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UGO FRACASSA, Per Emilio Villa. 5 referti tardivi, Roma, Lithos, 2015, pp. 163, € 11,00.


Il volume che Ugo Fracassa dedica allo studio di Emilio Villa, in occasione del centenario dalla nascita, comporta cinque saggi scritti fra il 1997 e il 2014. Malgrado il minimalismo del titolo (Referti), si tratta in realtà di un insieme organico, una ricca e approfondita ricostruzione del percorso poetico del Villa, condotta a partire da inediti o rari (qui riprodotti e annotati), lettere, traduzioni, articoli, che fa luce sul percorso di un poeta (che considerava già la poesia come “azione” quando la critica si concentrava ancora sull’oggetto) ancora oggi in ombra, fra le due avanguardie, al margine dell’ermetismo, evidentemente contro corrente. Aldo Tagliaferri, già editore e studioso di Villa, nella densa nota finale, saluta il lavoro di interpretazione svolto da Fracassa, a cominciare dall’esegesi del manoscritto della poesia verbovisiva (in forma di clessidra o ‘X’) che il poeta indirizzo a Contini nel 1982, sulla quale si sofferma il primo referto del libro: «Villa in Ytalya». A partire dall’analisi della sua pseudostruttura chiastica, Fracassa vi individua un divario fra la visione del poeta (la sua fuga in avanti attraverso e oltre la lingua, i salti di codice, la polisemia, il continuo andare oltre le frontiere, comprese a volte quelle del “senso”, oltre l’idea di opera assoluta ecc.) e quella dell’illustre filologo che mantiene una visione umanista dell’opera (non disposto a sconfinare oltre ogni referente): il critico conclude che «un’incomunicabilita genetica preclude il connubio», sigillando fra l’altro «la congiura del silenzio» su Villa, la sua esclusione dalle antologie italiane. Nel secondo referto («Villa Gaelico»), vengono approfonditi i legami, tutt’altro che piani, di Villa con la critica letteraria italiana degli anni tenta e quaranta: il rapporto con «Frontespizio», in cui il poeta lombardo aveva pubblicato la traduzione di poesie gaeliche, il senso di quelle traduzioni, la presa di distanza da Bo ecc. Fracassa mostra cosi il percorso di allontanamento non solo dalla critica ermetica ma dalla critica tout court, come si riscontra in un articolo del 1943 su O. Macri: «egli [il critico] rifa la strada compiuta dal poeta, a ritroso, in un tentativo doloroso e fallimentare di chiarire una strada dove i passi si cancellano sotto una pioggia senza rumore». Cosi anche la sorprendente e creativa prosa critica di Emilio Villa, studiata nel terzo capitolo («L’ordine o la foga»), non deve essere considerata per Fracassa come un genere distinto ma facente parte di un corpus multiforme e coerente, come un “rumore” ininterrotto, una costante ricerca della conoscenza con “l’ordine o la foga”. Sono prese in esame le critiche d’arte (su Antonio Vangelli in particolare) come prova dell’importanza dell’intuizione di Villa, all’epoca dell’informale, e della certezza che la parola critica e sempre “tardiva” rispetto alla poesia o la pittura d’azione. Il quarto referto tardivo (si capira ora il senso dell’aggettivo di ascendenza villiana scelto da Ugo Fracassa per il titolo) intitolato Versi fuori stagione, studia le Vanita verbali (1983), che avrebbero dovuto costituire un libro di versi e tavole, in collaborazione con il pittore Ajmone. L’analisi condotta dettagliatamente su più piani (linguistico, strutturale, intertestuale, analogico), permette una comprensione profonda dell’opera, pur lasciandole la sua parte di mistero. L’ultimo capitolo, Luogo senso e/o impulso. Una lettura inedita, si concentra su annotazioni databili intorno agli anni ’60, riflessioni poststrutturaliste e semiologiche anticipatrici o comunque in linea con le ben conosciute problematiche della neoavanguardia. Fracassa dimostra come il ragionamento prenda «ad avvitarsi in una spirale di mortifera tautologia: “il senso è l’essere il senso / il senso è il senso di se medesimo / e solo questo”». Cosi: «seppure per la tangente di una trafila eretica ed inassimilabile a qualsiasi scuola teorico-letteraria, Villa arriva poi a registrare nelle sue “Note” la medesima impasse che Algirdas Greimas aveva patito: “la parola / che non si riesce a /togliere di mezzo, e che / ci vincola, è / SENSO”».

