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HENRI COLE, Touch: Poems, New York, Farrar, Straus and Giroux 2011, pp. 80, $ 10,40. La prima antologia italiana dell’opera di Henri Cole raccoglie testi provenienti dai tre libri, premiatissimi, della maturità di questo poeta: The Visible Man (1998), Middle Earth (2003) e Blackbird and Wolf (2007). L’immagine dell’autoritratto ripresa nel titolo è una delle traiettorie principali segnate da queste poesie: l’autoanalisi e la costruzione di una problematica individualità. Potremmo guardare a questi testi come ad una galleria di dipinti che compongono una biografia intima di Cole intrecciando ricordi familiari, desideri, paure e sensazioni con una lingua schietta e limpida, elaboratissima nella sua apparente semplicità. Questo delicato memoir mette in luce le tracce impalpabili lasciate dalle esperienze, l’indelebile retrogusto dei fatti piuttosto che i fatti stessi. Potremmo chiamare questa poesia ‘confessionale’ e inserirla nel solco tracciato da Robert Lowell con Life Studies nel 1959, come viene spesso fatto, se il termine non suonasse ormai troppo connotato e forse anche un po’ datato. La scrittura di Cole è senz’altro autobiografica, ma è un autobiografismo temperato dalla straordinaria attenzione alla forma, tanto da apparire tematizzata. «Voglio che la forza / di attrazione schiacci la forza di repulsione / e che il mondo interiore ed esteriore si penetrino / a vicenda, come un cavallo frustrato da un cavallerizzo», scrive in Gravità e centro. La via verso questa unione, visualizzata nell’immagine ricorrente del cavallo e del cavaliere, sono ovviamente le parole. Il loro ruolo è esporre senza cesure la «stanza buia» della sua interiorità: «Non voglio che le parole mi separino dalla realtà [...] Non voglio niente / che riveli i sentimenti se non i sentimenti, come nella realtà, / o nella percezione della pace in uno spazio ulteriore, / o nel rumore d’acqua versata in una ciotola». Nei versi che introducono la raccolta Middle Earth il poeta si presenta come giardiniere intento a rimuovere i fiori appassiti dei suoi gerani, a «mantenere in vita un piccolo roseo / universo annerito» così come «un uomo solo riempie il vuoto con parole, / non per essere consolante o indicare ciò che è bene, / ma per dire qualcosa di vero che ha corpo, / perché è prova della sua esistenza». Il poeta come il giardiniere tenta in solitudine e con la sua arte di tenere in vita un piccolo universo continuamente minacciato affinché la verità più intima si manifesti in modo semplice e franco. Questo è il tema di tutta la poesia di Cole. L’autoritratto intimo tocca motivi legati alla sua biografia e al suo temperamento: il peso della solitudine, il desiderio sensuale e l’omosessualità, il rapporto con la madre franco-armena, col padre militare, con il Giappone, dove è nato nel 1956, e con la natura e le cose quotidiane. Un senso di frustrazione e toni malinconici spesso pervadono la sua scrittura che proprio nelle numerose immagini ordinarie si riscatta e trova la sua unicità: i fiori, gli insetti, gli animali più comuni come i gatti e i cavalli con i quali discorre o posa per le sue istantanee. «Le cose comuni sembrano simboli», scrive in Autoritratto con calabroni mentre osserva gli insetti muoversi intorno a lui e si interroga sulla propria vita. Il sonetto è la forma lirica prediletta da Cole. Ne troviamo, ad esempio, ben 29 fra i 34 testi di Middle Earth. Autoritratto con gatti illustra ampiamente questa scelta formale presentando anche alcune sequenze di sonetti fra cui Mattinata chiffon, uno struggente ricordo della madre in fin di vita, della sua difficile vita coniugale e della sua difficoltà ad accettare l’omosessualità del figlio; Apollo, un autoritratto intimo in 14 sonetti; e Vago, una serie di sei testi a tema erotico. Esplicito riferimento alla forma è Camelia nera, un rifacimento di un sonetto di Petrarca. Ma i 14 versi di Cole rivivono liberi dalle maglie più rigide del modello e si modulano in schemi e combinazioni originali, animati, come sempre in questo poeta, dalla lingua limpida e diretta e da quel mondo minimo di insetti, fiori, gatti, uccelli, lupi e cavalli che popola i suoi versi. Nel 2010, Cole ha raccolto un’ampia scelta dai suoi sei libri nel volume Pierce the Skin: Selected Poems, 1982-2007 presentando cronologicamente le tappe della sua scrittura nell’arco di 25 anni e i mutamenti stilistici dal realismo giovanile al sofisticato espressionismo della maturità. Il nuovo libro, Touch: Poems, uscito il settembre scorso, riprende nelle tre sezioni tutte le tematiche di Cole. Come è stato scritto, è una resa dei conti psicologica e emotiva. La malattia e la morte della madre (di ogni madre) avvia il tono elegiaco nella prima parte; la fragilità umana e la guerra risuonano nella seconda; la turbolenta relazione sentimentale con un tossicodipendente riporta al tema della (omo)sessualità nella terza. Trionfano ancora i suoi testi di 14 versi: 43 su 52 poesie ed ognuna delle tre parti composta di 14 testi. Il suo bestiario si amplia per accogliere animali e insetti elevati a figure totemiche. Nella seconda parte, in Pig, colpisce l’analogia fra un maiale pronto al macello e il poeta: «Poor patient pig – trying to keep his balance [...] like a man / in his middle years struggling to remain / vital and honest». Questo nuova autobiografia in versi è ancora più intima ed elusiva delle precedenti anche per la lin- gua sempre più controllata ed evocativa. Come si legge in Orange Hole, l’ars poetica, di Cole punta a introdurre « the idea of beauty as a salve / and of aesthetics making something difficult accessible». La bellezza viene estratta anche dal dolore e dagli episodi più crudi che Cole narra vividamente. In Cherry Blossom Storm un intervento chirurgico della madre è descritto in modo realistico: «Then a collar incision / was made at the base of my neck and strap muscles / incised, the dissection continuing sharply over / both my lobes as inferior vessels and veins / were isolated, litigated, and divided». La realtà si unisce alle meditazione, ai sogni, all’immaginazione, e si fonde con le emozioni in una raffinata orchestrazione di toni che vanno dall’elegiaco all’erotico. In questo sta il significato del titolo: ogni elemento si tocca e vive delle relazioni che innesta nella simmetria dell’architettura imposta al volume. Le parole della madre in epigrafe alla prima parte, «Don’t be an open book», sono l’avvertimento che dà vita a un compromesso fra la sincerità biografica e la forma poetica prediletta. Il sonetto anomalo di Cole tende però verso la libertà come la sua biografia tende verso una regola che la racchiuda e la strutturi. Anni fa, Harold Bloom proclamò la centralità di Cole fra i poeti della sua generazione. Oggi anche i lettori italiani potranno mettere a confronto la sua scrittura con le diverse espressioni poetiche, altrettanto significative e centrali, che sono maturate in quella generazione. (Antonella Francini) ¬ top of page |
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