« indietro Jorge de Sena traduce Pascoli di Guia Boni
Per ciò stesso che è poesia, senz’essere poesia morale, civile, patriottica, sociale, giova alla moralità, alla civiltà, alla patria, alla società. Nunca a poesia, é certo, transformou o mundo – mas o mundo nunca se transformaria sem ela.
Jorge de Sena è stato uno dei maggiori poeti, narratori e studiosi portoghesi del Novecento ed è stato anche un traduttore accuratissimo e generoso, generoso perché ha tradotto da tantissime lingue sempre con impegno e rispetto ammirevoli. Tra il 1973 e il 1978, riesce a realizzare il sogno di raccogliere le sue traduzioni poetiche in due volumi. In realtà, assisterà solo alla realizzazione parziale del sogno dato che il secondo volume uscirà postumo nel 1978, pochi mesi dopo la sua morte. Nel primo volume dell’antologia, intitolata Poesia de 26 séculos1, JdeS aveva raccolto cronologicamente le sue traduzioni che andavano dal primo grande lirico greco, Archiloco (VIII-VII secolo a.C.) fino a Nietzsche, morto nel 1900, mentre il secondo era dedicato al Novecento2, da Thomas Hardy a Carlo Vittorio Cattaneo. Per quasi quarant’anni – JdeS fa risalire la sua vocazione poetica al 1936 –, egli aveva portato avanti il mestiere di poeta, narratore, critico e saggista accostandolo a quello di traduttore: la sua prima traduzione pubblicata risale infatti al 1944. Così come risulta varia la sua opera letteraria altrettanto lo è quella di traduttore. Sono due attività che corrono parallele: la sua vena poetica si è costantemente alimentata alla fonte della traduzione da lui stesso considerata «parte da sua paixão criadora»3. Partendo dal presupposto che un’antologia è un dialogo aperto tra il curatore e il lettore, a maggior ragione, si può affermare che un florilegio di tradu- zioni – in cui alla scelta si affianca la difficoltà del tradurre – è un’opera dialettica che chiama in causa autore originale e lettore straniero, in cui il traduttore-poeta come un equilibrista conduce i versi da una parte all’altra per suscitare nuove risonanze in altri tempi e in altri luoghi, come peraltro già sosteneva Jorge de Sena: «Nada é mais actual que uma tradução – e traduzir poetas de todos os tempos e vários lugares só é possível, se se acredita que a humanidade se sobrepõe a todas as barreiras não só da distância, mas dos misticismos e oportunismos fáceis, dos quais o mito da ‘intraduzibilidade’»4. Da una parte, quindi, Jorge de Sena ripropone l’ideale della Weltliteratur di Goethe – una moderna letteratura mondiale basata sul reciproco scambio – e dall’altra, polemicamente, gli preme riportare il Portogallo – ormai da anni chiuso su se stesso – nella modernità, ridestandolo dal torpore ormai decennale: «o ampliarse a todos os tempos e lugares uma visão do mundo, que às vezes se chega a supor que Portugal teve e perdeu, encolhendo-se dia a dia num empequenecer perverso»5. In questa visione del mondo, Weltanschauung, l’Italia e la sua poesia sono, come c’era d’aspettarselo, assai presenti6, ma per questo lavoro ho deciso di limitarmi all’unica poesia di Giovanni Pascoli presente nell’antologia. Si tratta di Allora che non è tra le poesie più note del poeta italiano e pone difficili problemi di traduzione, ma che proprio per questo rappresenta un exemplum dell’atto traduttivo di Jorge de Sena, poeta mai scontato e traduttore estremamente raffinato. Prima di passare all’analisi della poesia di Pascoli, vorrei precisare che i testi presentati non hanno l’originale a fronte e che JdeS non specifica l’edizione su cui ha lavorato e questo, dal punto di vista filologico, crea qualche problema perché effettivamente non si riescono a mettere perfettamente in