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Questo breve libro del poeta e scrittore fiorentino Alessandro Raveggi (1980) è una nuova conferma del fatto che la poesia epica, seppur spesso, come accade anche in questo caso, trasfigurata nella lirica, gode ancora di buona salute. Come annota Rosaria Lo Russo nella prefazione all’opera, il «lirismo cinico» e il «cinismo lirico» della successione interconnessa di poesie che compongono La trasfigurazione degli animali in bestie «è un capitolo di un’imponente raccolta, Habeas Corpus», e narra «la conquista del Messico». La trasfigurazione degli animali in bestie è una poesia-narrazione lacunare, allusiva, ‘bucata’, di un evento storico tra i più violenti della storia dell’umanità: la conquista delle Americhe, e in particolare del Messico, da parte dell’Occidente. Le tre sezioni che compongono l’opera sono significa- tivamente scandite da un titolo azteco (rispettivamente Huitzilopochtli, Mictlantecuhtli e Tlazolteotl) e da un sottotitolo italiano dal sapore mitologico e programmatico (rispettivamente Il feto assassino allo specchio (o la spiegazione), Il teschio dentato vestito di carta (o la sperimentazione) e La mangiatrice di sporcizia (o la trasfigurazione). L’opera è interamente tradotta in spagnolo (da Montserrat Mira), scelta piú che giusta poiché la lingua del ‘Conquistador’ diventa parte del racconto lirico e tenta per così dire di riscattare la propria colpa originaria accompagnando la sorella innocente: la lingua italiana. Innocenza apparente, tuttavia, quella della lingua italiana, nella misura in cui i navigatori italiani sono notoriamente all’origine della scoperta e dello sfruttamento del Nuovo Mondo. Innocenza impossibile, anche, nella misura in cui l’opera di Raveggi, a partire dal microcosmo della con- quista del Messico, tenta di contribuire a una storiografia universale il cui compito è, oggi più che mai, raccontare le colpe dell’Occidente. Purtroppo il dispositivo plurilingue del libro è minacciato dal formato stesso del testo a fronte che spezza faticosamente la continuità della lettura (è poi tutta una questione dibattuta e da dibattere quella dei limiti di un uso editoriale talvolta aprioristico del testo a fronte, pur con tutta la l’utilità di servizio – e non solo – che gli si può riconoscere). Esso, pur restando un formato valido in certi casi, spezza faticosamente la continuità della lettura e l’interconnessione narrativa tra i vari tasselli lirici del libro di Raveggi. E, se ci è concessa una breve parentesi critica su questa edizione di Transeuropa, il testo a fronte non è l’unico vizio di fabbricazione di questo e di altri libri della Casa editrice massese. La grafica e la tipografia sono approssimative, l’assenza di pagine bianche che separano la fine del testo dalla fine del libro dà al lettore una sgradevole sensazione di congestione, e le Note sull’edizione conclusive scimmiottano, secondo una moda piuttosto diffusa, i titoli di coda cinematografici. Felicissima invece la scelta di accompagnare ogni titolo della collana «Inaudita» con un cd audio, in questo caso co-realizzato dallo stesso Raveggi con il gruppo di musica elettronica A Smile for Timbuctu. Se si eccettuano, o si accettano, alcune elaborazioni della voce piuttosto grottesche, il cd è ricco di bei momenti e l’uso dell’elettronica è sapiente. Tra le influenze evidenti, all’incontro tra Aphex Twin, Morricone e il minimalismo da videogioco dichiarato nel quarto di copertina per descrivere il con- tenuto musicale del cd sono da aggiungere i sempiterni Kraftwerk. Il cd ha inoltre il merito di dialogare in modo fecondo e non illustrativo con il contenuto del testo. Tornando appunto al testo, l’abile e ritmica versificazione di Raveggi gioca, nel solco della migliore tradizione italiana, con i metri standard senza rispettarli, rimpiazzando gli accenti fissi con un affastellarsi di ictus e assonanze. A tale movimento di risacca e di ondeggiamento ritmico si affianca la successione delle immagini e dei fatti, rapida, elusiva, allusiva. Il testo è la punta di un iceberg di riferimenti, miti e storie che sono intuibili sotto la parola e forse in parte realmente comprensibili per i più esperti ed accorti. Tale effetto semantico, che potremmo chiamare ‘effetto di superficie’, per evitare di ricadere nella classica oscurità, può appesantire a tratti la lettura e persino insinuare la domanda sulla maturità di una poesia cosí configurata, in senso tanto estetico quanto cognitivo, ma esso è allo stesso tempo la cifra stilistica che dà sostanza all’opera, che la fa vivere, e va quindi rispettato come tale: «Poi fu detto / tirate su le croci al neon! / E fu fatto con dovizia, con incanto. / Io c’ero, ho il vantaggio del testimone, / folgorato dalla ghirlanda iodica, / che non me la reggevo dalla gioia, / e i vermi che mi germogliavano / nello stomaco, e si intestardivano / in questi grandi ideali». Questa ricognizione delle varie, complesse facce de La trasfigurazione degli animali in bestie non può infine non soffermarsi sul blend di registri stilistici e lessicali, vero e proprio marchio di fabbrica della poesia di Raveggi, che rivisita con originalità il «cozzare dell’aulico col prosaico» chiamato sovente in causa nel secolo scorso. L’improvviso «che non me la reggevo dalla gioia» nei versi appena citati ne è un perfetto esempio, ma si potrebbero citare numerosi altri luoghi: «Lui, il tizio degli innesti» (riferito a Dio), «zero complicazioni, tranquillo, ciccio», «a cavarsi le unghie coi ticket», «facendo la nostra porca parte», ecc.; innesti lessicali, appunto, che vengono inseriti da Raveggi senza transizione (salvo il corsivo in alcuni luoghi) nell’andamento elegante e musicale della versificazione, con un efficace effetto di distanziazione. (Alessandro De Francesco) ¬ top of page |
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