares dedicata a Watteau (dove scivola leggera in superficie, nell’‘ingenuità’ Ancien Régime, la danza settecentesca) che si colgono – in ragione del loro effetto straniante rispetto al resto del componimento – l’ambiguità di un’allegria indossata e la più inquietante «profondeur»; il «carnaval» abbagliante e sfolgorante di lustrini, luminescenze e screziature in cui si scompone e si rifrange l’immagine totale, dissimula una sola, panica visione che solo la staticità rivelerebbe: il sangue di Delacroix, l’incubo di Goya. Il grido, la eco, il singhiozzo, il lamento, nella loro circolare propagazione che si riversa sul soggetto anziché tradursi in una possibilità lineare di comunicazione, segnalano l’impossibile verbalizzazione di un dolore e testimoniano di una vocalità disperata, incodificabile, che giunge dall’abisso delle coscienze: J’implore ta pitié, Toi, l’unique que j’aime, Du fond du gouffre obscur où mon coeur est tombé (De profundis clamavi)37. Se è dunque in chiave anti-retorica che dovremmo leggere i Phares, dove ogni tentativo di cogliere il senso della vita, anche il più geniale, resta chiuso nella sua cornice figurale, ecco dunque condensate in una poesia, come voleva Baudelaire, tutte le potenzialità del traduttore e del critico d’arte: come nel Chef d’oeuvre inconnu balzacchiano, vi è un solo quadro possibile, che non si può dipingere. Mentre Baudelaire, testimone drammatico del momento in cui la ‘modernità’ si instaura in Occidente, resterà pur sempre nella memoria letteraria l’emblema, sub specie aeternitatis, di una frattura consustanziale all’Essere, il Luzi maturo saprà operare, dopo l’esperienza della guerra, una sintesi feconda tra fisica perfetta e metafisica imperfetta, conciliando i due termini in una dimensione umana dove il soggetto si pacifica con l’alterità. L’essere- creatura, scendendo da quel «piedistallo antropocentrico »38 che, secondo Luzi, il romanticismo aveva eretto e che Baudelaire, nel suo «sussulto d’orgoglio»39 aveva portato alle estreme conseguenze, accoglie con umiltà il dolore cosmico dell’esistenza aderendo al motus adsiduus che è, con Lucrezio, il principio vitale dell’universo e la sua stessa religio: Il problema della creazione poetica era stato posto orgogliosamente nel suo aspetto di rivalità con il creatore ma ne era stata obliterata l’altra parte, quella creaturale, della comunione [...], osserva Luzi anni dopo Avvento notturno40. Da una prospettiva non più rigidamente noumenica ma generosamente fenomenica, egli prende atto di come il mondo materno e creaturale sia, oggi, travestito e nevrotizzato; dipinto, truccato, feticizzato e, in ultima istanza, sclerotizzato. Giacché, come egli riconosce, la «perdita di umanità »41 della cultura moderna è il risvolto (‘circostanziale’) di una perdita consustanziale all’Essere vivo e drammatico, solo una nuova concezione della poesia e dell’arte come forza unificante potrà farsi garante di una «assimilazione paritaria con le creature»42: ciò che hanno in comune l’esperienza poetica e l’esperienza religiosa è la garanzia della continuità dell’umano: ne sono le due depositarie43. Così Luzi rivisita Baudelaire riconoscendo a posteriori che egli figura tra le sue predilezioni per il fatto di aver difeso, in coraggioso conflitto con l’iniqua contemporaneità, il sentimento ‘moderno’ di una religio connaturata al poetico; sono – egli dice – momenti in cui la poesia si fa totalità e quindi è di per se stessa inseparabile dal problema religioso44. Il Luzi maturo, conciliando infatti la storia con la poesia, il «transitoire» con «l’éternel», recupera quel «pancalisme »45 originario in cui Beauté è Bonté e l’etica si fonde con l’estetica. La culpa naturae si discioglie in una feconda necessità della drammaticità dell’esistenza e la poesia, voce orante, formula l’augurio di una metafisica perfetta e immanente, sub specie humana46: Mattino, lucentezza oltremondana. In noi uno risponde presente! Non si sa a quale chiama dal cielo, dalla terra, dall’abisso che li tiene, pure riluttanti, insieme. Frasi, lo siamo di una preghiera arcana. Orante chi? Si forma lei, chissà, nel travaglio delle ere, nella devastazione delle età. L’essere effonde a se stesso il suo sorriso, oggi paradiso è qui47. NOTE 1 Questa versione figura ne L’Idea simbolista (antologia della poesia simbolista francese, Milano, Garzanti, 1959) e, in seguito, nella raccolta Francamente (versi tradotti dal francese, Firenze, Vallecchi, 1980), e ne La cordigliera delle Ande (Torino, Einaudi, 1983), dove si raccoglie gran parte dell’opera traduttiva di Luzi. Cfr. Baudelaire, OEuvres complètes, vol. I, coll. «La Pléiade», Paris, Gallimard, 1975, pp. 17-18. 