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IN SEMICERCHIO. RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXIV (2021/1) pp.107-108 (scarica il pdf)

EUGENIO DE SIGNORIBUS, L’altra passione. Giuda: il tradimento necessario?, con una nota di Stefano Verdino, Novara, Interlinea 2020, pp. 112, € 12,00


Simona Morando e Stefano Verdino, rispettivamente sulle pagine di «Allegoria» (2020) e nella nota a L’altra passione (pp. 95-106), hanno individuato i nodi strutturali (la numerologia, la bipartizione strofica ed enunciativa, il rapporto tra poesia e prosa – o «tra sequenze poetiche e sequenze impoetiche», come chiosa De Signoribus a pagina 29) e tematici (il religioso e la religione, la gratuità del bene e del male, il passato biblico e la secolarizzazione del presente), gli elementi di continuità e discontinuità che legano e separano l’ultima silloge di Eugenio De Signoribus ai/dai precedenti percorsi lirici, in particolare da/a Trinità dell’Esodo (Garzanti 2011) e Stazioni (Manni 2018). In chiave metaforica, e non intertestuale (o stilistica), vorrei far emergere un’altra forma di continuità e di discontinuità nella poesia di De Signoribus in un percorso conoscitivo che va da Soglie praghesi a L’altra passione: l’idea, benjaminiana, di soglia. 
La «Schwelle (soglia)», scrive Walter Benjamin, «è una zona. La parola schwellen (gonfiarsi) racchiude i significati di mutamento, passaggio, straripamento, significati che l’etimologia non deve lasciarsi sfuggire» (Das Passagen-Werk, 1927-1940). De Signoribus, nel suo continuo gioco e scambio metamorfico tra io lirico e io empirico, vive in una zona poetica di confine, priva di geometrie razionalizzabili e di demarcazioni nette, anche quando la struttura del testo – quale è, nel nostro caso, L’altra passione – sembra suggerire un’azione lirica di circoscrizione (totalizzante?) dell’esperienza; diversamente, in questi spazi lirici l’io diventa soggetto di esperienza grazie alla dimensione del passaggio e della sosta, come se l’atteggiamento di attesa (dell’io) fosse teso a cercare nella topologia metafisica del racconto (e commento) biblico – fra interno ed esterno, tra fede e tradimento, tra stasi e moto, tra cesura e arresto – una nuova forma di conoscenza: un nuovo rito di passaggio. 
In Benjamin, o quantomeno nell’idea che soggiace(va) alla struttura compositiva dell’incompiuto Passagen-Werk, questa tensione abitativa (degli spazi) si risolveva in una «dialettica in stato di quiete» (Dialektik im Stillstand); in De Signoribus, invece, l’esperienza liminale della soglia sembra cadere in un cortocircuito conoscitivo, come se la sua opera fosse costantemente sospesa in uno stato di perenne ricomposizione e riscrittura («L’altra passione, Giuda è stata scritta nel 2011, nei giorni di consegna del libro Trinità dell’esodo, uscito da Garzanti in quella primavera. Come se avessi avuto bisogno di colmare subito un vuoto, riprendendo un ‘tema in appunti’ che comprimevo da anni», p. 69). E in questa postura intransitiva, forse, risiede proprio la grandezza della poesia di De Signoribus, la sua capacità di produrre, performativamente, una condizione lirica che quando sembra aver raggiunto uno suo stadio formale definitivo, lo abbandona, come se l’io avvertisse di non aderire, ancora (o non più), al dominio conoscitivo della realtà che è al centro della sua poesia (e dell’idea di letteratura di De Signoribus).
Le forme, dicevo, sono razionali (da intendersi, però, nel significato etimologico di ratio, una soglia semantica che va dall’idea di rapporto a quella di criterio): la silloge è suddivisa in due soglie spazio-temporali (Sui passi della passione, 2018; L’altra passione, 2011-2018). Nella prima, troviamo una sezione (Sui passi della passione) di 14 poesie, cui segue una sezione (L’appuntamento) con la prosa (Monologo di Gesù Cristo) e con una prosa in carattere minore (Premessa, dopo), le Note (annotazioni in carattere minore) e la Nota-congedo (una poesia in carattere minore). La seconda soglia segue una traiettoria a tratti speculare: una sezione (Giuda) di 14 poesie (non numerate), a cui segue una sezione (La visita) con la prosa (Corpo di Giuda), con una prosa in carattere minore (Premessa, dopo), le Note (in carattere minore), la Nota-congedo (che raccoglie una nota di commento a una poesia, entrambe in carattere minore), il Congedo (una poesia in carattere regolare) e una ulteriore Postilla di autocommento, seguita infine dalla Nota ‘per un commento’ firmata da Verdino.  
