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JUNKO MASUDA, Tradizione della Commedia in lingue orientali. Un’esperienza di lettura dantesca 
(pp. 24-26)

 

La prima domanda che si farebbe a uno studente asiatico che studia Dante è sicuramente: «È difficile?» (Lo hanno chiesto anche a me). La risposta sarà poi, altrettanto sicuramente: «Si, è difficile».

La prima difficoltà per noi è indubbiamente la lingua: se è difficile l’italiano moderno, l’italiano antico lo è ancora di più, anche se ci viene detto che l’80 % o il 90% dei vocaboli usati in Dante sono tuttora attuali. Questo, in realtà, è vero fino a un certo punto, perché durante i secoli molte parole hanno subito lo slittamento semantico che Gianfranco Contini ha dimostrato con il famoso esempio di Tanto gentile e tanto onesta pare[1].

Credo, dunque, di poter riassumere dicendo che, per gli orientali, la difficoltà sta, oltre alla competenza linguistica, nella distanza culturale. Siccome non ho avuto una formazione scolastica italiana, mi mancavano, e mi mancano, conoscenze di storia, letteratura, religione, geografia ecc. dell’Italia e dell’Europa. Ma la difficoltà è anche uno stimolo, ed è stato questo il mio caso. Studiando una parola, un’espressione, la retorica, la metrica, i personaggi… ogni cosa mi spingeva ad approfondire ancora di più. Capire lo sfondo delle sue opere, i riferimenti intertestuali e intratestuali, mi apriva un mondo nuovo, anzi dei mondi nuovi. Insomma, davvero Dante è per me ancora oggi la porta per la canoscenza.

 

Personalmente, non avevo mai letto le opere di Dante in giapponese[2], e direi fortunatamente, perché, studiandole solo in lingua ‘originale’, ho potuto conoscerle senza mediazioni. Tutto ciò, nel bene e nel male: ho fatto certamente fatica, ma allo stesso tempo ho stabilito con loro una sorta di rapporto diretto, personale, ed è di questo che vorrei parlare.

Della Commedia, a distanza di 700 anni da quando è stata scritta e nonostante la grande distanza culturale, l’Inferno mi colpisce e mi coinvolge. I personaggi storici e mitologici, le scene realistiche e così vivide, mi emozionano, mi fanno sorridere, mi suggestionano, mi impressionano, e soprattutto mi fanno riflettere.

Le immagini dell’Inferno descritte da Dante, in molti aspetti, sono sovrapponibili a quelle del buddhismo, come hanno ben dimostrato Emanuele Banfi e Fujitani Michio[3]. Anche nelle credenze giapponesi esistono luoghi simili ai gironi dell’Inferno dantesco, con fiamme e sangue, pene e dolore. Ci sono anche dei diabolici torturatori, che fanno di tutto per aumentare le sofferenze dei dannati: li cuociono, li tagliano in pezzi, li scorticano, li infilzano con ferri roventi.

Ovviamente, sono numerose anche le differenze tra l’Inferno dantesco e il Jigoku (?? l'inferno in giapponese). Prima di tutto, il buddhismo si basa sull’idea della reincarnazione, per cui i supplizi possono durare per centinaia di miliardi di anni, ma al termine si rinasce e si ricomincia da capo la vita terrena. Questo ciclo si ripete, finché non si raggiunge lo stato di ‘illuminazione’. E il Buddha non è il giudice, ma la guida, un modello da seguire. Il suo scopo è di salvare tutti i peccatori, anche quelli peggiori, dando loro la possibilità di migliorare. L’Inferno buddhista è, quindi, interpretato dai giapponesi come un luogo di insegnamenti sulla vita, dove si impara cioè come vivere e convivere meglio in questo mondo. L’Infernodantesco, invece, mi sembra più una denuncia, o meglio una condanna di questo mondo che, con grandissima desolazione, appare insalvabile.

 

Juo-zu, Jigoku-ezu. Bitoku, periodo Edo (XVII-XVIII), Tempio Jofuku-ji, Fukuoka. (https://jyoufukuji.files.wordpress. com/2012/06/e58d81e78e8be59bb3.jpg)

 

Se, come dicevo, il regno delle fiamme e del dolore, pieno delle grida dei peccatori, mi è familiare, l’orrore del Cocito, invece, non è per me di così immediata comprensibilità. Mi sorprende il concetto di un mondo di ghiaccio e silenzio, come luogo di punizione ancora peggiore. Infatti, anche per Dante è impossibile descrivere con un linguaggio umano questa ultima bolgia e sente il bisogno di chiedere aiuto alle Muse, in modo che «dal fatto il dir non sia diverso» (Inf. XXXII v. 12).

