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ANTEREM. Rivista di ricerca letteraria, a. XL, n. 90, giugno 2015. Direttore: Flavio Ermini, direzione e redazione: via Zambelli 15, 37121 Verona, direzione@ anteremedizioni.it, pp. 91, € 20,00

La rivista Anterem festeggia i suoi quaranta anni e dedica i due fascicoli dell’annata a temi filosofici che riguardano il ruolo della poesia come strumento di conoscenza profonda dell’essere. Il primo fascicolo del 2015 ha come tema Le vie dell’errore. Come viene spiegato da Flavio Ermini, che firma l’editoriale, l’essere umano si colloca tra un esserci provvisorio, che rappresenta la molteplicità delle apparenze, e l’essere definitivo e invisibile. Con la scrittura possiamo mettere in comunicazione i due contrari: «la verità dell’essere e l’errore dell’apparenza». Si dichiara così l’urgenza di una parola poetica che sappia esprimere il rapporto tra essere e divenire, interpretando la verità (a-letheia) come svelamento (Heidegger). Parmenide descrisse due percorsi, uno che conduce all’essere e uno che conduce all’apparenza, cioè la via dell’errore. Pensare all’essere non pregiudica tuttavia la possibilità di indagare il molteplice: questa duplice ricerca è quanto la poesia è chiamata a fare. Data la natura filosofica del tema, vi sono molti contributi in prosa (tra cui quelli di Franco Rella, di Ryōko Sekiguchi tradotto da F. Scotto, di Pierre Reverdy tradotto da A. Marchetti, di Marcelin Pleynet tradotto da A. Schellino, di Yves Bonnefoy tradotto da F. Paoli). Tra i testi poetici presenti nel numero si leggono alcune poesie del compositore Giacinto Scelsi (da L’Archipel nocturne e da La conscience aiguë) tradotte da D. Brancale, che è presente anche come autore con il testo Impenetrabile spessore sull’anima; poesie di Laura Caccia (da Trahĕre. Le dispersioni felici); un testo dell’artista Camillo Capolongo (Il tempo indicativo), uno di Tiziano Salari (Una luce straniera), uno di Giorgio Bonacini (Una smisurata dimensione).




ANTEREM. Rivista di ricerca letteraria, a. XL, n. 91, dicembre 2015. Direttore: Flavio Ermini, direzione e redazione: via Zambelli 15, 37121 Verona, direzione@ anteremedizioni.it, pp.91, € 20,00

Il secondo numero del 2015 è dedicato all’altrove dell’erranza; vi si propone una riflessione che, partendo dal pensiero parmenideo (di cui è anche l’esergo dell’editoriale, a firma del direttore Flavio Ermini), investe il ruolo del poeta e della poesia in relazione alla vita umana e ai modi in cui si può testimoniare l’esistenza autentica. La scrittura, specie quella poetica, è comprensione dell’essere e costringe il poeta ad un percorso doloroso e complesso, segnato dal divenire. Accorgersi di vivere - spiega sempre Ermini - implica la consapevolezza e l’accettazione di questo processo imposto dalla natura; il decorso dell’esistenza, per quanto doloroso, è il processo dell’essere verso il divenire e spetta alla poesia elaborare una «comprensione dell’esistenza fedele al suo fluire». Il poeta, nel suo percorso solitario, si fa interprete del transeunte e cerca di fornire una risposta alla precarietà, una risposta che sappia giungere all’essenza, oltre il concetto comune di realtà. Tra i brani poetici antologizzati si leggono testi di Emily Dickinson (1071) tradotta da S. Raffo, di Remy de Gourmont (Passi sulla sabbia) tradotto da A. Marchetti, di Anne-Marie Albiach (Flammigere) tradotta da M. Orbino, di Carlo Sini, di Enrica Salvaneschi e altri.





ERBA D’ARNO. Rivista trimestrale, n. 140, primavera 2015. Direttore: Aldemaro Toni. Sede: P.zza Garibaldi 3, 50054 Fucecchio. info@ederba.it, tel e fax 0571 22487, € 10,00.