Si tratta, per usare le parole dell’autore, di una «Via crucis, di quattordici stazioni testuali in versi e una prosa, ma raddoppiata e speculare, giacché vi si affianca anche la Via crucis di Giuda, il reprobo supremo» (p. 95) – una «soglia ardita / e senza un’altra uscita» (p. 20), «la soglia grigia, la stanza della solitudine» (p. 29). Alla fine della prima Passione, alle soglie del monologo di Cristo, la poesia diventa «pensiero della soglia», espressione di una razionalità dialettica che attraverso le parole dis-umane di Cristo tenta di evadere dalle polarità inconciliabili binarie (il sistema relazionale io-tu, io-noi, io-voi, io-loro) per accedere a una comprensione dell’alterità (il tu, il noi, il voi, loro) transumana, l’unica soglia da dove è possibile una redenzione – anche, e soprattutto, per chi non riesce più a «specchiarsi», a «riconoscere il sé in uno o vedere il suo doppio» (p. 44). Per compiersi, la te(le) ologia cristiana deve attraversare le soglie del tradimento; e ancora, per dirla con Benjamin, è nel «carattere distruttivo» della Storia che la soglia, in quanto spazio abitato e attraversato dall’uomo, e sede delle contraddizioni dello Zetigeist, trasforma l’ambiguità (la Zweideutigkeit) dell’immagine – Giuda che tradisce, che deve tradire, per far sì che Cristo muoia e risorga – in un evento dialettico, dove tensione e contraddizione si sostituiscono alla tesi e all’antitesi, e producono le nuove condizioni di conoscenza della società secolarizzata nella quale la dimensione del religioso (e non necessariamente della religione) può ancora resistere di fronte alla «storia dilaniata», alla «la storia [che] è turba umana», «usata a piacimento» (p. 55), e «vede bocche aperte / strazianti sulla china / come un coro muto» (p. 56). Il soggetto lirico che assiste a questa progressione binaria di Cristo e Giuda tra poesia e prosa, tra performatività lirica e autocommento, si trova in ciò che Benjamin ha definito la «la legge della dialettica nell’immobilità». L’intera sequenza lirica è costellata dall’accostamento di immagini icastiche che descrivono un moto singolare del soggetto nel ripercorrere, criticamente, la storia biblica, riportandone le immagini nella Jetztzeit, secondo un procedimento che solo apparentemente è macrotestuale: ogni testo della raccolta può essere letto come un campo di forze singolare, una sorta di «montaggio» di sequenze sincroniche che mira a isolare le singole soglie, a cui segue, successivamente, la revisione sovrastrutturale, il binarismo narrativo tra le vite di Cristo e Giuda, le parole dell’autore in dialogo con le parole dell’io.
Una «scossa interiore», «un terrore nelle vene...» (p. 50) anima pagina dopo pagina la nuova raccolta di De Signoribus. La voce lirica è franta, interrogante, il passage tra testo e testo non segue una trama narrativa né macrotestuale, e necessita di ulteriori interventi dell’autore (e di uno dei suoi più autorevoli critici) per interrompere le interruzioni tra passato e presente, e riportare il tempo perduto (die verlorene Zeit) di Giuda e la «storia originaria» (Urgeschichte) di Cristo in uno spazio comune. Può, dunque, la soglia essere uno spazio universale? Può la poesia attivare il passaggio semantico di soglia da luogo sincronico a luogo diacronico? «C’è verità nel suono / che stride in interiore?», si chiede De Signoribus?
Il «coro» della poesia è «muto» e il superamento della soglia rimane legato all’idea di stasi, all’osservazione testuale di fenomeni tra loro s-legati che cercano di creare un contatto umano attraverso trame foniche e semantiche. Se, come ci insegna Derrida, la scrittura «marca l’impossibilità per un segno, per l’unità tra significante e significato, di prodursi nella pienezza di un presente e di una presenza assoluta» (De la grammatologie), compito del poeta è far risuonare nelle fenditure del linguaggio questo stato di sospensione tra una soglia e l’altra, attivando il «risveglio storico» della coscienza del lettore per e attraverso la «traccia del male», le «lingue ardenti» (p. 45) di «un coro spasimante / e senza lingua» (p. 47).

di Alberto Comparini

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