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IN SEMICERCHIO, RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXV (2021/2) pp. 85-91

MICHEL CATTANEO, Genesi e storia dell’“Internazionale” di Fortini (scarica il pdf)


Con ‘Internazionale di Fortini’ ci si riferisce comunemente alla versione che Franco Fortini ha dato dell’Internationale, la canzone proletaria scritta da Eugène Pottier nel 1871 durante le giornate della Comune di Parigi. Musicata in séguito da Pierre Degeyter, la composizione è poi diventata il canto delle varie Internazionali susseguitesi, oltre che, dal 1917 al 1944, l’inno ufficiale dell’Unione Sovietica. Il testo di Fortini è stato stampato per la prima volta nel 1995 da Maria Vittoria De Filippis nel numero di «Il de Martino» interamente dedicato alla memoria del poeta, saggista e – come si vedrà meglio – paroliere, che era scomparso da pochi mesi. A rendere il componimento canonico e a sopperire a una diffusione fino ad allora rimasta limitata ha provveduto nel medesimo anno Pier Vincenzo Mengaldo, decidendo di includerlo quale tassello conclusivo nella sua scelta di Poesie inedite di Fortini. Il titolo esatto suona: Sull’aria della «Internazionale»; quello che segue il testo:

1. Noi siamo gli ultimi del mondo. – Ma questo mondo
[non ci avrà.
Noi lo distruggeremo a fondo. – Spezzeremo la società.
Nelle fabbriche il capitale – come macchine ci usò.
Nelle sue scuole la morale – di chi comanda ci insegnò.

Questo pugno che sale – questo canto che va 
è l’Internazionale, – un’altra umanità.
Questa lotta che eguale – l’uomo all’uomo farà,
è l’Internazionale. – Fu vinta e vincerà.

2. Noi siamo gli ultimi di un tempo – che nel suo

[male sparirà.
Qui l’avvenire è già presente. – Chi ha compagni
[non morirà.
Al profitto e al suo volere – tutto l’uomo si tradì.
Ma la Comune avrà il potere. – Dov’era il no faremo il sì.

Questo pugno che sale – questo canto che va 
è l’Internazionale, – un’altra umanità.
Questa lotta che eguale – l’uomo all’uomo farà,
è l’Internazionale. – Fu vinta e vincerà.

3. E tra di noi divideremo – lavoro, amore, libertà.

E insieme ci riprenderemo – la parola e la verità.
Guarda in viso, tienili a memoria – chi ci uccise e
[chi mentì.
Compagno, porta la tua storia – alla certezza che ci unì.

Questo pugno che sale – questo canto che va 
è l’Internazionale, – un’altra umanità.
Questa lotta che eguale – l’uomo all’uomo farà,
è l’Internazionale. – Fu vinta e vincerà.

4. Noi non vogliamo sperar niente. – Il nostro sogno

[è la realtà.
Da continente a continente – questa terra ci basterà.
Classi e secoli ci hanno straziato – fra chi sfruttava
[e chi servì:
Compagno, esci dal passato – verso il compagno
[che ne uscì

1968, 1971, 1990, 1994

Nelle Note di carattere filologico che chiudono il volume, Mengaldo precisa che le «tre ultime date in calce alluderanno con ogni verosimiglianza ai vari momenti di revisione» e che il «testo ha avuto certo diffusione orale». Prima di entrare nel merito dei «momenti di revisione», ovvero delle varianti in parte rese note, ma che si possono ora studiare più compiutamente grazie ai materiali conservati presso l’Archivio Franco Fortini di Siena, è proprio a un’iniziale «diffusione orale» che bisogna rifarsi per tornare ai momenti dell’instaurazione dell’Internazionale di Fortini.
Lo storico Cesare Bermani ha raccontato come, nel corso di una conversazione telefonica avvenuta il 5 aprile 1979 e da lui trascritta, Fortini gliene avesse letto il testo, fornendogli indicazioni molto puntuali sulle circostanze nelle quali lo aveva intrapreso :