2 M. Luzi, L’idea simbolista, op. cit., p. 81. 3 Ibidem. Merita sottolineare che Baudelaire è stato non solo il primo, in Francia, ad usare il termine (mutuato, come sembra, da Heine), ma anche colui che più profondamente, nel suo tempo, lo ha connotato e ‘illustrato’. Cfr. Le peintre de la vie moderne, in Baudelaire, Critique d’art, Paris, Gallimard, 1992, p. 343 sqq., e, in particolare, il paragrafo «La modernité» (p. 354 sqq.). 4 Id., Discorso naturale, Milano, Garzanti, 1984, p. 13 5 Baudelaire, Critique d’art, ed. cit., p. 354. 6 M. Luzi, Discorso naturale, op. cit., p. 13. 7 Cfr. Mallarmé, Quant au livre, in OEuvres complètes, coll. «La Pléiade», Paris, Gallimard, 1945, pp. 369 e 373. 8 M. Luzi, Avvento notturno, in Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 1988, pp. 78 e 81. 9 Mallarmé, Mimique, in OEuvres complètes, ed. cit., p. 310. 10 Baudelaire, La muse malade, in Les fleurs du mal, ed. cit., pp. 14-15.0 11 M.Luzi-T. Landolfi, Anthologie de la poésie lyrique française, Firenze, Sansoni, 1950. 12 M. Luzi, Studio su Mallarmé, Firenze, Sansoni, 1958. 13 Id., Naturalezza del poeta, Milano, Garzanti, 1995; Dante e Leopardi o della Modernità, Roma, Editori Riuniti, 1992; Discorso Naturale, op. cit. (tutte e tre le opere sono costituite da una raccolta di saggi scritti in vari momenti e varie occasioni). 14 Ribadendo a più riprese il fatto che Baudelaire ha rappresentato l’estrema appendice del romanticismo, e dunque l’ultimo sussulto dell’orgoglio poetico, Luzi scrive che Baudelaire «è alla fonte della modernità al pari di Leopardi» e che i due poeti hanno per lui «da decenni la medesima importanza: magari si chiarificano, si approfondiscono in certi aspetti, in altri entrano più in ombra o in penombra». Mario Luzi, Conversazione. Interviste 1953-1998, a cura di A. M. Murdocca, Fiesole, Cadmo, 1999, p. 92. 15 Baudelaire, Perte d’auréole, in Le Spleen de Paris, ed. cit., p. 352. 16 M. Luzi, La barca (1935), in Tutte le poesie, ed. cit.. 17 Baudelaire, J’aime le souvenir..., in Les fleurs du mal, ed. cit., p. 11. 18 Id., Les fleurs du mal, ed. cit., pp. 53 e 63. 19 M. Luzi, Un brindisi, in Tutte le poesie, ed. cit., p. 115. 20 «[...] les théories de Taine – qui s’appliquent à subordonner le Beau idéal à la ‘santé morale’ – constituent un repoussoir à partir duquel peuvent se dialectiser efficacement les enjeux et les concepts de la modernité», osserva, con pertinenza al nostro assunto, H. Scepi (Les Complaintes de J. Laforgue, a cura di H. Scepi, Paris, Gallimard, 2000, p. 46). 21 Baudelaire, Les fleurs du mal, ed. cit., pp. 21 e 22. 22 Id., Le peintre de la vie moderne, in Critique d’art, ed. cit., p. 345. 23 Id., La Fanfarlo, ed. cit., p. 573. 24 Ivi, p. 577. 23 M. Luzi, Un brindisi, in Tutte le poesie, ed. cit., p. 90. 24 Baudelaire, Les Fleurs du mal, ed. cit., pp. 29-30. 25 M. Luzi, Avvento notturno, in Tutte le poesie, ed. cit., p. 52. 26 Id., Su fondamenti invisibili, ivi, p. 359. 27 Id., Onore del vero, ivi, p. 212. 28 Baudelaire, Les Fleurs du mal, ed. cit., p. 29. 29 M. Luzi, Un brindisi, ed. cit., p. 99. 30 Id., Avvento notturno, ed. cit., p. 77. 31 M. Luzi, Del progresso spirituale, in Naturalezza del poeta, op. cit., p. 51. 32 Baudelaire, Les fleurs du mal, ed. cit., p. 13. 33 «Dal grande codice» è una sezione de Il battesimo dei nostri frammenti (1978-1984); «Segmenti del grande patema» è invece una sezione di Al fuoco della controversia (1971-1977). M. Luzi, Tutte le poesie, ed. cit., pp. 637 e 441. 36 M. Luzi, Un brindisi, ivi, p. 87. 37 Baudelaire, Les fleurs du mal, ed. cit., p. 32. 38 M. Luzi, Il sabato di Carlo Betocchi, in Discorso naturale, op. cit., p. 65. 39 Id., Conversazione, op. cit., p. 91. 40 Id., Con Mallarmé, a lungo, in Naturalezza del poeta, op. cit., p. 243. 41 Id., Oggi, poesia, in Discorso naturale, op. cit., p. 95. 42 Id., Il sabato di Carlo Betocchi, cit., ibid. 43 Id., E non vergognarsi, in Discorso naturale, op. cit., p. 161. 44 Id., Conversazione, op. cit., p. 117. 45 Il termine è di G. Bachelard. Cfr. La poétique de la rêverie, Paris, PUF, 1960, p. 157, passim. 46 Sotto specie umana è l’ultima raccolta di Luzi. Milano, Garzanti, 1999. 47 M. Luzi, Sotto specie umana, op. cit., p. 230. ¬ top of page |
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