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MARCO CEROCCHI, Funzioni metasemantiche e metatestuali della musica in Dante, Petrarca e Boccaccio, Firenze, Olschki 2010, pp. 158, euro 19, 00.

Orchestrato in quattro capitoli, il volume illustra il processo di laicizzazione della cultura avvenuto nel XIV secolo grazie all’analisi tecnico-tematica del ruolo della musica nelle opere volgari maggiori delle tre corone.

Il primo capitolo – La concezione della musica nel Medioevo (pp.1-15) – tratteggia un abbozzo della cultura musicale duecentesca e individua la formazione di una prospettiva antropocentrica del mondo nella lauda di San Francesco: in questo genere musicale extr­aliturgico, scritto in volgare, nelle prove seriori dotato di struttura strofica a ritornello tipica della canzone da ballo di origine trobadorica, la dimensione sacra si intreccia indissolubilmente a quella profana.

In seconsa battuta l’A. riflette sulle complesse teorizzazioni musicali della tradizione precedente a Dante – da Pitagora a Platone fino ad Ambrogio, Agostino e Severino Boezio – e focalizza il «ruolo primario della musica nel sistema educativo del popolo» (p.11) che unisce cultura classica e cultura cristiana: tanto per Platone, quanto per i Padri della Chiesa l’elemento musicale, purché orientato dalla ragione, è sprone alla ricerca della virtù-verità.

Nel capitolo successivo – La funzionalità della musica nella Divina Commedia (pp.17-46) –, l’episodio di Casella (Purg. 2.76-117) mostra il potere suasorio dell’«amoroso canto» capace di amplificare il valore semantico delle parole al punto da modificare l’operazione della volontà umana; tuttavia questo canto, unico esempio di musica profana e non liturgica del poema, poiché distoglie i pellegrini dal viaggio verso Dio viene a rappresentare un «genere corrotto di musica» (p. 36) che contrasta nettamente la dominante liturgica del poema. Il pensiero musicale dantesco, pertanto, secondo l’A. è ancora ‘prigioniero’ di una mens religiosa che, a detrimento del canto profano, approva unicamente la musica liturgica.

Nel terzo capitolo – Francesco Petrarca, poeta fautore e simbolo di una nuova unione tra parola e musica (pp.47-77) – l’A. attribuisce a Petrarca uno scarto ideologico rispetto alla concezione musicale medievale: amico di Ludvig Van Kempen (il Socrate dell’epistolario petrarchesco), cantore e cappellano di Giovanni Colonna, e di Philippe de Vitry, teorico dell’Ars Nova, rispetto a Dante egli indugia sulla proprietà musicale del linguaggio per accrescere le qualità comunicative dei suoi componimenti; ne è patente dimostrazione la sua poesia per musica – le ballate dedicate al cantore Confortino – che dà adito al fenomeno definito anche in musicologia «petrarchismo»; l’interprete di maggior spicco di tale movimento è l’illustre Claudio Monteverdi di cui l’A. analizza la resa in musica del sonetto Zefiro torna.

Nell’ultimo capitolo – Boccaccio e la musica: specchio del processo di secolarizzazione della cultura del Trecento (pp.79-144) – la dettagliata analisi della «colonna sonora» del Decameron, sistematicamente tematizzata nella cornice dalle canzoni a ballo proposte dai re e dalle regine di giornata, intende evidenziare la concezione laica del Boccaccio: la musica da una parte svolge la funzione «terapeutica» di medicina che allevia la sofferenza della peste, dall’altra ricopre il compito di soddisfare le esigenze ricreative e di divertimento della «brigata». In alcune novelle essa è impiegata come «straordinario mezzo di amplificazione dei sentimenti umani» (p. 142) e rappresenta l’unico strumento in grado di garantire il successo delle azioni umane, al punto che l’A. individua nell’opera del certaldese la fonte letteraria primaria dell’Ars nova italiana. Estraneo al timore dantesco per il canto terreno, Boccaccio affida proprio alla musica profana l’intera vicenda dei suoi personaggi.

È un interessante scorcio tra Medioevo e Rinascimento quello che offre Marco Cerocchi; un punto di vista eccentrico rispetto alla canonica prospettiva letteraria che in modo chiaro e diretto, indagando «la radicale trasformazione del concetto di musica profana» (p. 145), focalizza il rapporto fra le tre corone alla luce di un presupposto ideologico di antitesi fra teocentrismo medievale (Dante) e antropocentrismo umanista (Petrarca e Boccaccio), peraltro limpidamente asseverato nella Premessa: «il profondo cambiamento nella percezione e, di conseguenza, anche nell’‘impiego’ della musica, le ha consentito di svolgere un ruolo primario nel lungo e complesso processo di emancipazione della civiltà italiana dal sistema teocentrico medievale» (pp.VII-VIII).

(Pietro Bocchia)


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