« indietro LAURA ACCERBONI, La parte dell’annegato, Roma, Nottetempo, 2015, pp. 80, € 6,50 è il secondo libro di poesie di Laura Accerboni, che ha già pubblicato Attorno a ciò che non è stato (Edizioni del Leone) nel 2010. Questa ultima raccolta è divisa in tre parti: una prima sezione omonima, che comprende sedici testi: una seconda più ampia, intitolata Solvay, che ne include trentadue; una terza, La parte di Amleto, con dodici poesie. Si possono identificare due caratteristiche che danno coesione al libro: la prima riguarda la forma, cioè il modo in cui l’autrice sceglie di andare a capo; la seconda è il grande assente di questo libro, ovvero la prima persona. Ma andiamo con ordine. Leggendo La parte dell’annegato salta agli occhi innanzitutto una peculiarità di tipo stilistico: la brevitas. Tutti i testi sono molto brevi, la lunghezza massima è di due pagine. La brevità caratterizza anche il verso, che oscilla tra le due («Chiudi») e le undici sillabe, con una prevalenza per quelli di tre, di quattro e di cinque. La concisione dei versi comporta l’uso intenso dell’enjambement, che serve anche a creare effetti di straniamento, in particolare negli incipit dei testi («La spiaggia / ha un sapore / di soap opera/ sul davanti ») o nei versi finali («tu hai una famiglia / FA-MI-GLIA»; «mentre dormi / e ti luccico/ in testa / luccico, / e non respiro»). C’è un secondo aspetto che determina l’unità di questo libro e che lo rende interessante: nonostante la forma scelta possa sembrare riprendere una parte della tradizione lirica italiana, il contenuto è molto diverso, a partire dal fatto che non vi prende la parola un personaggio lirico. Vi sono, invece, molte voci: a volte viene usata la prima persona, ma questa non coincide con l’io dell’autrice, né è la stessa in tutto il libro («Il sorriso nuovo / lo metto solo / quando esco / [....] Ho anche dieci figli / e un piccolo cane / da passeggio»); in altri casi è impiegata la terza persona, singolare e plurale, in forma impersonale («Si sconta sempre / qualcosa»; «Si esce con stelline / brucianti / a rapido spegnimento / che per pochi secondi / sono simili / all’eterno »; «Domani la città / sarà deserta: / si preparano / migrazioni / verso set / più belli»); lo stesso effetto di impersonalità è ottenuto, infine, con la prima persona plurale («Rimandiamo i nostri debiti / i nostri debitori / le banche / le mani alzate»). Sia l’uso dell’enjambement sia la presenza di molte voci contribuiscono a creare un effetto di straniamento. L’attenzione di chi legge si sposta dal soggetto che prende la parola al contenuto del testo: di cosa parla La parte dell’annegato? Alcune indicazioni provengono dalle Note finali. Ad esempio il titolo della seconda sezione, Solvay, è quello di un’industria belga internazionale che ha alcune sedi in Italia: Accerboni si riferisce a quella di Rosignano Solvay, in Toscana. A causa dell’inquinamento creato dagli scarichi degli impianti, l’ambiente locale si è trasformato in modo profondo: l’acqua del mare ha un colore irreale e la spiaggia ha una sabbia chiarissima. Ancora le Note svelano il senso della terza sezione: La parte di Amleto è una risposta in versi ad alcune pagine di un romanzo del giornalista Salvatore Bruno, scritta in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario del Gruppo 63. Altri riferimenti rimandano al traffico di organi, a un capitolo di La bellezza e l’inferno di Roberto Saviano, ad episodi di violenza domestica o di abuso di donne e bambini (non solo in Italia). Nei testi di La parte dell’annegato ci sono spesso ripetizioni, anafore, tautologie («Ieri il bambino più alto / [...] ha dimostrato a sua madre / ciò che una bocca può fare / [...] e che una casa distrutta / è solo una casa distrutta. / Ieri tutti i bambini più alti / [...] Hanno dimostrato alle madri / l’ordine»), versi ellittici del verbo («La tradizione del vivere / la distruzione senza fretta, / un paese sconfitto / da migliaia di scimmie / urlanti»). Queste caratteristiche, che ricordano certa poesia sperimentale italiana, contribuiscono a mimare il caos del mondo contemporaneo di cui Accerboni parla, ma in modo straniato e non immediatamente riconoscibile; ne riproducono la violenza, talvolta anche attraverso effetti di splatter («come ragni / sputiamo fili /da ogni parte / e ci mangiamo / in mancanza di altro»). Ne emerge un interesse che potremmo definire di tipo civile: molte poesie si riferiscono a casi di cronaca; ancora nelle Note si legge che il libro «raccoglie poesie scritte tra il 2011 e il 2014. Qui uomini e donne restano intrappolati nella ripetizione del peggio». La poesia mostra il peggio attraverso una osservazione distaccata, mai commentando gli eventi in modo diretto, per sfuggire a un rischio che in alcune pagine forse rimane: quello della retorica. Accerboni è nata a Genova nel 1985; come per molti appartenenti alla sua generazione, anche per lei questo secondo libro contribuisce alla definizione di una voce. La cosa più interessante di questa autrice è la fusione di elementi tradizionali e elementi più sperimentali, che determinano – insieme alla vocazione civile – una pronuncia del tutto personale. (Claudia Crocco) ¬ top of page |
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