Questo numero della rivista ospita contributi di prosa (tra cui E. Guidi, Chisonochi; A. Guarnieri, La legge del padre), epistole (quelle di Luigi Testaferrata e il carteggio di Parra-Montanelli-Ristori), brani dedicati al territorio (D. Bertoldi su Firenze; M. Guerrini su Empoli, P. G. Leo sul Valdarno inferiore e simili). Per la sezione poetica si segnala la recensione di L. Lenzini a Danielle, un poemetto di Rosalba De Filippis collocata dal recensore nel solco della tradizione di genere che, dalla Wolf alla Weil alla Morante, ha dato voce e ha tentato una risposta alla crisi delle donne. Nella sezione dei testi si legge In memoria di Elena, una delicata poesia di Antonio Spagnuolo in cui si evoca l’amore sensuale e la giovinezza perduta; Elena, la propria donna o la Bellezza, lascia dietro di sé il vuoto del tempo che inesorabile avanza. Il tema, pur frequentato, è risolto dall’autore senza indulgere al ricordo lamentoso; il brano è sigillato con un’immagine di una certa efficacia poetica: «Non c’è rimedio alcuno per riaverti / (…) per i giorni perduti, / per la solitudine che il timore decide / così come corteggia quei brandelli / del nudo mescolato alla preghiera. /Anche lo specchio ha tremori inconsulti, / nel furore che fulmina i miei gesti, / perché sei amante che raccoglie lo smalto, / intercciando l’angoscia che mi opprime». Corrado Marsan dedica la poesia XII di Ut pictura poesis ad Antonio Possenti, in particolare ad una sua mostra (Io dico: la neve) che si tenne a Cortina d’Ampezzo il 30 gennaio 1993. Il catalogo della mostra, edito dalla Fondazione Pandolfo Cultura, come ci informa l’autore nella nota in calce al testo, accoglieva anche brani di Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Andrea Zanzotto e Pietro Bigongiari (promotore e ideatore dell’iniziativa). Marsan affida a questi versi le impressioni visive e i ricordi poetici, le conversazioni con gli amici di allora, tutti evocati nel testo attraverso le loro parole (il meriggio, l’ondivaga carezza, la zanzottiana volpazza, etc.). Lo stile è piano, mentre la lingua della composizione, fortemente connotata da quella degli amici poeti, si mantiene su un registro alto, carica di locuzioni allusive e volutamente complesse (strenue erme rampanti e cariatidi aureolate; illune pelago montano; in perfida esuvia e simili), in un susseguirsi di immagini che ripercorrono la condivisione di cose e parole amate. Il congedo è affidato al vento di Bertolucci, «emblematico e invero struggente».





NUOVA CORVINA. Rivista di italianistica dell’istituto italiano di cultura a Budapest, 1088, Bródy Sándor u. 8. Numero 27 giugno 2015, pp. 159. Direttore: Gina Giannotti. E-mail: iicbudapest@esteri.it

