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MARIA GRAZIA CALANDRONE, La vita chiara, Massa, Transeuropa, 2011, pp. 128, € 9,90.

 

 

L’ultimo libro di Maria Grazia Calandrone è ambizioso: parla della vita, vuole nominarla nella sua globalità. E ciò è evidente fin dal titolo. Ne La vita chiara, l’articolo indica infatti la volontà di definire la realtà, mentre l’aggettivo rinvia a un’idea di luminosa semplicità, di nitida comprensione del vivere. L’immagine scura della copertina contrasta però con il titolo: sotto un cielo cupo e nuvoloso si distingue la su- perficie del mare, tra le ombre si intravvede la sagoma di uno scoglio o forse di un essere vivente. Accostando un’immagine buia alla limpidezza del titolo, ci è ricordato che la vita è sempre avvolta da un alone di oscura sofferenza che tuttavia non impedisce il formarsi di un sentimento di calma accettazione, forse di gratitudine. La dimensione biologica della copertina inoltre precisa subito che per vita si intende una dimensione più vasta di quella umana che comprende tutto l’esistente. La prima poesia ha valore programmatico, ripropone alcuni temi tipici della Calandrone e indica la rotta da seguire. Il motivo della ferita emerge nei riferimenti al corpo e agli organi isolati in una specie di campo di battaglia: «Se io potessi aprirei il mio petto per farvi vedere / come gli organi se ne stiano spaiati, uccelli acquatici / al colmo / di un tetto, come tutto il mio corpo sia un campo aperto / dopo la rimozione degli alberi». Tipica dell’autrice è anche la prossimità di mondo umano e animale. La scena si fa addirittura criminale con il «passaggio di unità cinofile». Si mostra come l’«unico congegno espressivo / tra animale e uomo / sia lo stesso ripetere che sì, che sì ...», versi che fissano foneticamente nell’ansimare del respiro un comune dire sì alla vita, un’accettazione prima di tutto fisica. Siamo in presenza di un vero e proprio ‘libro di poesia’, strutturato in quattro sezioni che fanno riferimento agli elementi naturali (acqua, fuoco, terra e aria) e scandiscono una specie di avventura cosmogonica. La sfida è attraversare la materia, spingerla a dirsi per ricondurre l’umano agli elementi che compongono il mondo. L’Acqua è l’elemento liquido, in metamorfosi: accoglie il sangue indicando dolore e sacrificio, è mare mosso inteso come regno del pericolo, rappresenta l’elemento materno ed è simbolo di vita e trasformazione. Non a caso molte poesie della sezione finiscono con un riferimento positivo alla fratellanza e alla guarigione: «ma quel poco di bene solleva / dal nostro petto tutta la fermezza della terra» e «nel bozzolo / del corpo il delfino iniziava a guarire». Il Fuoco è invece l’ardore: è il bruciare del cuore di Maria durante la crocifissione, è la fiamma amorosa nei dialoghi con il mistico persiano Hafez, è la passione delirante del rapporto tra un carceriere e la sua vittima, tra Natasha Kampush e Wolfang Priklopil. La Terra è il mondo solido dei detriti, della storia e della guerra. Spiccano i componimenti dedicati alle stragi nazifasciste di Sant’Anna e Marzabotto: «Rastrellavano bambini come grani di sabbia e come sabbia / che ubbidisce al vento erano muti». Di fronte alla morte e al massacro, il dettato si semplifica, recupera forme più distese e narrative. Nella sezione Aria si rappresenta un moto di elevazione spirituale, un salire verticale della voce di Teresa d’Avila, ma anche un’aria musicale ironica come quella di Chopin. Maria Grazia Calandrone cerca una lingua nuova. Numerosi enjambements creano cesure, smorzano l’emozione di alcuni passaggi, caricano di mistero altri frammenti verbali. Qualcosa di simile avviene a livello lessicale. I termini tecnici (albedo, diorama, bombice, anellidi ...) hanno una funzione straniante di contenimento emotivo. Le associazioni analogiche («nel buio occipitale / ruota la luminosa / scalea della durata») e le composizioni nominali inedite («la curvaturamare»; «il tuo nome-intrico-di-luna»; «dal corpo-farina-di-luce») svolgono invece una funzione di concentrazione espressiva. La stessa parola chiave ‘cuore’, forse troppo abusata, è ora muscolo, ora sede degli affetti. Da questo scientifico e misterioso attraversare lingua e materia nasce il fascino della poesia di Maria Grazia Calandrone. L’indicazione della data di composizione dei versi esprime l’urgenza del dialogo tra scrittura e realtà, una realtà che si impone con forza evidente ed è vita chiara.

(Ambra Zorat)


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