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NAUSICAA

Di Hans Georg Gadamer

 

In: Semicerchio LV (02/2016) “30 anni”, pp. 204-207.

 

Ognuno di noi ricorda i poemi omerici e le scene toccanti che vi vengono descritte dalle figure degli eroi omerici: Ettore e Andromaca, il cui commiato Schiller ha evocato in una poesia, la visita notturna ad Achille da parte di Priamo, in cui questi chiede al nemico trionfante il cadavere del figlio Ettore per seppellirlo. E ognuno di noi ricorda per intero le scene dall’Odissea, in cui avventure su avventure si susseguono negli spazi più ampi. Le Sirene e i Ciclopi, Calipso e Circe, infine il ritorno di Odisseo a Itaca con la scena del riconoscimento: e in mezzo a tutto questo Odisseo, perseguitato dall’ira di Poseidone, ultimo reduce in vita da Troia, che dopo parecchi anni di vagabondaggio viene scagliato da una tempesta sulle coste dei Feaci. Qui, protetto da Atena, dopo un sonno simile alla morte, viene svegliato dalle compagne di giochi di Nausicaa: la svolta che avvia il felice ritorno in patria dell’eroe.

Soprattutto Goethe ha continuamente ricevuto suggestioni per la sua poesia da motivi provenienti dai poemi omerici e più in generale dalla mitologia greca: e questo vale anche per rincontro fra Nausicaa e Odisseo. Nel periodo in cui intraprese il lavoro sull’Ifigenia, egli incominciò un abbozzo su Nausicaa, soggetto che ha ripreso più tardi persino in una scena drammatica, ma senza portarlo a compimento. Egli ha trovato nel diciannovesimo secolo, il secolo della cultura erudita del nuovo umanesimo, innumeri seguaci di rango minore. Si comprende bene la forza di attrazione esercitata dalle scene omeriche. Leggendo oggi tali scene, noi, esiliati dal Cristianesimo, dalla Riforma, dai secoli dell’età moderna ad opera del mistero dell’individualità, troviamo comprensibile come l’assunzione goethiana di questo soggetto fosse lontana dal mondo omerico – il che del resto è documentato anche in tutta la tarda antichità e nella storia dell’influenza dell’Odissea.

Ben altrimenti in Omero. L’incontro di Odisseo con Nausicaa, nel quale prende avvio la felice svolta nel destino del reduce, appare assolutamente privo di conseguenze per Nausicaa. Nell’antichità vi sono poemi ciclici più tardi che istituiscono un legame fra Nausicaa e Telemaco, il figlio di Odisseo, e ne intrecciano tutte le possibili conseguenze. Di fronte a tutto ciò, così come dinanzi alla visione della ripresa goethiana del soggetto, diviene comprensibile la distanza e l’estraneità che ci separa dal mondo antico e dai suoi sistemi di vita.

Chi oggi rilegge Omero si interroga sugli accenni al destino di un’anima, che è cominciato per Nausicaa dall’incontro con Odisseo, e sui suoi effetti. A stento in Omero si trova qualcosa che debba essere anche il più lieve accenno a questo destino. Tutto quel che accade fra la vergine figlia del re e il naufrago Odisseo è in funzione della fama di quest’ultimo: il suo ringiovanimento dopo essere stato lavato e unto dalle ancelle, l’appressarsi intrepido di Nausicaa, la sua offerta di aiuto, i suoi avveduti consigli su come introdursi alla corte del padre, tutto questo non ha apparentemente niente a che fare con il personale destino della fanciulla. Una solida compagine di moralità familiare domina su tutto. I fratelli di Nausicaa sono presenti al pari del potere del padre, il re, e di quello, ancora non rivelato, della madre, che Nausicaa raccomanda allo straniero di avvicinare per prima. Siamo in un mondo ben ordinato: la figlia del re è in attesa di sposarsi, ma anche a lei non sembra venire affatto il pensiero di poter avere da scegliere in prima persona fra i suoi numerosi pretendenti.

Si potrebbe forse riconoscere un accenno alle sue segrete aspirazioni nel sogno inviatole da Atena, con cui la dea le ispira il viaggio al mare con il bucato. Ma in verità questo è un mondo del tutto patriarcale, nel quale ha luogo il prudente ingresso di Nausicaa nel destino di Odisseo, senza che abbia un seguito la traccia del significato che per Nausicaa ebbe rincontro. Si può capire che le nuove età, i secoli tardoantichi stessi, e – pienamente – il mondo cristiano e postcristiano dell’età moderna abbiano il bisogno di trovare nel quadretto omerico, per così dire, un’occasione per fare del destino della giovane fanciulla di per sé il tema di un messaggio. Questo letteralmente s’impone. Omero non dà alcun aiuto reale. Anche quando il re dei Feaci volentieri avrebbe visto in lui il proprio genero, nemmeno per un attimo è in dubbio che l’ospite ammirato tornerà nella propria patria. E quando egli si ricorda di Nausicaa dopo il felice ritorno, è pura inequivocabile riconoscenza.