L’argomento monografico di questo numero della rivista è La Grande Guerra; nella prima sezione, che è quella tematica, si segnalano alcuni contributi dedicati a testi poetici. G. D’Angelo, Musica e guerra: l’universo sonoro intorno alla Prima Guerra Mondiale, analizza sia il rapporto tra suoni e silenzio nell’evento bellico che il ruolo della musica di propaganda. Partendo dai testi onomatopeici futuristi come l’Arte dei Rumori di Russolo o Zang Tumb Tumb di Marinetti, approda al poeta d’avanguardia Géza Gyóni, che esordisce come pacifista, parte poi volontario e, una volta al fronte, guadagna immediatamente uno sguardo lucido e disincantato sulla guerra, come nella famosa Csak egy éjszakára (Per una notte sola) in cui si auspica che i guerrafondai vengano portati, anche per una notte sola, al fronte «quando la macchina di morte fa musica sopra di noi». Si passa quindi ad osservare che molti autori hanno invece parlato del timore che incuteva il silenzio, come nella famosa canzone Muti passaron quella notte i fanti o come Alban Berg nel Wozzeck o ancora Ungaretti in Veglia («la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio»). J. Pál, «La guerra m’ha raggiunto!». Degli scrittori nelle Alpi Giulie, parla del singolare clima culturale sviluppatosi nelle zone triestine, dove gli autori mitteleuropei condividono un sostanziale antibellicismo e un timore generico per il futuro, come una sorta di cattivo presentimento che li accomuna: Svevo, Michelstaedter, Sweig, Stuparich, Slataper, Saba, Józef: «l’inverno / è la stagione più bella per chi solo per gli altri / sogna una famiglia, un focolare» (trad. di Tomaso Kemeny). R. Ruspanti, All’ombra della Grande Guerra: incontri, incroci e scontri fra Italia e Ungheria nelle rispettive culture e letterature, apre il contributo con la poesia Brrr…bum…bum bum di Lajos Kassak (di cui offre una sua traduzione italiana a testo, l’originale in nota). Il poeta, fondatore dell’avanguardia ungherese, già nel 1915 componeva un testo dai suoni futuristi ma dai contenuti che descrivono le atrocità della guerra. La visione di Kassak, osserva Ruspanti, non è però radicale come quella di altri poeti italiani (Ungaretti), infatti Marinetti e Kassak si scontrarono, vigorosamente e verbalmente, in un albergo di Vienna nel 1924, perché in disaccordo sulle cause del casus belli, non per la visione generale del fenomeno. Molto più radicale nei riguardi del bellicismo marinettiano fu l’avversione di Endre Ady, grande poeta magiaro che palesò le proprie posizioni antimilitariste a più riprese nella rivista Nyugat e in varie liriche in cui prefigura e poi lamenta l’amara fine della sua nazione (Üdvözlet a győzőnek, Saluto al vincitore: «questo nostro cuore bello, povero, / grondante sangue […]; il Magiaro è un popolo triste, infausto / […] e adesso, su, venite, vincitori: / saluto al vincitore». Traduzione di Roberto Ruspanti; la versione originale si legge in nota). L. Tassoni, in Ungaretti 1916: «Il porto sepolto», propone una lettura della nota raccolta ungarettiana partendo dall’organizzazione delle poesie, un montaggio sequenziale voluto dall’autore, secondo lo studioso, che giustifica la «composizione del libro malgrado il diario» e individua tre poesie la cui collocazione, proprio perché non dovuta alla cronologia, è particolarmente rilevante e aiuta a capire il percorso ideologico e poetico sotteso al libro. Il poeta, precipitato dalla vita in trincea alla condizione di una precarietà che diventa la cifra costante dell’esistenza, prova a recuperare, come un atto di risarcimento, un nesso ancestrale: così si spiega la poesia d’apertura, dedicata all’amico parigino morto suicida, che costituisce una sorta di discesa agli inferi e reca in filigrana il tema del pericolo di smarrire le proprie origini (il mitico porto di Alessandria d’Egitto); sempre tese al recupero della memoria personale sono le strofe di Lindoro di deserto, con cui si aprirebbe, ufficialmente, il Porto sepolto. La successiva alterazione dell’ordine cronologico nella sequenza di poesie si registra con Perché?, volutamente collocata tra Destino e Fratelli, due testi evidentemente contigui. L’ultima trasgressione cronologica si rileva in Paesaggio, testo denso di allusioni tematiche al passato africano, all’amico suicida della lirica d’apertura, alla calma dei tramonti passati contrapposta alla minaccia di quelli presenti: solo la parola poetica, destinata a durare più degli accadimenti quotidiani, può preservare la «‘limpida meraviglia’ del ‘delirante fermento’, che è l’autentica conquista del Porto sepolto». Sempre a Tassoni si deve un breve contributo dedicato agli 85 anni di Achille Curcio (La poesia fa i conti con la memoria. Per gli 85 anni di Achille Curcio), i cui primi libri escono negli anni ‘70 del secolo scorso a Bologna, per Cappelli (Lampari, Hjumara). Curcio è un poeta dialettale che comincia a pubblicare in un momento complesso per la poesia in dialetto, che conta estimatori ma anche ritrosie da parte di alcuni intellettuali e specialisti. Il dialetto assume connotazioni diverse per ciascun autore (memoria, meraviglia, nostalgia); per Curcio rappresenta una lingua altra attraverso cui partecipare alle grandi esperienze poetiche contemporanee, il suo canto racconta l’io immerso nella storia, la sua dialettalità è radicata in una memoria della lingua. Nella parte finale del contributo lo studioso anticipa due liriche dal volume E n’atru jornu, di prossima pubblicazione (nelle note si legge la versione italiana redatta dall’autore). La prima si intitola U’ ventu d’o tempu, in cui il vento è presenza invisibile ma tangibile tra le cose, a volte piacevole, a volte molesto, ma garanzia dell’esistenza del soggetto lirico («certi voti sonnu / nu celu senza ventu, / che mi canta na litania ‘e silenziu. […] / Domana tornu ‘u campu e su’ cuntentu cà ciangiu e ridu ancora»); la seconda si intitola Ancora, un canto d’amore, che è una delle tematiche preferite dal poeta in questa fase della vita: un invito all’essere amato che lo baci e l’abbracci, come se questo amore fisico ma delicato insieme fosse il solo mezzo per opporsi al fluire del tempo e afferrare il presente: «Vasami ancora / nte l’agonia ‘e sto jornu / chi stancu s’arrumbula nt’a notta / e addormenta ogni cosa. / Vasami ancora, ancora.»





