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Und das schöne Waldig
di Paul Celan
Traduzioni inedite a cura di Giuseppe Bevilacqua
Und das schöne (E i bei capelli) e Waldig (Selvoso) fanno parte della seconda sezione di Von Schwelle zu Schwelle (Di soglia in soglia): il volume uscito nel 1955 nel quale Paul Celan ha riunito le poesie che ruotano attorno al suo tentativo di trasferire i valori, le speranze, le intimità di una casa (soglia) perduta in altra, nuova e diversa. La figura della sposa straniera cui è dedicato il libro (À Gisèle) è emblema centrale (vedasi a questo proposito il mio saggio d’interpretazione pubblicato in Poesia tedesca del Novecento, a cura di A. Chiarloni e U. Isselstein, Torino, Einaudi 1990, pp. 229-239).
La seconda sezione del libro reca il titolo Mit wechselndem Schlüssel (Con alterna chiave), forse a indicare l’impegno, peraltro arduo, a usare la chiave della vecchia casa per aprire quella nuova, e viceversa: ossia il tentativo di costituire una continuità e come un’osmosi, non ostante il fatto che nella vecchia casa – come Celan dice nella poesia eponima della seconda sezione – non vi sia altro che un turbinio di neve, «la neve di ciò che vien taciuto», ossia del destino che ha resa deserta la casa e ora non si vuol più dire.
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Und das schöne
Und das schöne, das du rauftest, und das Haar, das du raufst: welcher Kamm kämmst es wieder glatt, das schöne Haar? in wessen Hand? Und die Steine, die du häuftest, wohin werfen sie die Schatten, Und der Wind, der drüber hinstreicht, rafft er dieser Schatten einen,
Waldig, von Hirschen georgelt, Sie hebt es hinweg und du folgst ihm, du folgst ihm und strauchelst - du spürst, wer schlafher kam und schlafhin sich wandte, darf das Verwunschene wiegen. Du wiegst es hinab zu den Wassern, darin sich der Eisvogel spiegelt, nahe am Nirgends der Nester. Du wiegst es hinab durch die Schneise, das dort nennt, was schon weiss ist an dir.
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E i bei capelli
E i bei capelli che arruffasti, quelli qual pettine li alliscia nuovamente, i bei capelli? mano? E le pietre che ammucchiasti, e fin dove arrivano? E il vento che su di esse spira, e il vento una ne carpisce, di quelle ombre, e
Selvoso
Selvoso, con bramire di cervi, ora il mondo stringe dappresso la parola avvampata da transitoria estate: parola ch’esso porta via e tu l’insegui, tu l’insegui, che un vento, in cui a lungo confidasti, t’incurva il braccio attorno all’erica: chi dal sonno venne e a lui si volse può ben cullare quella che è stregata. Tu cullandola la trai giù alle acque ove si specchia l’alcione, Tu cullandola la trai giù per la radura che solca il bosco avida di neve nel fondo dell’arborea brace, tu cullandola la trai alla parola che lì dà un nome |
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