parallelo i due testi. A ogni poeta presentato nell’antologia è dedicata una scheda in cui il traduttore traccia rapidamente la biografia, lo situa nel panorama nazionale, sottolineando i tratti distintivi della sua poetica. Ma vorrei lasciare le ultime parole su questi due volumi antologici a JdeS: «estes volumes reflectem, também, o que sempre procurei, e insisto que se procure, através dos tempos, insaciàvelmente, toda a grande poesia deste mundo; e nela, particulares valores de independência de espírito, liberdade de pensamento, franqueza das emoções, rudeza de expressão, lúcido encantamento, agressividade insólita, concisão verbal, magnificência e audácia formais, gosto da grandeza, humor e sarcasmo, profundeza humana, coragem moral, e a suprema consciência da poesia como experiência última»7. Il Pascoli di Jorge de Sena Cominciamo dalla fine, cioè dalla scheda relativa a Pascoli – tradotta in appendice – dalla quale possiamo trarre alcuni elementi per chiarire il motivo della scelta di JdeS. A parte il gusto personale che lo fa propendere verso il poeta di San Mauro di Romagna piuttosto che verso Carducci, in Pascoli ritroviamo due aspetti condivisi da JdeS. In primo luogo, un simbolismo fatto di suggestioni, sfumature, attraverso il quale leggere le piccole realtà del quotidiano, cogliendo corrispondenze inconsuete che riverberano nella lingua poetica risonanze, sospensioni e musicalità e, in secondo luogo, l’impressionismo della soggettività dove si alternano uniformità e irregolarità. Interessante anche il riferimento finale a Fernando Pessoa ortonimo, come termine di paragone per un pubblico allora limitato al Portogallo, ma che oggi assume valore internazionale. Ci sono tuttavia altri due elementi, non esplicitamente citati nella scheda, sui quali vale la pena soffermarsi. Il primo riguarda la poetica dei due autori. Nella bellissima introduzione che apre l’antologia dedicata a Jorge de Sena8, il curatore e traduttore Carlo Vittorio Cattaneo analizza l’influenza esercitata da Rimbaud, sin dalla giovinezza, sul poeta portoghese. Alcuni temi che Cattaneo mette in evidenza come lo ‘sregolamento dei sensi’, lo straniamento del poeta («Je est un autre») e il poeta alla deriva (Le bateau ivre) sono riscontrabili anche nei versi pascoliani, attenuati, però, dal valore consolatorio della poesia. È la poetica espressa nel Fanciullino9, cioè la metafora dell’innocenza (Rimbaud adoperava l’immagine del poète-voyant), che vive in ognuno di noi e che, se liberata, dà voce alla poesia. Il percorso parallelo tra Rimbaud e Jorge de Sena a un certo punto si interrompe perché come scrive Cattaneo: «mentre il voyant Rimbaud si era indirizzato verso un volo metafisico. Jorge de Sena ha cercato di rimanere maggiormente ancorato all’uomo e alla realtà»10. Così come vi rimase Giovanni Pascoli che tese a valorizzare con la sua «poesia degli oggetti» – per riprendere le parole di Anceschi11 – le umili cose e il quotidiano. L’altro elemento, sostanziale all’impressionismo, riguarda la musicalità. Nel componimento che apre Arte de Música, JdeS ricordava che nel 1936 l’ascolto del preludio alla Cathédrale Engloutie di Debussy lo aveva indotto a far poesia per le sue dissonanze, per quell’immagine tremula che rappresentavano le «fendas ténues [da] vida»12. La poesia sgorga come musica, come ‘dissonanza’, tendenza al movimento, al dinamismo. Pascoli, dal canto suo, è il poeta che infrange le regole, evitando di subordinare le parti del discorso, adoperando la giustapposizione priva di congiunzioni, la ripetizione, il tutto in nome di una musicalità talvolta dissonante. A questo punto possiamo passare alla lettura della poesia di Pascoli.
