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CARLO BORDINI, Un vuoto d’aria, Milano, Mondadori (collana ‘Lo specchio’) 2021, pp. 162, € 20,00.

(pp. 99-101)

 

La pubblicazione postuma dell’ultimo libro di Carlo Bordini (1938-2020) nello ‘Specchio’ mondadoriano porta per la prima volta l’opera dell’autore romano a contatto con tutto il pubblico dei lettori di poesia. Tale incontro è stato preparato con cura particolare. Il volume si apre con un saggio introduttivo di Guido Mazzoni che, oltre a fornire elementi per storicizzare la figura e l’opera di Bordini, contiene alcuni spunti per una messa a fuoco, apertamente personale e generazionale, della figura dell’intellettuale organico universitario (Bordini occupò un ‘comodo’ – se facciamo il confronto con gli standard attuali – posto da ricercatore in Storia moderna presso La Sapienza). L’assestamento filologico del libro, per cura di Francesca Santucci, pure in presenza di una precisa forma d’autore consegnata, per legato di quest’ultimo, in uno hard disk ora al fondo Fortini dell’Università di Siena, ha richiesto controlli su altre possibili forme del testo, moltiplicate attraverso invii per mail di singole poesie o di ‘insiemi aggregati’ ad amici e corrispondenti. La storia di singoli testi, in buona parte già apparsi a stampa, è stata ricostruita con un occhio di riguardo per le incertezze della variantistica. La ristampa di poesie con varianti è un genere praticato da Bordini alla luce del sole con il riuso di testi in diverse raccolte e va inteso non tanto come approssimazione a una forma ideale, o migliore, ma come una sorta di guerriglia comunicativa e come provocazione (è il caso delle quattro ‘forme’, di fatto con sole variazioni di a capo, di Poesia derivante dall’osservazione di taluni moribondi della mia famiglia, nella raccolta Sasso, per Scheiwiller, 2008). Possiamo anche immaginare che si tratti in parte di un’eredità della militanza trozkysta del giovane Bordini, un residuo di quella cultura del ‘ciclostile’ con diffusione artigianale di ‘documenti’ e mozioni con scarti minimi per forma e contenuto riadattabili secondo la situazione (è del resto ciclostilata la prima raccolta di Bordini, Strana categoria, del 1975). E, su un piano appena diverso, si colgono ancora i segni di un’avanguardia grafica di tipo meccanico/artigianale, legata all’uso della macchina da scrivere, in giochi ‘alla Cummings’ come gli a capo: «brandelli di magia not / turna [...]», «La freddezza / algida della m / orte», o lettere ribattute «pPerò in realtà sei viva» (è invece un possibile refuso d'autore rispettato dagli editori la successione di virgola e punto e virgola alla p. 78). Se in molti casi l’intervento editoriale porta su fatti minimi come l’armonizzazione dei diacritici (passando per esempio da E’, residuo sempre dell’uso della macchina da scrivere anche presso chi già usa la videoscrittura, a È), c’è almeno un intervento di tipo strutturale che porta sulla configurazione ‘tattica’ stessa della raccolta. La collocazione a fine libro, con l’etichetta di Appendice, di una poesia (Come faremo con questo amore che non vuol morire) di cui si è certi che doveva rientrare nella raccolta ma non sappiamo dove, corrisponde, dichiaratamente, a un gesto mimetico bordiniano, che con il titolo di Appendice colloca a chiusura della raccolta citata Sasso, una prosa dal titolo Poesia l’unica che dica la verità. La scelta può apparire protocollare ma dà in realtà l’ultima parola a un testo che esprime una delle anime del libro, quella della poesia d’amore esponendola, di fatto (e non senza ragione), a diventarne la dominante principale. Segnaliamo qui un punto problematico in cui, comunque lo si intenda, cura editoriale e strategia poetica di Bordini si possono sovrapporre. Si tratta della poesia Pizarnik, intitolata a una figura mitica delle lettere sudamericane, la poetessa Alejandra Pizarnik (1936-1972), icona femminista e scrittrice del male oscuro, che si tolse la vita a trentaquattro anni nella Parigi di Cortazar (dice Bordini: «La tua è la speranza dei pessimisti: quelli che pensano / che in ogni caso perderanno »). Il testo contiene in traduzione la citazione (p. 48, facilmente riconoscibile tanto per il virgolettato che per l’uso del corsivo) di una poesia breve di Pizarnik: «Il cuore di ciò che esiste / non consegnarmi, / tristissima mezzanotte, / al mezzogiorno bianco senza purezza». Le cose però, nell’originale, sembrano stare diversamente: quello che qui figura come primo verso della poesia ne è in realtà il titolo: El corazón de lo que existe, così che nel testo, di soli tre versi («no me entregues, / tristísima medianoche, / al impuro mediodía blanco»), è il ‘pronome/ poeta’ che chiede di «non essere consegnato alla mezzanotte triste», mentre nella citazione/traduzione è il cuore che diventa oggetto di non consegnarmi. Se la poetessa avesse giocato su una forma di ambiguità dove, il titolo prendendo valore di verso iniziale (il caso non è isolato nelle poesie di Pizarnik), entrambe le soluzioni sarebbero possibili, la versione che leggiamo nel volume dello ‘Specchio’, comprimendo il testo, la sopprime. Ci si può chiedere dunque se si tratti di un errore d'autore: è la videoscrittura che si è ‘mangiata’ originariamente la riga bianca tra titolo e inizio del testo? Bordini avrebbe dato più o meno coscientemente al titolo valore di verso iniziale? In entrambi i casi, a poterglielo chiedere, si immagina la risposta ‘situazionista’ di Bordini che direbbe: «mah, è uguale», cioè la risposta data alla curatrice in merito alla domanda sulla data 1992 erroneamente attribuita alla caduta del Muro di Berlino nella poesia I bambini colombiani (ora in Vuoto d’aria) e quindi conservata. Sembra invece un caso diverso quello della ripetizione di una breve poesia, Non ho mai amato mia madre, presente con identica forma in due sezioni del libro, non fosse che la prima ripresenta, introdotti da «Forse» e con una variante minima, gli ultimi tre versi del testo. Si tratta certamente di una vera nota di lavoro precedente la forma definitiva del testo, i curatori hanno optato per un gesto deliberato di ‘non finito’, forti della volontà dichiarata dallo stesso Bordini di lasciare «impalcature invisibili» intorno al libro (Mazzoni parla di «estetica dell’imperfezione»).