(Margherita Orsino)



Emilio Villa è stato un traduttore eclettico, un acuto critico d’arte e l’autore di una corposa produzione poetica; il suo percorso intellettuale ha incrociato quello di artisti, poeti e protagonisti della scena culturale italiana e non solo, dagli anni Trenta agli ultimi decenni del secolo scorso; la sua critica d’arte ha anticipato intuizioni penetranti sulla pittura come azione, mentre la sua poesia vorticava intorno al presentimento di un vuoto primordiale. Tuttavia, i frutti dei molteplici talenti del poeta di Affori risentono non solo di un ostracismo critico non del tutto superato, ma anche del cupio dissolvi di Villa, che rende la ricostruzione della sua opera tanto ardua quanto affascinante. Un significativo contributo alla ricerca delle ragioni villiane è offerto dal volume di Ugo Fracassa Per Emilio Villa, che raccoglie cinque “referti tardivi” come tardiva e, secondo il poeta, non solo la critica, ma la stessa parola poetica rispetto alla sua inattingibile origine. L’indagine attenta e paziente di Fracassa si fonda sull’analisi di alcuni inediti (rinvenuti presso il Fondo Villa della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e il Fondo Contini della Fondazione Franceschini di Firenze, per citare solo due dei molti archivi setacciati dal ricercatore) e sulla ricostruzione di alcune relazioni del poeta (il dibattito interrotto con i redattori del «Frontespizio», i carteggi dispersi, i progetti incompiuti con pittori e intellettuali), non senza riferimenti a Il clandestino (DeriveApprodi, 2004), la biografia compilata dal più autorevole conoscitore di Villa, Aldo Tagliaferri, autore anche della nota che chiude il volume. All’indomani della pubblicazione de L’opera poetica di Villa (a cura di C. Bello Minciacchi, L’Orma editore, 2014), Ugo Fracassa realizza un prezioso complemento antologico e un accurato esperimento critico, interrogando alcuni territori marginali dell’universo villiano per rinvenire il filo che armonizza le esplorazioni del poeta sulle tracce di un’origine dispersa eppur presente, attuale e sempre odierna nel segno artistico: dalle giovanili traduzioni del bardo gaelico Mac Intyre, che promuovono la liberta di trasfigurazione della parola, fino ai testi redatti per penetrare la “voce” di un certo pittore e poi convertiti a uso e interpretazione di un altro, come in un discorso unico intorno alla stessa urgenza; dal frontespizio di un libro di fisica, trafugato in biblioteca per appuntarvi un’illuminazione sull’«universo bruciante logos», fino al foglietto verbovisivo per Contini, un chiasmo di segni che registra l’estremo tentativo di riavvicinamento del poeta al grande filologo, ma che designa al contempo una rassegnata divergenza di direzioni. Sono tutti materiali selezionati per la loro negletta ma innegabile significativita (e Fracassa non è nuovo al metodo dello “sconfinamento”, avendo riflettuto sulla produzione per l’infanzia di grandi autori italiani e occupandosi di letteratura postcoloniale e migrante): una prassi interpretativa che consente al ricercatore di ricalibrare il punto di vista e inaugurare prospettive nuove. Un’altra procedura critica sperimentata da Fracassa è la lettura sonora — performativa e diveniente, come un gesto eracliteo — del testo villiano Luogo e impulso, finalizzata ad amplificare il dettato testuale e ad attivare una dicitura poetica (e quindi un’auscultazione critica) più ricca di risonanze. La scrittura praticata da Villa, scrive Fracassa, «vive nell’atto della pronuncia, nel gesto della grafia, ci richiama alle “umane azioni necessarie”» e testimonia come l’inesausta consuetudine del poeta con i segni — primordiali e odierni, sibillini e labirintici — tenti di accerchiare e arginare un trou abissale, un mistero irrisolto ma, proprio per questo, irrinunciabile.

(Annalisa Maniscalco)

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