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SLAVOJ ŽIŽEK, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, ed. orig. 2006, trad. dall’inglese di Marta Nijhuis, Torino, Bollati Boringhieri 2009, pp. 136, euro 12,00.

Nel suo racconto piů sornione e surreale – Bobňk (1873) – Fëdor Dostoevskij mette in scena un personaggio, Ivan Ivanovič, che se ne va a spasso per il cimitero di Pietroburgo e resta affetto da un’incredibile allucinazione sonora. Da sotto le tombe, uno strano parlottio di cadaveri gli rivela che i morti, prima di sparire nel nulla, vivono sottoterra una breve seconda esistenza. «Propongo che si passino questi due o tre mesi nel modo piů piacevole possibile e che non ci si vergogni piů di niente», dice uno di essi. Interpretato di solito come una farsa sulla morte di dio, questo racconto, secondo Slavoj Žižek, annuncerebbe un’altra veritŕ. Servendosi dell’arsenale concettuale di Jacques Lacan, egli nota come le voci dei morti rappresentino i fantasmi di un Super-io che ha invertito la funzione che gli attribuiva la psicanalisi freudiana: non piů istanza sovrapersonale e proibitiva, ma imperativo ineludibile, che nella collettiva coazione a godere cerca di mascherare il trauma di una realtŕ sempre piů inumana.

Spaziando – e spiazzando – dal cinema alla politica, dalla letteratura alta alla cultura popolare, analisi come queste hanno reso Žižek uno dei piů influenti e ascoltati studiosi della societŕ contemporanea. Per vocazione inattuali, i suoi libri, in forte polemica con gli approcci di tipo decostruzionista, considerano Hegel, Marx e Freud ancora le migliori guide possibili di una critica del presente. Cosě come In difesa delle cause perse (2009), Lacrimae rerum (2009) e Dalla tragedia alla farsa (2010) – le altre opere di Žižek recentemente tradotte in Italia – Leggere Lacan (2009) č pensato come un omaggio a questi filosofi. Ha cioč la funzione antropologica di un dono attraverso cui, come un mentale cavallo di Troia, stanare le ‘cause perse’ dal loro stanco passato, e rimetterle in gioco nel mondo di oggi.

Ripensando in particolare alla storia della psicanalisi, Žižek riprende alcuni concetti chiave di Lacan – come la distinzione tra ‘reale’, ‘immaginario’ e ‘simbolico’, oppure la nozione di «grande Altro» – per spiegare come il linguaggio e le azioni degli uomini facciano riferimento a un sistema di attese inconscio e collettivo, che li determina dall’esterno. Il concetto chiave č quello di «interpassivitŕ»: sommersi da stereotipi sempre piů pervadenti, gli abitanti della societŕ occidentale sarebbero diventati, con le proprie stesse parole, docili ingranaggi dei processi di rimozione della realtŕ da ogni forma di discorso pubblico. Dietro la frenetica circolazione di immagini manipolate, Žižek vede una sanguinante «piaga della fantasia», che ha ceduto ad astrazioni alienanti. L’invisibile meccanismo di questa resa puň essere descritto attraverso la storia di un operaio sospettato dai suoi datori di lavoro di rubare. Ogni volta che esce dalla fabbrica, i custodi ispezionano la sua carriola. Non trovano niente e lo lasciano passare, finché non si accorgono che č un ladro di carriole. «Non bisognerebbe mai dimenticare di includere nel contenuto di un atto comunicativo l’atto stesso», scrive Žižek: «la prima cosa da tenere a mente a proposito del modo di operare dell’inconscio» č che «non č nascosto nella carriola», ma č «la carriola stessa».

Come puň un’opera cosě complessa divenire uno strumento di critica letteraria? Leggere Lacan mostra come la dialettica tra realtŕ e finzione sia un groviglio inestricabile e contraddittorio, in cui ciascuna delle due parti gioca a scambiarsi e a confondersi nell’altra, come in una trama shakespeariana. Se non mette costantemente in discussione queste categorie, la critica si riduce pertanto a una «credenza destituita» da ogni potere di convinzione: «cultura», scrive causticamente Žižek, «č il nome di tutte quelle cose che facciamo senza credervi davvero, senza prenderle granché sul serio». Č questo l’atto di accusa che egli imputa alle poetiche dell’ironia – in particolare di stampo postmoderno – che, smascherando il carattere fittizio dell’arte, cercano di eliminare ogni contatto con il trauma dell’esistenza: «nella letteratura o nel cinema vi sono promemoria autoriflessivi che ci ricordano che quanto stiamo guardando č mera finzione. Anziché conferire a questi gesti una sorta di dignitŕ brechtiana, percependoli come versioni dell’alienazione, bisognerebbe denunciarli per quello che sono: vie di fuga dal Reale, tentativi disperati di evitare il reale dell’illusione stessa».

Rileggere Lacan, nella prospettiva di Žižek, č un antidoto contro queste derive della cultura contemporanea, che nei suoi sforzi di costruirsi come spazio autonomo dalla realtŕ somiglia al Charlie Chaplin di City Lights (1931), quando č colto per strada da un singhiozzo e finge le azioni piů assurde per occultarlo. Žižek crede che una cultura e una letteratura che vogliano essere forme di resistenza nei confronti della coazione a godere imposta dalle nuove forme del «grande Altro» debbano al contrario lasciarsi attraversare dal fascio di tenebre che proviene dal proprio tempo, ascoltare la voce di quel «suono spettrale che scaturisce dall’interno del corpo» che č l’inconscio, e accettarne il carattere deviante di «organo autonomo senza corpo, situato nel cuore stesso del corpo, eppure al medesimo tempo incontrollabile, come una sorta di parassita, un intruso straniero».

(Luigi Marfč)


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