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‘Isole galleggianti’ è metafora perfetta per le voci delle autrici sudafricane che si levano da tradizioni linguistiche e regioni geografiche diverse. Non un coro, dunque, propone questa antologia bensì una variegata ma significativa rassegna di poesie in traduzione italiana dall’inglese, lingua veicolare anche quando gli originali erano in afrikaans ma già tradotti in inglese. Sessanta anni di poesia, a partire dall’anno in cui il National Party saliva al potere e cominciava a promulgare l’odiosa legislazione razzista nota come apartheid. Le poesie di impronta socio-politica non mancano in questa raccolta con la loro semplice e fattuale urgenza – quasi da titolo di cronaca nera – che però trascende la Storia, come per Il bambino ucciso dai soldati a Nyanga: il bambino che voleva solo giocare al sole a Nyanga è dappertutto Nulla è precluso ora, neppure I Giardini della Biblioteca (Johannesburg): I gradini sono ombreggiati da scuro fogliame. In questo caso la rima alterna formata in inglese da «black blades» e «Blacks» non è stata mantenuta, laddove il fogliame sembra formato da «nere lame». E il «nero» e un tono «scuro» di colore prevale in molte poesie: «Stream in which the dark / sees nothing but the dark / with you I can speak / I know you better»; «the sun shall be covered by us / the sun in our eyes for ever covered / with black butterflies»; «a flower / with a face / black as the sun». Allo stesso modo s’insiste su ciò che si trova sottoterra: morti, ossa, vermi, filoni non sfruttati, la terra stessa. Questo giro di arcipelago di voci si connota di una esplicita firma di genere, quando figure del mito si stagliano solitarie come Galatea di Ruth Miller o Agar di Elizabeth Eybers; quando figlie poete si rivolgono alle madri: per ritrovare la voce di mia madre La poesia non è tutto, dicesti Come ancora in Le mani di mia madre di Yvette Christiansë o Le lingue delle madri di Makhosazana Xaba. Ancora, quando le voci si rivolgono al frutto del loro parto, come in Donna incinta di Ingrid Jonker o in Primo segno di vita di Antjie Krog, o raccontano la fiaba della buonanotte al loro bimbo, come in Silenzio arriva l’uomo del buio di Ingrid Jonker. Infine, il Rammendo di Ingrid De Kok e Lavoro d’ago di Karen Press sono sinistri poemetti su un’arte manuale che mima scrittura e dolore, tracce e assenza: La donna è intenta alla sua antica arte. Accanto a me da un’asta di metallo La Storia del Sudafrica percola dalle parole stillate e dai silenzi interminabili, intraducibili, intrascrivibili delle udienze della Truth and Reconciliation Commission che ha concluso l’era dell’apartheid nella seconda metà degli anni novanta: Ma come si trascrive il silenzio del nastro?
Quel che resta è un elenco di nomi di donne che per dinastia e retaggio, per caso fortuito o per coraggio hanno punteggiato la storia del Sudafrica, come isole galleggianti, da Sarah Baartman alla zia del re Shaka Zulu, alle infermiere, avvocatesse, insegnanti, madri delle poete di oggi e nelle loro poesie, «cose fatte a mano»; «parola per parola per parola»; costantemente «in cerca di parole», di un’identità di genere, di scrittura, di un ruolo, per piccolo che sia, nella Storia di un paese, il cui paesaggio mozzafiato non basta a farne un giardino e a fare di loro, tutte, delle cittadine a pieno titolo orgogliose. La traduzione di Paola Splendore rende merito a queste scrittrici con rispetto ed eleganza, e insieme all’introduzione di Jane Wilkinson offre una chiave esegetica per questa generosa antologia che documenta tutte le contrad- dizioni di un paese dalla storia tanto controversa come il Sudafrica. (Carmen Concilio) ¬ top of page |
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