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Die fremde Erde
di Marie Luise Kaschnitz 

Nata nel 1901 a Karlsruhe, Marie Luise Kaschnitz ha vissuto in varie città dell’Europa centrale e a lungo anche in Italia, dove è morta – a Roma – nel 1974. In questa poesia che si colloca nel periodo antecedente la Seconda Guerra Mondiale (1928-39), l’autrice privilegia ancora temi e forme classiche, ritmi musicali e rima. Tutto cambierà nella sua poesia successiva, di cui abbiamo già riportato un esempio nel n. 4 di Semicerchio (Basta). Dall’antologia Überallinie, Frankfurt a.M., Fischer Taschenbuch Verlag, 1984 (postfazione di Karl Krolow); traduzione inedita di Barbara Bramanti. 

 

Die fremde Erde

 

Es sprach zu mir die fremde Erde:
Erwache endlich, sieh dich um, sei da.
Ergib dich mir, daßich dir Heimat werde
Fern ist das Feme. Aber ich bin nah.

Den süßn Ländern und den dunklen Meeren
Willst du noch immer angehörig sein.

Du siehst mich an, als blicktest du ins Leere
Du rührst mich an, als rührtest du an Stein.

Wie lange willst du von dem Gute zehren

Im Traume suchen die ersehnte Lust?

Schon lebst du von dem Blute meiner Ähren
Schon geht mein Atem hin durch deine Brust.

Die schönen Früchte kannst du nicht mehr fassen
Der reichen Küste Gabe, Öl und Wein

Du bist derselbe nicht, der sie verlassen

Nun bilde ich dich und du bist schon mein.

Du glaubst dich noch ein Gast am fremden Herde
Und draußn doch in Wolkenzug und Licht

Stirbt und erneut und wandelt sich die Erde

Und wandelte auch dich und läß dich nicht.

La terra straniera

 

La terra straniera parla, mi dice:
Su, svegliati e guardami; sii qua!
Arrenditi a me, che sia la tua patria.
Distante è la distanza. Io vicina.

Alle dolci campagne e al mare ignoto
vorresti ancora appartenere e sempre.
Mi guardi come trasparissi il vuoto,

mi tocchi come se io fossi pietra.

Per quanto vuoi sprecare ancora il bene,
cercare in sogno il desiderio ambito?
Già vivi il sangue delle mie spighe,

è mio il respiro che ti passa in petto.

Non puoi più cogliere i bei frutti, dono
della costa ferace, l’olio e il vino:

non sei lo stesso che li ha abbandonati
sono io che ti coltivo ora, sei mio.

Ancora un ospite ti credi al focolare,
ma fuori nel passaggio delle nubi
muore e rinnova e muta la terra,
muta anche te e non ti lascia andare.



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