« indietro Philip Morre: CAROL ANN DUFFY, Estasi, Roma, Del Vecchio Editore 2008, pp. 184, €13.00 Con la sua brillante raccolta d'esordio, Standing Female Nude (1985), Carol Ann Duffy sembrò fare il suo ingresso sulla scena letteraria armata di tutto punto così come Atena uscì dalla testa di Zeus. In realtà all'epoca di questo suo eclatante debutto era già trentenne, trattandosi quindi piuttosto del frutto di una lunga maturazione. La sua prima plaquette infatti, Fleshweathercock and Other Poems risale al 1973, ossia l'anno prima che la diciannovenne Carol Ann incominciasse una lunga convivenza col “Liverpool Poet” Adrian Henri, da 23 anni più vecchio di lei, e che darà per lo più il suo frutto letterario con la pubblicazione di una breve raccolta a due mani Beauty and the Beast (1977). Facciamo un balzo in avanti nel tempo sino al 2005, ed ecco arrivare Rapture, vincitore del prestigioso T.S.Eliot Prize nonché accolto con un certo entusiasmo ben oltre il striminzito pubblico degli abituali lettori di poesia. Forse proprio questo doppio riconoscimento ha invogliato la sempre coraggiosa casa editrice Del Vecchio a pubblicare un'edizione romana con traduzione a fronte a cura di Bernardino Nera e Floriana Marinzuli. Meglio sarebbe stato resistere: è la peggiore silloge uscita dalla penna di un importante poeta inglese in lingua italiana dopo le Birthday Letters di Ted Hughes. Bernardino Nera ci ha fornito una introduzione molto istruttiva che ripercorre la carriera della Duffy a partire dallo Standing Female Nude attraverso il consolidamento della sua reputazione avvenuto con Selling Manhattan (1987), The Other Country (1990) e Mean Time (1993) sino al apertamente femminista tour de force in voci varie The World's Wife (1999). Nera giustamente sottolinea il suo “sguardo introspettivo, amaro e disincantato”, e questa voce lucida, quasi spietata, è indubbiamente la nota chiave di tutto il suo lavoro migliore. Lo sguardo di Estasi / Rapture, invece, è incantato a perder fiato e sdolcinato quanto l'Aperol. Esistono sicuramente versi migliori di questi nei diari di scolarette con una cotta per la maestra di ginnastica. Le 52 poesie seguono in modo banale una storia d'amore lungo le 52 settimane dell'anno avvalendosi di una gamma straordinariamente ristretta di parole “romantiche” standard: “moon”, “rain” e “river” spuntano ciascuna in almeno un quarto di queste liriche, affiancate da “stars”, “tears” “gold” “roses” tutte in comparizioni multiple. Perfino “swoon” (svenire per sopraffazione emotiva), finora consegnata alle spiagge più fiorite della narrativa rosa, non manca all'appello: alla pagina 30 “we swooned”, alla pagina 38 è il turno delle api “swooning bees”, alla 140 addirittura “a cloud swoons”. “Dawn” è spesso un'ingrediente scoraggiante nella poesia contemporanea , ma “soft, unbearable dawns of desire” (da Swing / Altalena) merita un premio speciale per la caramellosità. Altre immagini sono trite (“happy as wedding guests”), vuote (“grey as a secret, the heron”) o assurde: “the rain came down like a lover comes to a bed” (sgrammaticata quest'ultima per giunta). Il punto più basso di questa poetica parabola è giunta con Quickdraw / Manolesta che nel suo complesso è così ridicolo ad essere persino imbarazzante a leggere; ma tanto Tea / Tè che Betrothal / Fidanzamento non ne sono lontani. Forse al massimo due o tre poesie potranno essere esumate dalle macerie per un futuro Selected Poems, ed è particolarmente increscioso che la migliore di esse Unloving / Insensibile sia stata fraintesa dai traduttori (altrove generalmente attendibili): “unloving” qui ha chiaramente il senso, sebbene insolito, di “disfacendo, scucendo l’amore”, piuttosto di “insensibile”. C'è forse da aggiungere che la nota 8 sulla pagina 158 evidenzia i pericoli e le insufficienze di una ricerca sull'internet: “Dear heart, how like you this?” e sì il titolo di un romanzo recente di Wendy Dunn, ma sia l'autrice che Ms Duffy sicuramente fanno riferimento più indietro nel tempo ad una poesia ben conosciuta di Sir Thomas Wyatt. Nel 2005, quando i giudici in tutta la loro saggezza consegnavano il Premio T.S. Eliot a Rapture c'era anche nella rosa dei candidati The State of the Prisons di Sinéad Morrissey, un opera, va senza dire, di tutt'altro rilievo, nella quale si trovano i seguenti versi (da Reading the Greats):
Is it for their failures that I love them? Ignoring the regulation of Selected Poems, with everything in that should be in – all belted & buttoned & shining – I opt instead for omnivorous Completes. For their froth. Their spite. For avoidable mistakes: Larkin on Empire, say, or Plath on Aunts.
Al quale dovremmo aggiungere “Duffy on Rapture” – pur non dimenticando che al suo meglio, Carol Ann Duffy non sfigura affatto nella compagnia di Larkin o di Plath. Dopo (viene voglia di scrivere: nonostante) la pubblicazione in Inghilterra di questo libro, la Duffy è stata nominata “Poet Laureate”, un ruolo che il precedente incaricato Andrew Motion è riuscito a dimostrare tutt'altro che anacronistico. È la prima donna ad indossare questo storico manto e c'è ogni motivo per aspettare che lo porterà in un modo originale e battagliero – tanto più se riesce a riscoprire quello “sguardo amaro e disincantato”. Philip Morre
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