NEOHELICON. Acta comparationis litterarum universarum, Anno XLII, n. 42/2 dicembre 2015, pp. 695 Akadémia Kiadó - Springer, € 14,00 Ed. by J. Pál & P.Hjdu. Redazione: Institute of Literary Studies of the Research Centre for Humanities, Hungarian Academy of Sciences, Budapest, Ménesi út 11-13; neohelicon@iti.mta.hu

Questo numero della rivista è dedicato al rapporto tra religione e romanzo; il primo contributo, come d’abitudine, è quello del Guest-editor, questa volta Dorothy Figueira, che traccia brevemente il percorso seguito nell’organizzazione dei saggi ospitati nella sezione tematica. Figueira informa che quanto scrive è frutto della sezione del Congress of International Comparative Litterature Association – tenutosi a Parigi nel luglio del 2013 – dedicata alle interrelazioni tra religione e letteratura, in particolare alla ricezione contemporanea di romanzi fortemente connotati in senso religioso. La studiosa nota infatti che la religione è sempre più sporadicamente un tema centrale nella produzione letteraria e, in conseguenza di una progressiva laicizzazione della società, sempre meno lettori sono interessati ad argomenti confessionali; la sua riflessione investe anche ambiti più specifici quali la ricezione di testi ad impronta cattolica in ambienti protestanti, per esempio come la fortuna de I promessi sposi sia stata condizionata in America dal protestantesimo e in Italia dalla cultura anticlericale (questo è anche il tema specifico del suo contributo che chiude la prima sezione della rivista). Seguono una serie di saggi dedicati ad autori nella cui produzione il tema divino risulta centrale, da Dostoevskij a Jean Paul, a Tolstoj. Una riflessione generale sul rapporto tra scrittura e tema del divino si legge nel contributo di E. Gillespie (Newer archaeologies of the soul: avatars of religious consciousness in modern European fiction) in cui l’autore prende in esame alcuni archetipi e la loro elaborazione letteraria in ambito moderno: dopo l’umanesimo di Rabelais, il Faust di Goethe rappresenta un nuovo mito relativo al rapporto tra umano/divino. Successivamente, anche Mann e Joyce riesamineranno in maniera critica gli schemi mitici, decostruendoli attraverso l’ironia e la negazione ma alla fine, nelle loro opere, suggeriranno a loro modo una sovra-realtà spirituale: per gli autori moderni, come Proust o quelli appena citati, la letteratura stessa si carica di una funzione rituale, poiché coinvolge il ricongiungimento sacrale tra passato e presente. Un approccio diverso è utilizzato da P. Hajdu (Historical changes in experiencing natural), che studia in maniera diacronica le reazioni antropologiche legate all’arcobaleno, un fenomeno naturale passibile di simbologie divine: il senso di felicità che trasmette, secondo l’autore, sarebbe sconosciuto alla cultura greca e latina perché si è instaurato con la cultura ebraica e cristiana, diventando l’emblema di un elemento di mediazione tra cielo e terra. E. Durante (La sphérologie d’Édouard Glissant. Notes sur une modélisation littéraire de la globalisation) dedica il suo articolo a Édouard Glissant e alla poetica geomorfica: lo scrittore e poeta antillano, infatti, sviluppa la sua visione del mondo partendo dalla forma sferica della terra, un grande recipiente in grado di accogliere tutte le diversità (cfr. Tout-Monde, Traité du Tout-Monde; Le Sel noir, Soleil de la consciance: poetique I, etc.). La studiosa avvicina la poetica dell’autore a quella dei filosofi Peter Sloterdijk e Bruno Latour che, partendo da analoghe riflessioni epistemologiche sulla forma fisica del nostro pianeta, cercano di spiegare il ruolo dell’uomo e della letteratura in un mondo globalizzato. Glissant rappresenta il rapporto tra uomo e mondo in senso reciproco, distinguendo tra mondialité, cioè una