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CAMILLA MIGLIO, Vita a fronte. Saggio su Paul Celan, Macerata, Quodlibet 2005, pp. 288

Vita a fronte ripercorre le linee essenziali dell’esistenza linguistica di Celan. L’autore, che ha cambiato il proprio cognome dal rumeno Antschel al nome con cui la letteratura lo conosce, Celan, vagamente francofono-germanico, proviene da uno di quegli stati che a seguito della Seconda Guerra Mondiale vengono cancellati dalle carte geografiche: la Bucovina. Per Celan, come per altri intellettuali e artisti del tempo, questo nuovo riassetto territoriale diviene emblema di una condizione esistenziale.

Il testo ripercorre passo passo le scelte linguistiche compiute, significative per chi proviene da un’enclave multiculturale e non può riconoscersi in una identità linguistica unitaria. Vita a fronte richiama il sistema complesso della traduzione fra le lingue perché simile al percorso artistico e privato di Celan stesso.

Nonostante la scelta dell’esilio in Francia, come sopravvivenza, Paul Celan continua a scrivere in tedesco, ‘a fronte’ di una gestione quotidiana e di vita reale in cui il francese è veicolare. Il tedesco rappresenta la lingua madre, quella della famiglia paterna, la cultura letteraria, ma anche l’isolamento da quando egli risiede in Francia; il tedesco richiama alla comunità di appartenenza, ma è lo stesso idioma parlato dagli aguzzini nei campi di sterminio nazisti.

Dietro il continuo anelito alla ricerca di nuove soluzioni espressive permane la nostalgia della patria orientale perduta, la memoria dello sterminio di un popolo con una forte tradizione della ‘lettera’, del segno che è portatore di significato: la cultura ebraica.

L’attività della scrittura è condizione del vivere. E per scrittura s’intende anche la traduzione fra le lingue come percorso dialogico, interlocuzione fra linguaggi differenti, interpretazione di se stessi e dei propri pensieri. La vita come testo a fronte della scrittura, il pensiero come testo a fronte della manifestazione scritta del pensiero stesso. La traduzione, in tal senso, è figura poetica ed esistenziale.

Il libro mette in luce questo aspetto in maniera ancor più evidente proprio per come è strutturato: quattro capitoli sono dedicati all’aspetto di Celan come traduttore di poesia – da nove lingue diverse. Mandel’štam, Valery, Benn, Ungaretti, quattro poeti con cui egli ingaggia una personale lotta d’identificazione nel tentativo di ricomporre attraverso il dialogo la propria identità scompaginata dal trauma postbellico.

La domanda finale chiude a cerchio l’analisi. È possibile esprimere in forma poetica il trauma, la violenza e l’abnegazione umana dei campi di deportazione e sterminio nazisti?

Celan è la testimonianza della possibilità di raccontare in parola il dolore e darne una memoria. Il libro di Camilla Miglio ricostruisce questa originale interlocuzione con persone lontane nel tempo e nello spazio, con luoghi distanti sulle mappe geografiche, perduti nel tempo e nella memoria, nell’eco di situazioni estreme, quali l’esilio, la morte, lo sterminio, l’ombra della follia e della malattia mentale che ha accompagnato Celan negli ultimi anni della sua vita. Camilla Miglio si basa, nella sua accurata ricerca ai lasciti depositati presso l’Archivio Celan di Marbach. Le fonti sono di varia natura: testi dell’autore stesso, lettere, appunti.

(Irene De Lio)


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