« indietro CARLOS OQUENDO DE AMAT, 5 metros de poemas, a cura di Daniel Salas Díaz, Pontificia Universidad Católica del Perú, Lima, 2002, pp. 70.
Carlos Oquendo de Amat (Puno, Perù, 1905-1936) ha scritto nella sua breve vita un solo libro di poesie sufficiente per dargli un posto indiscutibile fra quelli che, avendo saputo ascoltare al meglio la voce dirompente delle avanguardie, fondarono una nuova poesia nelle lettere ispanoamericane del primo Novecento. La differenza tra Oquendo e tanti altri avanguardisti sta nel fatto che il suo linguaggio, come giustamente sottolinea Salas Díaz nella sua prefazione, non è semplicemente «nuovo» o «trasgressivo», ma costituisce uno strumento lucido per entrare nel mondo moderno e per aprire al disorientato lettore una convincente via d’ingresso. Senza mai cadere, come tanti altri, in una fedeltà servile nei confronti di Apollinaire o di Breton, Oquendo fa suo il concetto di poema sintetico e ricrea in modo personale l’immagine onirica, restituendo al mondo alienato in cui viviamo un volto ancora umano. Se spesso la poesia surrealista è torrenziale, quella dei Cinque metri è di una sfidante semplicità, trasparente, intensa, luminosa, a volte alleata con l’umorismo, come farà in Spagna Ramón Gómez de la Serna, inventore della formula chiamata «greguería», che riunisce la metafora con il motto di spirito. In Giardino, ad esempio, creando con la disposizione tipografica, le diverse spaziature e i diversi corpi e tipi dei caratteri un’immagine simile a un vaso di fiori, dice: «Gli alberi cambiano / il colore dei vestiti / Le rose voleranno / dai rami / Un bambino versa l’acqua del suo sguardo / e in un angolo / la luna crescerà come una pianta». Oppure, in Film dei paesaggi: «Le nuvole / sono gli scappamenti di gas di automobili invisibili»; e anche «Le città saranno costruite / sulle punte degli ombrelli / (E la vita ci sembra meglio / perché è più in alto)». La vera poesia, osserva Salas Díaz, non è quella che falsifica il mondo, bensì quella che lo comprende e lo ricostruisce, ed è sempre «una forma di straniamento radicale, uno specchio in cui ci vediamo come estranei e a partire da questa rivelazione possiamo riconquistare la nostra coscienza» (p.16).
La riflessione rimanda a quella che faceva Bousquet, citata da Álvaro Mutis per parlare di Armando Romero, il che sembra voler dimostrare che la grande poesia ha sempre un’unica funzione e veicola uno stesso sentimento, ineffabile ma comprensibile. Nel segnalare l’importanza di aver ridato alle stampe questo libro storico, è indispensabile ricordare anche l’importante opera di diffusione della cultura poetica mondiale che sta portando avanti Salomon Lerner Febres, rettore della Pontificia Universidad Católica del Perú, nel sostenere questa preziosa collana poetica, arrivata al numero 29, nella quale hanno visto la luce classici contemporanei della letteratura peruviana altrimenti introvabili, come La rosa escrita di Xavier Abril, La poesia surrealista di César Moro, A la rosa di Martín Adán, Falsos rituales y otras patrañas di Emilio Adolfo Westphalen e El silencio que nos nombra di Enrique Peña Barrenechea; nonché molti altri grandi testi della letteratura universale, in nuove e curatissime traduzioni, come gli Inni alla notte di Novalis, le Elegie di Duino di Rainer Maria Rilke, o Personæ di Ezra Pound.
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