positiva condivisione, e mondialisation, che individua l’aspetto negativo della globalizzazione. Un lungo contributo è dedicato da B. Dhooge (Constructive art a la Ehrenburg’: Vešč-Gegenstand- Objet) alla sezione letteraria del giornale russo d’avanguardia «Vešč-Gegenstand- Objet», noto per il suo multilinguismo e per il ruolo svolto nella diffusione europea del costruttivismo. Ehrenbourg, uno dei due editori, rifletterebbe nella sezione letteraria la sua impostazione: da una parte l’ambizione a creare un giornale d’avanguardia cosmopolita e moderato, che intenda il concetto avanguardista come rottura ma non come distruzione, dall’altra il proprio gusto personale che lo conduce ad inserire nelle antologie poeti che ama, come la Achmatova o Mandelstam, invece di poesie francesi in verso libero diffuse negli ambienti del modernismo radicale. La strana connotazione della rubrica venne percepita sia dai lettori che dall’editore, che vi pubblicò un articolo dedicato al dibattito sul costruttivismo. Koplowitz-Breier analizza quattro poesie composte agli inizi del ‘900 in Germania, che condividono, oltre al contesto storico, tutte lo stesso tema biblico: la vicenda di Abisag (Abisag von Sunem di Agnes Miegel; David und Abisag di Theodor Csokor; Abisag di R. M. Rilke, Abisag di Hedwig Caspari). Benché le quattro poesie trattino il tema in maniera diversa e indipendente, secondo lo studioso esse possono essere lette come riferite a due importanti problemi: la rappresentazione dell’assenza di comunicazione tra due generazioni e la metafora del rapporto tra scrittori e mondo all’inizio del secolo scorso. In appendice si riproducono i quattro testi (per quello di Csokor solo un estratto dal Libro I, cap. 1-4). G. Quiang Quiao (On the possibilities of developping a Chinese version of narratology) prende in esame la possibilità che in Cina si sviluppino studi autonomi di narratologia e sostiene che la cosa sarà possibile partendo da una riflessione sul rapporto tra la moderna narrativa cinese e quella classica e da un riesame delle rispettive teorie a cui fanno riferimento. Si dovranno inoltre prendere in considerazione le nuove forme di narrativa che incidono nel mondo contemporaneo come il cinema, le arti figurative, i media. Lo studioso crede che l’elaborazione autonoma di una narratologia cinese possa interagire fruttuosamente con la narratologia generale, contribuendo al sistema degli studi relativi a questo settore. Z. Jiang si concentra sul dibattito relativo alla necessità delle note a piè di pagina, osteggiate da Honan in un articolo sul NYT, che invece lo studioso ritiene indispensabili al mondo della letteratura perché permettono agli autori di mantenere costante il poli-prospettivismo, di ampliare la nozione, a volte troppo sintetica, messa a testo, e di effettuare una ‘distant reading’. Proprio grazie alle note, inoltre, si può superare il dilemma posto da Moretti (Conjectures on World Litterature) sulla ricerca di un nuovo metodo adatto non più a letterature particolari ma ad una ‘letteratura del mondo’: le note infatti includono messaggi culturali supplementari, garantendo al traduttore la possibilità di preservare integro il messaggio del testo originale e indeboliscono notevolmente il concetto di intraducibilità di un’opera.

(Elisabetta Bartoli)


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Presentazione di Semicerchio sulle traduzioni di Zanzotto

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Tandem. Dialoghi poetici a Bibliotecanova

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Addio a Charles Simic

9 dicembre 2022
Semicerchio a "Più libri più liberi", Roma

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Hodoeporica al Salon de la Revue di Parigi

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