La composizione del testo mi è stata molto difficile. Ho scritto le prime due strofe e il ritornello nel settembre 1969 ad Agape, in Val Pellice, dov’ero insieme ad alcuni compagni che stavano organizzando gli scioperi alla Fiat in vista del contratto. Il ritornello era allora diverso da quello attuale, che ho modificato, e in seguito ho anche aggiunto due strofe. Mi sarebbe piaciuto molto che venisse cantata e per questo l’ho fatta conoscere ad amici e compagni [...]. Avrai notato come il mio testo riecheggi la versione originaria francese di Eugène Pottier: “gli ultimi del mondo” sono “les damnées de la terre”; e non la traduzione italiana, che è assai infedele e verso la quale il mio testo vuole essere polemico. [...] A questo testo, che ho intitolato Sull’aria dell’«Internazionale» e che ho scritto nel centenario della prima redazione tra il 1969 e il 1971, io tengo moltissimo.

In Fortini l’idea di mettere mano all’Internationale di Pottier matura dunque nella ricorrenza dei cento anni dalla sua scrittura. A questo specialmente si riferirà il 1971 segnato a piè di pagina. Ma il testo di Fortini nasce soprattutto in un contesto politico e sociale ben preciso: durante le rivendicazioni sindacali di quell’autunno caldo che rappresenta l’ideale prosecuzione italiana del movimento di contestazione giovanile del 1968. Non per caso è questa la data emblematica che Fortini sceglierà di porre in calce innanzi alle altre. Del resto, a fondamento della sua Internazionale stanno una «tensione al futuro accoppiata alla critica radicale al presente» e una «denuncia dei miti del progresso occidentale e dell’eurocentrismo» che Fortini condivise con il Sessantotto a tal segno da arrivare a incarnarne, come ha sottolineato Romano Luperini, uno degli intellettuali di riferimento. La prima e la seconda datazione dell’Internazionale di Fortini sembrano insomma simboliche piuttosto che realmente indicative degli anni di composizione e di revisione.
Comunque sia, di un primitivo stadio dell’Internazionale abbiamo testimonianza indiretta da una lettera indirizzata il 4 aprile 1979 allo stesso Bermani da Luigi Manconi, politico, giornalista (e critico musicale) che era stato militante di «Lotta Continua», occupandosi, insieme al cantante Pino Masi, di allestire una scelta di canzoni per la nuova sinistra:

Si era, credo, nel 1970 (al più tardi, nei primi mesi del ’71) [...] nascevano le “canzoni di Lotta Continua”; io collaboravo ai testi e talvolta li scrivevo interamente [...]. Un giorno, una di queste tre persone, Goffredo Fofi, o Piergiorgio Bellocchio o Giovanni Raboni (più probabilmente il primo), mi dà un foglietto rosa; sopra – dattiloscritto con un carattere particolarmente elegante – c’era il testo di Franco Fortini che, a mo’ di titolo, portava questa dicitura: “Sul motivo dell’Internazionale”. Il testo mi parve molto bello e proposi a Pino Masi di interpretarlo lui, di portarlo in giro e di cantarlo. Poi, non so più per quale motivo, si decise di modificare il testo. Lo feci io. Conservai, del testo fortiniano, il ritornello.

La rielaborazione di Manconi si può leggere col titolo L’internazionale proletaria nel Canzoniere del proletariato pubblicato da «Lotta Continua». Il ritornello attribuibile a Fortini presenta divergenze minime e limitate al primo verso («Quella voce che sale – dalle lotta e che va») rispetto alla stesura immediatamente seguente della quale è conservato il testo integrale. Di maggiore interesse è l’intestazione, Sul motivo dell’«Internazionale». La variante invita a soffermarsi sulla sostituzione finale di «motivo» con «aria». Il secondo termine rimanda all’opera lirica ed è probabile che Fortini lo abbia preferito per intitolare la propria versione di una canzone simbolo della classe proletaria in accordo con la tesi, da lui sostenuta in un’intervista del 1982, secondo la quale le arie del repertorio operistico sarebbero state il vero equivalente italiano di quel canto popolare la cui eredità in Germania avevano raccolto le ballate di uno degli autori per lui cardinali, Bertolt Brecht. È in questo filone che Fortini vuole inscrivere la sua Internazionale.  

Un testo formato da due strofe e da un ritornello che risalirà a una fase di poco successiva all’invio a Manconi è invece tramandato in AFF, sc. XXII, cart. 36, da un dattiloscritto non datato e ormai intestato Sull’aria dell’Internazionale. Saltano immediatamente all’occhio alcune differenze tipografiche. In particolare il verso doppio della redazione definitiva nelle strofe risulta spezzato a formare due versi. Giusta l’ammissione di Fortini, le varianti di questa stesura tuttavia riguardano prevalentemente il ritornello, che recita:

Questa voce che sale – dalle lotte e che va
È l’Internazionale – più forte umanità
Questo pugno che uguale – l’uomo all’uomo farà
È l’Internazionale – unita umanità

Il primo verso coglie una «voce» nell’atto di intonare la stessa Internazionale e quindi presenta la dimensione meta-poetica che conserverà nella lezione finale.16 Qui il canto si diffonde però da «lotte» contingenti, da identificare con le battaglie della fine degli anni Sessanta, mentre nel testo ultimo la «lotta» del terzo verso («Questa lotta che eguale – l’uomo all’uomo farà») coincide con l’internazionalismo comunista e, sebbene in corso, appare proiettata verso l’avvenire in misura maggiore di quanto non lo sia in questa redazione. Il ritornello inoltre caratterizza l’«umanità» come «più forte» (v. 2) e «unita» (v. 4), quando nel testo d’arrivo emerge un senso di perdita e qualsiasi adempimento viene rimandato ancora al domani («Fu vinta e vincerà»). Così era d’altronde anche nella ripresa dell’originale francese («C’est la lutte finale: | Groupon-nous, et demain, | L’Internationale | Sera le genre humain»). Fortini nella dichiarazione riportata da Bermani dice di richiamarvisi puntualmente in aperta contrarietà alla traduzione italiana corrente. Si tratta del testo pubblicato a firma Bergeret sul giornale «l’Asino» il 13 ottobre 1901. Tale versione è scopertamente ispirata ai princìpi riformisti della Seconda Internazionale. Fortini doveva avvertire con fastidio la retorica progressista di tante espressioni che in essa compaiono. Nella sua Internazionale la rappresentazione dei compagni alla stregua di «ultimi del mondo» sulla scorta dei «damnés de la terre» di Pottier viceversa indirizza fin dall’avvio il testo in una direzione opposta. Fortini chiarisce la portata di tale incipit in un articolo del 1972, perciò sostanzialmente coevo alla traduzione della canzone. Nel pezzo (riecheggiando anche il titolo dell’opera più significativa di Frantz Fanon) l’autore invita a non dimenticarsi che «i “dannati della terra” non sono solo una metafora del primo verso dell’Internazionale ma una realtà, dei veri dannati» che il discorso marxista, pensando a un «proletariato immaginario», avrebbe troppo a lungo ignorato. Nondimeno, quella mossa a Bergeret nella conversazione con Bermani è anche una critica traduttologica, leggibile alla luce delle riflessioni sulla traduzione che Fortini (del quale è risaputa l’intensa attività di traduttore) andava svolgendo negli anni in cui attendeva all’Internazionale. L’autore evoca un concetto ricorrente negli scritti sull’argomento, quello di ‘fedeltà’. Sia la versione «infedele» di Bergert, sia la sua, che aspirerebbe al rispetto dell’originale, finiscono però per discostarsi dal testo di Pottier, costituendo in realtà ciò che nel saggio del 1972 intitolato Traduzione e rifacimento Fortini chiama giustappunto «rifacimento, adattamento, trasposizione». Vale a dire :

una operazione letteraria nella quale un dato ‘transletterario’ (un mito, un complesso di situazioni, un genere e persino una singola opera o un suo elemento) vengono assunti quale struttura di riferimento, o significante per un’opera nuova.

Nel caso del rifacimento dell’Internazionale, è manifesto che, secondo una pratica sperimentata dal poeta in tanti dei suoi componimenti scritti ‘di seconda intenzione’, il senso dell’«operazione letteraria» risieda per Fortini nell’assumere uno dei canti socialisti per eccellenza come piattaforma sulla base della quale esprimere e divulgare («Mi sarebbe piaciuto molto che venisse cantata», confida a Bermani) la propria idea di comunismo.28 E che la variantistica permetta di cogliere alcune oscillazioni o evoluzioni cui Fortini nell’arco di un quarto di secolo, dal 1968 al 1994, sottopone tale idea.
In un’ottica del genere si possono guardare anche le altre varianti di rilievo della redazione in oggetto, quelle relative ai vv. 2 e 4 della seconda strofa:  

Al profitto e al suo volere
Tutto l’uomo si umiliò
Ma la Comune avrà il potere
Dov’era il sì faremo il no.

L’approdo del passo alla lezione definitiva («Al profitto e al suo volere – tutto l’uomo si tradì. | Ma la Comune avrà il potere. – Dov’era il no faremo il sì.») è stato ampiamente commentato. Maria Vittoria De Filippis si è concentrata sul v. 2, osservando che alla fine «l’autore mette con forza in evidenza come l’uomo abbia tradito (termine certamente più netto del precedente “umiliò”) tutto se stesso per il profitto e per il suo volere». Giuseppe Traina ha invece preso in esame il v. 4, notando un «capovolgimento logico [...], quasi a voler sottolineare che c’è ancora bisogno di affermare l’idea positiva di comunismo rispetto alla necessità di opporsi al consenso uniforme». Non è stato però rimarcato che le due correzioni, essendo i versi in rima, sono interdipendenti. O, meglio, la prima dipenderà dalla seconda, giacché l’una riguarda una pura sfumatura, mentre l’altra introduce un effettivo scarto o appunto ribaltamento semantico di grande interesse. Se per il testo definitivo può valere in linea generale quanto affermato da De Filippis e Traina, la lezione originaria potrebbe trovare di nuovo il suo significato nel contesto lato in cui s’inserisce l’Internazionale.
Sul finire degli anni Cinquanta Fortini aveva contribuito insieme alla compagnia di musicisti torinesi denominata Cantacronache a rinnovare il genere della canzonetta scrivendo testi quali Tutti gli amori, Quella cosa in Lombardia, Le nostre domande. All’ispirazione amorosa (quantunque con uno sguardo rivolto alle trasformazioni sociali) di pezzi come questi si accompagnò in Fortini anche la vena più strettamente politica cui va ascritta non solo l’Internazionale, ma per esempio la canzone del 1958 dal titolo Patria mia. 33 Il suo svolgimento, che rappresenta una parodia dell’Inno di Mameli tesa a demistificare vuoti miti patriottici, offre un luogo parallelo utile per comprendere meglio la lezione di str. 2, v. 4, attestata dal dattiloscritto. Si vedano le tre strofe conclusive del brano, con particolare attenzione al penultimo verso:

Fratelli d’Italia,
tiriamo a campare!
Governo ed altare
Si curan di te...
Fratelli d’Italia
Peperepepé

Fratelli d’Italia
non basta campare,
non basta aspettare
chi pensi per te.
Fratelli d’Italia,
nessuno è per sé!

Nessuno è per sé:
un semplice coraggio,
un semplice rifiuto,
un semplice «mai più».
Una verità semplice così.
Basta un semplice «no», una domenica,
tutti per tutti!

Alla prona accettazione dei precetti individualistici propagandati dai poteri costituiti, da «Governo ed altare», Fortini contrappone l’identico «no» della stesura dattiloscritta dell’Internazionale: una rottura che può aprire a un vivere diverso tra gli uomini, al comunismo.
In qualche modo a un’interpretazione analoga conduce la vicenda editoriale di un’altra canzone di Fortini, quella improvvisata alla Marcia della Pace per la fratellanza dei popoli svoltasi da Perugia ad Assisi il 24 settembre 1961. Il pezzo viene registrato nel 1963 dal gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano (con il quale Fortini collaborò) in un disco sintomaticamente intitolato Le canzoni del «no», dove la negazione, che evidentemente riecheggia slogan della citata manifestazione pacifista o in ogni caso delle proteste dell’epoca, è rivolta all’imperialismo, al razzismo, al colonialismo e allo sfruttamento, in una prospettiva per nulla estranea all’Internazionale e a tutta l’opera di Fortini.
I punti di contatto del rifacimento dell’Internazionale con la produzione in versi e in prosa di Fortini, così come le sue implicazioni ideologiche, si possono tuttavia valutare appieno solo a partire dalla versione conservata in AFF, sc. XXX, cart. 4, c. 97. Il documento consiste in una stampa da computer intestata definitivamente Sull’aria della «Internazionale» e datata «1968, 1971, 1990». Si tratta dunque della redazione del 1990, la prima giuntaci a contemplare le due strofe aggiuntive di cui Fortini parlava a Bermani fin dal 1979. Al di là di queste, la principale innovazione concerne ancora il ritornello che (eccettuata la compaginazione dell’intero testo in versi singoli anziché doppi) si stabilizza nella sua forma ultima. A risaltare è soprattutto la nuova lezione dei vv. qui numerati 7-8. In uno stadio intermedio registrato soltanto da Bermani durante la telefonata del 1979 e che non ha attestazione nelle carte d’autore l’originario «È l’Internazionale – unita umanità» aveva lasciato il posto a: «è l’Internazionaleha vinto e vincerà». Ora i versi divengono: «è l’internazionale. |  Fu vinta e vincerà». Una modifica della quale traspare bene la ragione, quando non la necessità. Una necessità bruciante che impone a Fortini di ritornare sul testo a oltre dieci anni di distanza dal precedente intervento. In controluce alla rettifica del 1990, come ha visto Traina, ci saranno da scorgere gli eventi dell’anno prima: la caduta del muro di Berlino, l’esaurirsi della parabola storica, pur incancrenita, del socialismo reale e l’irrimediabile allontanarsi nel futuro, il farsi utopia di un compimento rivoluzionario. Anche la terza data apposta all’Internazionale avrebbe quindi un valore anzitutto emblematico.
D’altro canto, l’entità delle revisioni di Fortini (invero modesta, specialmente se confrontata con il suo uso consueto), più che un’«operazione compositiva molto complessa e stratificata nel tempo», sembra davvero tradire la volontà di tornare sul testo in coincidenza di svolte altamente significative per affidargli una visione del comunismo consapevole dei rivolgimenti del tempo, ma sempre intimamente fedele al proprio pensiero.
Si dovrà allora constatare che per Fortini l’Internazionale avrebbe senz’altro potuto dirsi «vinta» già all’altezza della prima datazione, nel 1968, dopo gli avvenimenti del 1956 e dopo l’invasione della Cecoslovacchia di quello stesso anno. Fortini doveva anzi pensare la sconfitta odierna quale prerogativa costitutiva dell’Internazionale. Un dato del genere affiora nel frammento da riferire al suo secondo viaggio in Cina della prosa inclusa in L’ospite ingrato secondo con il titolo Per un disco. 1975

In una stazione persa tra Wuhan e Changsha, pochi anni fa, ascoltavo a notte alta la folla cinese di un treno cantare l’Internazionale e mi pareva di distinguervi quante acque fossero concorse a chiarirne l’appello, dal giugno 1871, quando i vinti avevano appena cominciato a lavare i selciati dai grumi del sangue dei comunardi e clandestino in una stanza di Parigi Eugène Pottier, disegnatore, ne aveva scritte le sei strofe.

È una rappresentazione, questa dell’Internazionale battuta nel presente eppure nel presente in lotta in una prospettiva futura, utopica, con un preciso riscontro in un fondamentale scritto del 1989 nel quale, formulando una definizione di Comunismo, Fortini sostiene che il «combattimento per il comunismo è già il comunismo».
In AFF (sc. XXII, cart. 1, non datata, e 36, datata «1968. 1972. 1990. 1994») sono infine archiviate due ulteriori stampe da computer che recano un testo nella sostanza conforme a quello pubblicato da De Filippis, la quale lo ricevette il giorno del funerale di Fortini. A passare alle stampe, per la precisione, sarà quello della seconda. Le modalità con cui nel frattempo la stesura definitiva circola vengono rievocate da Ivan Della Mea. Dopo la morte di Fortini, avvenuta il 28 novembre 1994, sua moglie, Ruth Leiser, avrebbe trasmesso via fax l’ultima versione dell’Internazionale a «Radio Popolare». L’emittente avrebbe contattato Della Mea (che con Fortini in quegli anni era entrato in contatto) affinché la cantasse. L’esecuzione del brano si sarebbe poi tenuta la sera del 4 novembre 1994 al teatro Franco Parenti di Milano in occasione di una commemorazione di Fortini e il cantautore sarebbe così diventato l’interprete deputato dell’Internazionale, incidendola nel disco Ho male all’orologio e continuando negli anni a portarla in concerto.
Le quattro strofe e il ritornello della versione finale dell’Internazionale meriterebbero adesso note puntuali di commento, per la loro densità di significato e per le profonde intersezioni con la poesia di Fortini e amata da Fortini che ne informano il dettato. Per la sola voce di str. 3, v. 2, «verità», servirebbe un capitolo a parte, data la sua importanza nell’opera dell’autore. In questa sede almeno si ritorni di passaggio sul nome di Brecht. I suoi Cori di controllo, che Fortini aveva tradotto nel 1959, affiorano a più riprese nell’Internazionale. Su tutti a spiccare è probabilmente il riscontro tra l’attacco di Fortini e il v. 17 del quarto movimento di Brecht: «Siamo noi la feccia del mondo». L’assunto, centrale in str. 3, v. 3 («Guarda in viso, tienili a memoria – chi ci uccise e chi mentì»), che la «lotta per il comunismo» comporti «durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze», inoltre riporta direttamente alla grande lirica di Una volta per sempre intitolata Traducendo Brecht: «odia | chi con dolcezza guida al niente | gli uomini e le donne che con te si accompagnano | e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici | scrivi anche il tuo nome» (vv. 14-18). Versi che ne evocano subito altri dello stesso libro che rappresentano il miglior compendio della speranza lontana ma in ogni momento attingibile cui l’Internazionale di Fortini dà voce, quelli della poesia Il comunismo: «sempre ero comunista [...] di questo mondo sempre volevo la fine.  
| Ma la mia fine anche» (vv. 15-18). E proprio alla fine di Fortini rinvia, un’altra volta con forte carica simbolica, l’ultima delle date che siglano l’Internazionale, il 1994. Il poeta gravemente malato lavora alla versione ne varietur di Sull’aria della «Internazionale» nelle settimane terminali della sua vita. Una circostanza che fa assumere inevitabilmente al componimento il valore di un testamento. Con l’Internazionale Fortini ci ha consegnato intatta la propria veduta di un mondo comunista. E nell’ultima delle Poesie inedite non possiamo non sentire risuonare il monito di quella che costituisce di fatto l’ultima delle poesie edite, la lirica conclusiva della sezione eponima di Composita solvantur, con il suo estremo grido: «Proteggete le nostre verità».

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