Neanche se Goethe avesse terminato il suo abbozzo, nel caso dell’incontro con Nausicaa avremmo potuto vedere soddisfatte le nostre aspettative. Certo, avrebbe potuto essere una grande storia, se Goethe si fosse attenuto al piano della tragedia, con il menzognero e scaltro Odisseo che si intrufola nel puro mondo dei Feaci, si finge celibe, e alla fine lascia una fanciulla abbandonata sull’isola dei Feaci. Ben diverso è in Omero. Anche Goethe l’ha percepito più tardi: i versi del l’abbozzo stanno come su un mondo divenuto irraggiungibile:

 

Ein weiter Glanz ruht über Land and Meer,

Und duftend schwebt der Äther ohne Wolken

 

Un fulgido bagliore posa sul mare, e la terra,

e fluttua vaporoso l’aere senza nubi.

 

Nel nostro secolo disincantato, le cui nubi minacciose si levano su di noi, la beata isola dei Feaci e rincontro di Odisseo con Nausicaa hanno comunque mostrato ripetutamente la loro forza simbolica. Voglio qui addurre due poesie contemporanee che mostrano tale forza. Una è di Oskar Loerke, che nel periodo fra le due guerre mondiali è stato una figura significativa nella vita editoriale tedesca. L’altra è una poesia di MarieLuise Kaschnitz, che tutti conosciamo e le cui ultime opere si sono iscritte in modo indimenticabile nel libro della letteratura mondiale.

Ascoltiamo dapprima la poesia di Loerke, ascoltiamola come si deve ascoltare una poesia che si legge da sola.

 

Oskar Loerke

 

Ans Meer

 

Der Nebel reißt, der albisch kroch

Aus meinem Blut zum Totenfeld:

Ein Morgen scheint im Wolkenloch

Hoch auf die Welt.

 

Das Leben kommt von weitem her.

 Und es geschieht, was einst geschah?

Mit ihrer Wäsche fährt ans Meer

Nausikaa.

 

Ein Weg weist nach Byzanz und Rom,

Für mich betritt ihn der Barbar.

Im Stein verwittert schon am Dom

 Sein Mund, sein Haar.

 

Doch wann bin ich? Der Morgen währt,

Ein Rauschen ruft, ein Meer ist nah –

Ans Meer mit ihrer Wäsche fährt

Nausikaa.

 

 

Al mare

 

La nebbia si spezza, che all’alba strisciava

dal mio sangue al campo dei morti:

un mattino appare nello squarcio fra le nubi

 in alto sul mondo.

La vita spunta da lontano

e accade ciò che un tempo è accaduto?

Con il bucato va al mare

Nausicaa.

Indica una strada a Bisanzio e a Roma,

dove per me mette piede il barbaro.

Ormai nella pietra del Duomo sfarina

la sua bocca, i suoi capelli.

Dunque, quando esisto? Il mattino continua.

Un mugghiare stride, un mare è vicino  -

al mare con il bucato va

Nausicaa.

 

Si osservi come alla fine della seconda e dell’ultima strofa ricorrano quasi i medesimi versi, che ripetono la quotidianità evanescente, in cui Nausicaa si reca col suo bucato al mare. E però non sono del tutto i medesimi versi. Nella ripetizione l’ultimo verso termina con una cantilena ascendente e non, come nel primo caso, con la tesi («Meer»), Adesso la poesia termina con il levare («fährt»); ancora nel quotidiano questo suono fa sì che sia un futuro. Esso dà alla poesia una forma e una sostanza.

Certo non è il suono che Goethe fa riecheggiare. L’intonazione della poesia non è in effetti uno sguardo sull’etere odoroso senza nubi. «La nebbia […] strisciava» – un mutamento astruso e pesante – «dal mio sangue al campo dei morti». Esso suona come se ora attraverso uno squarcio nelle nubi, come da una immane lontananza, si dovesse immaginare il mattino. Davvero un nuovo inizio? Dopo quale perdita? Ancora ogni visione appariva velata. Tutto è come un campo di morti. L’Io che qui parla sembra guardarsi intorno sfiduciato, come se non potesse più esserci alcun futuro. Nondimeno, in tutta la distanza da cui lo sguardo si apre attraverso le nubi vi è come un primo sprazzo di luce. Così si diventa consapevoli di che cosa sia la vita e quanto saldamente persista in se stessa; come ciò che è valido oltre tutte le epoche, la vita, vada avanti come sempre. «Con il suo bucato va al mare / Nausicaa». Nient’altro che questo perdurare nel progredire delle occupazioni e delle preoccupazioni dell’uomo è ciò che rammenta della propria condizione di esistenza e della via, che vi sta dietro. La poesia di Loerke raffigura la via. E una via ampia, che a noi tutti mostra Bisanzio e Roma, il mondo antico e il suo declino. Le due capitali dt\Voikoumene, Bisanzio e Roma, stanno per l’intera antichità che scompare. Il barbaro, che ha posto una fine a questo mondo, è anch’egli ancora lontanissimo come un segno in decomposizione nelle figure di pietra del duomo. Il tempo, cos’è?