Proprio qui, dove l’umanità è morta, si apre la storia del conte Ugolino (Inf. XXXIII). L’orrore del suo atto feroce in contrasto con l’amore più forte tra gli esseri umani, e cioè quello tra genitori e figli, mi commuove più di ogni altra storia. Mentre Ugolino racconta, Dante non interviene mai per ben 71 versi, e quando Ugolino racconta il presagio della morte per fame dei figli, non risponde neppure alla sua domanda: «se non piangi, di che pianger suoli?» (Inf. XXXIII, v 42). Dante non gli risponde, però, proprio perché è impietrito come lo stesso Ugolino: come lui rimane muto, come lui non piange. Il silenzio è spesso più eloquente delle parole e lo sa bene Dante. Alla fine, però, il dolore e la rabbia trovano sfogo nella famosa invettiva contro Pisa, accusata di disumanità: «Ahi Pisa, vituperio de le genti / del bel paese là dove ’l sì suona» (Inf. XXXIII, vv. 79-80). Ho provato a tradurla in giapponese, consapevole della difficoltà della resa, ma mettendoci un po’ della mia sensibilità emotiva e linguistica, e potrebbe suonare così (Inf. XXXIII, vv. 79-84):

 

Ahi, Pisa, vituperio de le genti

del bel paese là dove 'l sì suona,

poi che i vicini a te punir son lenti

muovasi la Capraia e la Gorgona

e faccian siepe ad Arno in su la foce,

sì ch'elli anneghi in te ogne persona!

 

Ah, Pisa yo! Sì no kotoba ga hibiku

??????!Sì??????

uruwashino chi ni sumu hitobito no haji.

????????????

Ringoku kara no seibatsu ga kakumo osoiyue,

??????????????

Capraia to Gorgona no shimajima yo, ugoke,

??????????????????

 soshite Aruno-gawa no kako wo sekitome yo,

?????????????????

Pisa no hitobito ga mina oboreshinu yoni!

??????????????!

 

Dalla mia casa in un paesino in provincia di Livorno si vedono proprio queste isole, la Capraia e la Gorgona, che non si sono ancora mosse. E quando le vedo, penso a Dante, che immaginava di volerle muovere. Allora mi viene in mente di aver già letta una scena simile… è quella del canto XXXII, dove Dante cita il poeta Anfione, quello che, aiutato dalle Muse, con il suono della sua cetra indusse le rocce a muoversi dal monte Citerone per cingere la città di Tebe. Dante, ora, invoca proprio ‘quelle donne’ che aiutarono Anfione, perché aiutino lui questa volta a spostare le isole per cingere la nuova Tebe: la città di Pisa.

Temo che la profondità e la complessità del pensiero di Dante rimarranno per me come nozioni e impressioni, ma questo non mi scoraggia dal leggerlo e rileggerlo. E ogni volta che lo leggo, rinnovo la mia ammirazione, e magari faccio delle piccole scoperte a modo mio, e Dante sarà sempre il mio Dante.

 

Bibliografia

 

Dante Alighieri, Commedia, a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Bologna, Zanichelli 1999.

Fujitani Michio, Shinkyoku, il canto divino. leggere Dante in Oriente, con lintroduzione di Emanuele Banfi, Trento, Università degli Studi di Trento 2000.

Fujitani Michio, Dante, Shinkyoku: jigoku-hen. Taiyaku (Commedia, Inferno: traduzione con testo a fronte), in «Collected Papers on Foreign Language and Literature at Teikyo University», n. 16, Tokyo, Teikyo University 2010.

Fujitani Michio, «Nel mezzo del cammin di nostra vita» wo yomitoku, in «Italia gakkai-shi (Studi Italici)», LV (2005), Tokyo,pp. 1-34.

Iwakura Tomotada, La fortuna di Dante in Giappone, in Firenze, il Giappone e l’Asia orientale. Atti del Convegno internazionaledi studi, Firenze, 25-27 marzo 1999, a cura di Adriana Boscaroe Maurizio Bossi, Firenze, Leo S. Olschki 2001, pp. 271-9.

Iwakura Tomotada, «Italia-gakkai-shi»: 50-nenkan ni okeru Dante kenkyuno doko(1), in «Italia gakkai-shi (Studi Italici)»,XLIX (1999), Tokyo, pp. 340-52.

Teresa Ciapponi La Rocca, Dante in Giappone: la fortuna della Divina Commedia, in L’opera di Dante nel mondo. Edizioni e tradizioni nel Novecento. Atti del Convegno internazionale di studi,Roma, 27-29 aprile 1989, a cura di Enzo Esposito, Ravenna,Longo Editore 1992.



[1]Gianfranco Contini, Esercizio d’interpretazione sopra un sonetto di Dante, in Un’idea di Dante, Torino, Einaudi 2001.

[2]Per la storia della traduzione della Commedia, cfr. Iwakura Tomotada, La fortuna di Dante in Giappone, in Firenze, il Giappone e l’Asia orientale. Atti del Convegno internazionale di studi, Firenze, 25-27 marzo 1999, a cura di Adriana Boscaro e Maurizio Bossi, Firenze, Leo S. Olschki 2001, pp. 271-79. La prima presentazione di Dante in Giappone risale soltanto alla fine dell’Ottocento (1891), e la traduzione della Commedia comincio appena 100 anni fa.

[3]Fujitani Michio, Shinkyoku, il canto divino. leggere Dante in Oriente, con l’introduzione di Emanuele Banfi, Trento, Universita degli Studi di Trento 2000.


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