La poesia Allora è inserita in raccolta con la quarta edizione di Myricae del 1897 e fa parte della serie Dall’alba al tramonto. Proprio per quanto detto prima sull’assenza dell’edizione di riferimento di cui avvalse JdeS, il testo che qui presentiamo è tratto dal volume di Gianfranco Contini, Letteratura dell’Italia unita13. ALLORA! Allora... in un tempo assai lunge Quell’anno! per anni che poi Un giorno fu quello, ch’è senza Un punto!... così passeggero, Metrica: quartine di novenari dattilici, cioè con accenti fissi di 2a 5a 8a. La parola finale di ogni quartina ripete quella iniziale: I, 1 «Allora», I, 4 «allora»; II, 1 «Quell’anno», II, 4 «quell’anno»; III, 1 «Un giorno», III, 4 «quel giorno»; IV, 1 «Un punto», IV, 4 «quel punto». E a sua volta, riprendendo l’incipit, il v. 4 rima col v. 2, fa sì che ogni quartina sia un’unità fonosimbolica. Nelle ultime due quartine vengono ripetuti i sostantivi («giorno», «punto») ma l’articolo indeterminativo del primo verso di ogni strofa («Un giorno», «Un punto») è mutato nell’aggettivo dimostrativo («quel giorno», «quel punto») in cui dall’indeterminatezza si passa alla precisione, non nel tempo e nello spazio, ma dell’animo del poeta. La scansione della poesia è, peraltro, un iter verso la riduzione del ricordo: «allora», «quell’anno», «un giorno», «un punto»: tutti elementi di un climax discendente. Col procedere del tempo il ricordo della felicità si sbiadisce e al poeta resta solo una sensazione della letizia passata. La contrapposizione tra passato e presente è accen- tuata dall’antitesi: «allora [...] non ora» (I, 1-2) in cui il tema della felicità passata si scontra con l’infelicità presente, la quale, tuttavia, non è mai esplicitata, ma opposta temporalmente con l’avverbio negato «non ora». Come se il ricordo della felicità (I, 2: «felice fui molto»; IV, 3-4: «molto ero / felice felice»), che apre e chiude il componimento, conferendogli circolarità, nonostante il rimpianto, abbia il sopravvento. Il gioco del rimando, dell’eco è affidato alle due simmetrie nelle quartine dispari: I, 3 e 4: «quanta dolcezza», «tanta dolcezza»; III, 2-3: «ch’è senza / compagno, ch’è senza ritorno» e alle ripetizioni intervallate (II, 3: «non puoi, mio pensiero, non puoi»; III, 4: «sì prima sì dopo») e alla rimalmezzo: IV, 1-2: passeggero/in vero. I quattro enjambement e la loro segmentazione discontinua (II, vv. 1-2 e 3-4; III, vv. 1-2; IV, 3-4) accentuano – soprattutto in II – l’inesorabile fugacità del tempo. Commento All’interno dell’unità fonosimbolica di ogni quartina aperta e chiusa dalla stessa parola, nelle quartine dispari c’è anche una bipartizione esplicitata dalla punteggiatura in cui troviamo i due punti (I) e il punto e virgola (III). Nella prima quartina compaiono due verbi «fui» e «mi giunge». Il primo al passato remoto fa riferimento alla felicità passata, mitigata, però, dal presente indicativo dell’altro verbo poiché il ricordo porta al poeta ancora «dolcezza». La felicità di un passato indistinto «Allora [...] in un tempo assai lunge», in contrasto con la condizione attuale del poeta «non ora», è comunque ravvivata dalla dolcezza del ricordo ribadita nei due versi successivi. Seconda quartina: nel primo verso, al ricordo preciso «quell’anno» viene aggiunta un’ulteriore specificazione, come nella strofa precedente (I, 1: «Allora [...] in un tempo assai lunge [...]»), qui gli anni a seguire (II, 1: «Quell’anno [...] per anni»). L’uso dello stesso verbo nel medesimo verso (II, 2) – «fuggirono», «fuggiranno» (v. 2) – in tempi diversi, passato remoto e futuro, indica lo scorrere ineluttabile del tempo, in cui è sottintesa l’attuale assenza di felicità, alla quale il poeta non può opporre resistenza. La seconda parte è un’invocazione al proprio pensiero, posto in un inciso vocativo «mio pensiero», affinché questo si rassegni a non cercare la felicità, ma a portarne con sé solo il