Il tracollo dell’antichità, la lenta e progressiva scomparsa delle tracce dell’universo vitale cristiano, da cui noi stessi proveniamo, suscita la domanda: «Dunque, quando esisto?» La risposta non è una risposta nuova. Soltanto: la vita va avanti. «Il mattino continua». Non rimane un semplice raggio di luce in lontananza, che di nuovo si vela. Il mattino continua. La vita è un nuovo inizio e il mare risuona, col suo mugghiare, alla lontananza e alla tentazione del futuro. E non v’è niente di nuovo. Ancora c’è Nausicaa che va al mare col suo bucato. In certo modo la musica di questo nome, che risuona due volte, è come un’unica risposta. Ogni nuovo inizio, ogni nuovo giorno, ogni nuovo istante di vita, che attende qualcuno, non suona come una risposta? Proprio come il nome «Nausicaa»? Alla fine un’esultanza?

 

 

Marie-Luise Kaschnitz

 

Nausikaa

 

Komm wieder ans Land

Tangüberwachsener

 Muschelbestückter

Triefender Fremdling

 Du

Noch immer der alte

 Voll von Männergeschichten

Fragwürdigen Abenteuern

Lieg mir im grasgrünen Bett

Berühre mit salzigen Fingern

Mein Veilchenauge

Meine Goldregenlocken

Fahrt weiter nach Ithaka

In dein Alter in deinen Tod

 Sag noch eins

Eh du gehst.

 

 

Nausicaa

 

Ritorna a terra

ricoperto di alghe

panoplia di conchiglie

 straniero gocciarne

tu

ancora, l’antico

 pieno di storie di uomini

e di inquietanti avventure

 giaci per me in un letto di erba verde

sfiora con le dita salse

le mie iridi viola

 la pioggia d’oro dei miei riccioli

parti dopo per Itaca

nella tua vecchiaia nella tua morte

 di’ ancora qualcosa

prima di partire.

 

La poesia di Marie-Luise Kaschnitz nomina Nausicaa solo nel titolo. Ma è lei ad avervi la parola, tutta, dalla prima all’ultima. E Nausicaa stessa colei che parla. Ed è del tutto un’altra, non solo la dolce, la premurosa che Gottfried Benn riconosceva in Omero. Questa Nausicaa si augura un ritorno dello straniero. «Ritorna a terra». Nel contempo ella sa sicuramente che lui rimarrebbe ancora lo straniero.

Sarebbe di nuovo la vicinanza del naufrago, che si sarebbe mostrato come un eroe ricco di fama e narratore di fatti terribili. Odisseo è per lei un personaggio quasi di origine non terrena, eppure lei, la dolce, la premurosa, desidera la sua presenza. Egli deve sfiorarla, con tutta la sua estraneità. Solo sfiorarla.

«Parti dopo per Itaca / nella tua vecchiaia nella tua morte». Questa è l’Itaca dell’uomo, cui lei ordina di andare. Per una volta non è per noi uno straniero naufrago che deve ritornare, bensì uno qualsiasi di noi. È questo che soggiace nell’incontro, che Nausicaa si augura di poter riavere – non è solo un amore incompiuto o che sboccia, e nemmeno solo un desiderio inviato lontano allo straniero mandato da Dio. Certo si deve pensare alla scena omerica, ma non come un incontro fatale, che ha un futuro, bensì come un incontro nella conoscenza dell’invalicabile. «Giaci per me in un letto di erba verde». In lei vi è la piena conoscenza dello straniero, che è senza futuro per lei e non dice parola alcuna. Quale parola?

Tutto è riassunto nei due ultimi versi: «Di’ ancora qualcosa / prima di partire». Nessuno dovrebbe chiedersi che cosa ciò possa significare. Sarebbe comunque una parola che non cambierebbe niente, non qualcosa che potrebbe portare un compimento per Nausicaa. Ella lo sa da sé, e allora dice: «Di’ ancora qualcosa / prima di partire». E uno degli indizi, che alludono al non detto e all’indicibile, con cui la Kaschnitz ha appreso a preparare e a lasciar dietro ambedue queste cose, un “Sì” - e una rinuncia. Tutto o niente? No, assolutamente niente, ma anche qualcosa di irrevocabile. Questa Nausicaa non è la figlia del re di Omero, e questo straniero non è l’Odisseo che Poseidone nella sua ira ha gettato sulla riva. Era stata era Atena, a mandargli Nausicaa con il suo bucato?

 

Nessun Poseidone, nessuna Atena…


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