La struttura della raccolta, come detto, corrisponde alla forma decisa dall’autore e che possiamo credere bene descritta dal titolo, il cui significato non sarebbe da prendere unicamente in senso ‘esistenziale’, ma formale. L’immagine del ‘vuoto d’aria’ – con il suo riferimento alla nota situazione per cui un aereo perde improvvisamente quota in presenza di una forte corrente discensionale che lo trascina verso il basso generando l’impressione di una caduta – sembra corrispondere, icasticamente, all’andamento della raccolta che presenta un tracciato, o una ‘rotta’, meno lineare rispetto ad altri libri (per esempio rispetto a Strategie, il ‘canzoniere pugilistico’ dove la guerra degli amanti diventa il resoconto di una serie di incontri di boxe). D’altra parte, il ‘vuoto d’aria’ corrisponde bene ad un’altra immagine della poesia di Bordini, quella della stasi di cui è, in qualche modo, la versione dinamica, ma fuori controllo. Si noti, soprattutto, che proprio la poesia dal titolo stasi, del 1995 e transitata per varie raccolte (tra cui sempre Sasso, vero e proprio crocevia dell’opera di Bordini), si trova ora in apertura della sezione intitolata del dormire. Ne costituisce anzi di fatto la premessa dato che il soggetto di questa poesia meridiana straniante è il dormire al pomeriggio il sonno dei bambini, una situazione che ne colloca la sfasatezza in una prospettiva psicanalitica. L’ammissione che «I fantasmi che si sognano sognando di / aver sognato dei sogni» è un’ecolalia dolce che si sposa perfettamente con quella che pare la dominante stilistica del libro; la variante al passato, aver sognato, rispetto al testo finora circolato (sognando di sognare), aggiunge semmai un tocco più barocco che elegiaco. Che questo sognare abbia valore politico o post-politico (e vale anche per i sogni ad occhi aperti con tanto di riconversione dell’impotenza civile in libido di onnipotenza immaginata «[...] Se / non pensassi di essere Dio, / non mi pentirei tanto», La pietà), cioè si collochi in una sorta di poetica del disinganno sui destini storici e antropologici del socialismo, su cui insiste Mazzoni (operando, a contrasto, un efficace confronto con la tensione all’utopia permanente di Fortini), è più che probabile. La raccolta di prove esplicite in tal senso dà frutti immediati: «In realtà comunismo e capitalismo furono due aspetti della stessa / faccenda [...]» (I bambini colombiani); «Poiché mi avete invitato a leggere poesie / devo dirvi che mi vergogno un po’ / perché chi scrive poesie non dà risposte» (Poesia letta in una piazza). Il ‘vuoto d’aria’ della raccolta, coi suoi salti tra poesie autonarrative (particolarmente riusciti i due mini-romanzi familiari su sfondo storico: sul nonno materno, morto volontario nella Prima guerra mondiale e sulle prozie danesi «che si fecero fotografare / alla fine dell’Ottocento») e post-politiche, prevede un ulteriore fattore che imprime vibrazioni alla carlinga del libro: l’amore. Sono i testi per la giovane moglie, la poetessa peruviana Myra Jara Toledo «Myra, brillante e fragile come il cristallo» (dice lei di sé stessa: «Soy la persona más frágil que he conocido») che si annidano in varie parti del libro, soprattutto a formare delle piccole serie. La conversione di Bordini al genere di ‘le più belle poesie d’amore’ (di Prévert, di Alda Merini ...) ha di che lasciare spiazzati. Preso nel ‘vuoto’ d’aria, l’amore/tema non si converte solo in canzoniere amoroso; come già in Strategia, instaura un’ennesima tecnica di combattimento: «usa le tecniche per il contrario per cui sono state inventate / spiazza l’avversario» (Arti marziali); «È un’arte marziale inventata da una donna, che si basa tutta su movimenti interni», «In certe occasioni posso anche essere molto pericoloso, come una donna, o un verme», citazioni da Del verme dove la metafora della lotta si accompagna a quella di una metamorfosi larvata che infatti funziona da nesso onirico con la poesia seguente, Sogno n. 4 (un sogno senza Traumdeutung, dove l’autore è un agente segreto in un micromanzo di spionaggio condensato). L’amore non va poi tutto liscio: «[...] mi dedico tranquillamente a una donna, che tranquillamente senza saper (meglio: poter) fare altro mi svena.», «Io so che non ti rendo felice e che tu non mi ami» (nella serie di Poesie molto ciniche). Ma Bordini non si nasconde; sembra in realtà proprio dire che l’amore è la continuazione dell’utopia con altri mezzi: «Questo amore assurdo, irrealistico e quindi / in qualche modo sublime»; «Come faremo con questo amore che non vuol morire» (Appendice). