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CLAUDIA POZZANA, Scelte, Bologna, Asterisco, 2006, pp. 169, s.i.p.

 

 

A dispetto del titolo che lascia ampi margini di interpretazione, la raccolta nasce strutturata come un fortino. Le sue quattro sequenze la squadrano con la precisione di un goniometro. Già la prima articolazio- ne si offre come precisa unità di misura: Segmenti singolari. L’invito è a riportare sul piano geometrico realtà e dimensioni non misurabili. Il tempo e lo spazio costituiscono le coordinate sull’asse cartesiano. Il reale può essere segmentato e ogni corpuscolo diventare un frammento di intuizione o di verità. Ma ecco l’aprosdóketon che spariglia le carte: «Si spengono orbite di stelle ... / Altri, / ma lucenti / questi anni felici, ... / soli misurabili nel tempo. / Senza misure invece / tenace energia di neuroni / dolenti senza oblio ...». Il pensiero si mette di traverso; la pioggia dei neuroni scompagina la certezza del conto finale. «Quale giudizio covi? ... Il distacco / degli anni matura, / veste d’Achille / i miei pensieri di tartaruga». Sta tutto qui il grumo di senso: nel paradosso della velocità della mente. Siamo impreparati alla «puntuale condensazione di evidenti ritardi» e così rubiamo il tempo ad «altri orologi» e «sballottolati poco in salute, arranchiamo increduli senza fermarci». A niente vale chiedere conto delle ore; manca la bussola del pensiero: «Eccoli misuratori e meridiane, barometri / e classidre, meccanismi analogici e / pendole completare quest’opera / disordinata». Così l’Autrice abbandona gli algidi spazi della dimensione intellettiva e riesce ad ammettere che «È il grandangolo che manca per accogliere contemporaneamente questa moltitudine formicolante» e ci traghetta là dove «ce ne fossero di tempi molti e diversi, nel fuggire del mare». Inizia un’ascensionale amicizia con il «mare di latte»; l’abbraccio del tempo si fa «invisibile lenzuolo d’amore». Numerosi si susseguono versi più distesi, anche nella misura e nella veste grafica. Persino la scelta della lingua, frutto del plurilinguismo che l’autrice coltiva quale studiosa di lingua e letteratura cinese, è veicolo di suoni e melodie che accompagnano e, al tempo stesso, ammaliano il viaggiatore come in «Sans Issue» o in «Zhejiang». Sentimento e memoria sono àncore di salvezza per quanto si guardino in cagnesco come duellanti. «Fine» suggella la prima sezione: è l’esito del duello che si apre al sogno. «Stava sognando un tempo da inventare» è l’ultimo verso che si riunisce al primo «Strade percosse da segmenti inauditi di tempo». Pertanto, non c’è meraviglia di fronte a «Nuova sequenza» se non quella di assistere al farsi di una storia innervata nell’io della poetessa. L’anelito ad Amore, quasi di cavalcantiana memoria nei gesti e negli sguardi, si risolve nell’esercizio poetico stesso. In «Dopo le rime», l’autrice è fin troppo esplicita: «Vorrei potermi moltiplicare / in ore di tempo da volare / per andare a trovare / qualcosa di me ...». L’eco finale si espande e si contrae, come un respiro, a volte un gemito. «Brevi e lunghe», la terza sezione della raccolta, fa da metronomo. Registra le altezze e le cadute vertiginose in paesaggi ora solari e rassicuranti, ora freddi di gelo e di paura. È il «Disagiato incontro» l’approdo: una caparbia lotta di chi, nonostante tutto, cavalca l’onda. L’ultima tappa, Newave, recupera lo scarto del caos. Si torna al mare.«Mira, l’ostrica malata fa la perla» è il primo verso di «Altra» e fa da contrappunto a «Spiragli tra gelida nebbia», il primo verso di «Spiragli». Il lessico manifesta ancora il caldo del pensiero che, finalmente, in «Veglia», è lasciato libero di scomporsi nel disegno di se stesso, di cadere o di inciampare, per poi trovare requie nello stato più infantile e naturale: il sonno.

(Antonella Bartoloni Saint Omer)


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