ricordo. Nella terza, il tempo rimembrato si riduce via via: dall’allora indefinito, all’anno, arriviamo al giorno. L’uso del passato remoto «un giorno fu quello» accentua la distanza del ricordo. La sua unicità è, invece, data dall’impossibilità di ripeterlo («ch’è senza compagno») e dall’inesorabilità del non ritorno. La pausa, indicata dal punto e virgola, apre una riflessione più ampia e pessimistica: prima e dopo di allora la vita fu mera apparenza. Nell’ultima quartina, il ricordo si fa ancora più esiguo: un punto passeggero di cui il poeta neanche si accorse («che in vero passò non raggiunto») e che probabilmente ha recuperato solo in un secondo tempo, sottolineando l’incapacità dell’uomo di cogliere la felicità quando sopraggiunge e l’inevitabile rimpianto a posteriori. Eppure, nonostante la sua labilità, in quel momento il poeta è consapevole di essere stato felice. Questa poesia si muove sull’asse temporale scandito dalla sequenza «allora/quell’anno/ un giorno/un punto», in cui il ricordo della felicità, pessimisticamente, si riduce nelle dimensioni, ma al contempo – come in un diaframma – acquista, ottimisticamente, nitidezza. Anche i tempi verbali che aprono e chiudono il componimento – «felice fui molto» (I, 2) e «che molto ero / felice, felice» (IV, 3-4) – danno tale sensazione poiché dalla chiusura del passato remoto con cui la poesia esordisce, si passa all’indeterminatezza durativa dell’imperfetto, lasciando intendere che il ricordo possa servire da balsamo al presente e forse al futuro, tempo peraltro adoperato in II, 2. Nell’ultimo verso, seppur limitato a un punto, il ricordo della felicità è accentuato dalla ripetizione: «felice, felice». La traduzione OUTRORA Outrora, num tempo distante, Esse ano! Por anos que após Um dia ele foi... só uma essência Um instante... ai tão passageiro, La punteggiatura, tanto precisa ed eloquente nella poesia di Pascoli, in traduzione non corrisponde all’originale (l’assenza del punto esclamativo a chiusura delle quartine, la posizione diversa dei puntini di sospensione), ma non sapendo – come accennato prima – su quale testo si sia basato JdeS non possiamo affermare che ci sia stato un intervento da parte sua. Nella nota biografico-critica dedicata a Pascoli scriveva JdeS: «Gli ottosillabi portoghesi in cui abbiamo tradotto una delle poesie più belle e delicate [di Pascoli] corrispondono esattamente alla metrica originale»14. E difatti la metrica portoghese chiama «octossílabos» i novenari italiani, arrestando il computo all’ultima sillaba accentata. E, peraltro, il gusto e la sfida di mantenere il più possibile la metrica è uno degli elementi portanti dell’atto traduttivo di JdeS, il quale scriveva nel I volume: «Nelle traduzioni sono state rispettate sistematicamente, nella stragrande maggioranza dei casi, l’equivalenza di una traduzione verso per verso, le stesse organizzazioni strofiche e l’uso della rima seguendo schemi uguali o analoghi. Allo stesso modo, si è cercato, nei limiti del possibile, l’equivalenza metrica degli originali»15. E, infatti, anche qui, i suoi versi, dal punto di vista del ritmo, hanno sempre l’accento in 2a 5a e 8a. JdeS riesce quasi sempre anche a mantenere la rima, tranne nella seconda quartina (vv. 1 e 3) e proprio questo suo intento lo porta a perdere le corrispondenze – se si esclude I – tra incipit ed explicit di ogni quartina: II, «Esse ano», «na mão»; III, «Um dia», «dia tal»; IV, «Um instante», «tão feliz». Anche se in III il richiamo è evidente e il «tal» posposto acquista valore semantico. Prima di procedere, quartina per quartina, all’analisi della traduzione, vorremmo segnalare, anche se forse non ce ne sarebbe neanche bisogno tanto è evidente, la felicissima scelta di JdeS di tradurre ALLORA con OUTRORA. La traduzione letterale avrebbe potuto essere «então» che ha le stesse accezioni dell’italiano «allora», cioè: in quel momento e, per estensione, in quel tempo anche riferito al futuro. «Outrora», invece, significa «em tempos remotos, antigamente». Già dal titolo, JdeS condensa tutto il significato profondo della poesia. Analizzeremo i versi a coppia: I, 1-2: v. 1, JdeS è costretto a eliminare «assai» per mantenere il numero delle sillabe, visto che al «lunge»/«longe», portoghese, ha preferito, per una questione di rima, il trisillabo «distante». Nel verso seguente introduce il soggetto «eu» posposto al verbo, quasi a voler riprodurre l’inversione dell’ordine sintattico di «felice fui molto», mantenendo l’allitterazione in «f» e giocando sul rimando sonoro «tão/ não». I, 3-4: nel testo portoghese scompare il verbo. La frase nominale riesce a sostituire, nonostante l’assenza di movimento, l’idea del presente addolcito dal ricordo grazie a «no instante» al posto di «mi giunge». II, 1-2: traduzione letterale. Nel v. 2 viene introdotta la congiunzione «e» per questioni metriche. II, 3-4: parecchi sovvertimenti, in parte dovuti a questioni metriche: il vocativo «mio pensiero» (letteralmente: «meu pensamento»), è sintetizzato in «ideia» in cui va perduto il ripiegamento intimistico del poeta che, tuttavia, era stato introdotto, per compensazione, con «eu» (I, 2). L’ultimo verso è letterale fino alla virgola. Il pronome diretto «o», in «levá-lo», serve a compensare la perdita della ripetizione pascoliana nell’explicit. E l’ultima parte «na mão» ha funzione di parola rima. Vengono mantenuti i due enjambement (vv. 1-2 e 3-4). La terza quartina è l’unica in cui i versi 1 e 3 non hanno una rima perfetta: «após» e «podes». Qui JdeS ha optato per la consonanza «p» e «s» anche se «após» è tronco, mentre «podes» è piano. III, 1-2: «ele», adottato per ragioni metriche, è meno forte di «quello» e manca anche l’inversione dell’ordine sintattico «un giorno fu quello» vs «Um dia ele foi». Il secondo emistichio mantiene l’assonanza con quello pascoliano («essência» «senza»), ma sovverte la struttura («ch’è senza» «só uma es- sência») e si perde l’enjambement. Nel successivo verso viene condensato il significato con inversione dei due emistichi («senza compagno/sem retorno» e «ch’è senza ritorno/sem outro igual») ed è conser- vata l’iterazione («senza.../ senza») («sem...sem»). I due versi sono chiusi da un punto, mentre Pascoli, seguendo la struttura bipartita delle quartine dispari, aveva messo punto e virgola. III, 3-4: Il punto permette a JdeS di introdurre la congiunzione «E» in principio di verso per recuperare una sillaba. Il «sì» e la relativa iterazione («sì...sì») sono perduti, ma semanticamente recuperati con la posposizione di «tal» a «dia» che accentua la qualità del ricordo. «Após» (III, 4) richiama II, 1: «Por anos que após». IV, 1-2: «Un punto» vs «Um instante» con richia- mo a I, 3: «mas quanta doçura no instante». JdeS esplicita il significato, accentuando il valore temporale del climax: «Outrora», «Esse ano», «Um dia», «Um instante». Introduce nel secondo emistichio la nota di rimpianto «ai» forse per compensare le inevitabili perdite del verso seguente. Ma se Pascoli accentua con «che in vero passò non raggiunto» la mancata percezione della felicità passata, JdeS sottolinea, ricollegandosi a «um instante», la fugacità dell’attimo, passato «in men che non si dica». IV, 3-4: viene perduto l’enjambement con cui Pascoli introduceva l’io – sottinteso dalla desinenza dell’imperfetto «ero» che in portoghese viene perduta perché la prima e la terza persona hanno la stessa desinenza – accentuava la felicità del poeta e l’indeterminatezza temporale dell’attimo passato. JdeS introduce «eu» e propende per una soluzione parallelistica in cui i due aggettivi ripetuti («belo» riferito al passato e «feliz» al poeta), preceduti entrambi da «tão», si rispecchiano e si identificano, recuperando attraverso il sovvertimento, le partiture ritmiche e timbriche di tutto il componimento pascoliano.
Conclusione
Il carattere dominante di «Allora» e in genere del verso pascoliano è – come ha scritto Gian Luigi Beccaria16 – «la trama di richiami, di riprese simmetriche, di iterazioni, di parallelismi». Abbiamo visto come JdeS sia quasi sempre riuscito a compensare le perdite (incipit-explicit delle quartine), introducendo, per compensazione, risonanze anche non presenti nell’originale. Il nostro sguardo privilegiato, che ci permette di valutare sia il testo originale che quello tradotto, non può non cogliere come la traduzione di Jorge de Sena sia alla costante ricerca di quell’armonia in grado di coniugare ritmo e senso: un grande esempio di funambolismo poetico, di invenzione analogica. Appendice: La scheda su Pascoli di Jorge de Sena PASCOLI, GIOVANNI – Il Romanticismo italiano fu inaugurato da diverse figure, le più importanti delle quali prolungavano il sentimentalismo e il classicismo della fine del Settecento. Così – se si escludono i poeti minori e il Secondo Romanticismo paragonabile all’Ultra-Romantismo portoghese o brasiliano –, i grandi romantici italiani furono classicheggianti e portarono avanti modalità che avrebbero reso possibile il realismo della metà e della fine dell’Ottocento, realismo che, peraltro, era già presente nella letteratura italiana sin dalle origini. Le tre grandi personalità romantiche: Ugo Foscolo (1778-1827), Alessandro Manzoni (1785-1873) e Leopardi (1798-1837) rappresentavano rispettivamente, all’interno di questo quadro, il sentimentalismo, il romanticismo cattolico e il pessimismo romantico. A loro e al romanticismo idealizzante, cattolico, sentimentale (e soprattutto a Manzoni) si contrappose, in nome del materialismo e del positivismo ottocenteschi, Giosuè Carducci (1835-1907), per il quale la tradizione pagana non si rifaceva a un classicismo battezzato ma a un mondo antico da opporre al peso del cattolicesimo sulla vita italiana. All’eredità classica deve molto anche Pascoli che a Carducci succedette (1907) alla cattedra di letteratura italiana dell’Università di Bologna. Era nato a San Mauro di Romagna, oggi San Mauro-Pascoli, nel 1855, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri che precipitò dolorosamente nella morte e nella miseria, dopo il misterioso omicidio del padre, quando Giovanni aveva dodici anni. La rapida sequenza di tragedie famigliari ebbe un forte riflesso sulla lirica di Pascoli, conferendole una pungente nostalgia e un acuto senso della tragedia, colta nelle cose più piccole e intime della vita. Da questo punto di vista, Pascoli è l’opposto della veemenza e dell’intensità di Carducci, come del suo ‘satanismo’ che affondava le radici nel Romanticismo e nel Parnassianesimo francesi. In Pascoli, la sensibilità romantica, coadiuvata da un raffinato dominio della lingua, trasforma in simbolismo (un simbolismo che rifiuta tutte le pompe della scuola) una visione della vita al contempo semplice e magica. Tra la magniloquenza di Carducci, che lo precedette, e quella di D’Annunzio, a lui contemporanea, Pascoli figura come poeta minore, ma in realtà non lo fu. La sua poesia più apprezzata è quella di Myricae (1891). Morì a Bologna nel 1912. Il suo intimismo e la sua modernissima obiettività estetica avrebbero esercitato un’enorme influenza sulla poesia italiana del Novecento, quando questa reagì agli eccessi retorici. Gli octossílabos portoghesi in cui abbiamo tradotto una delle sue poesie più belle e delicate corrispondono esattamente alla metrica originale – e il lettore portoghese di certo noterà come il tono di Fernando Pessoa-lui stesso aleggiasse nell’Europa dei primi del Novecento. Note 1 Poesia de 26 séculos: I – De Arquíloco a Calderón; II – De Bashô a Nietzsche. Tradução, prefácio e notas de Jorge de Sena, Porto 1971-1972; ed. in un unico volume: Poesia de 26 Séculos: de Arquíloco a Nietzsche, Coimbra 1993 e in seguito Porto 2001. ¬ top of page |
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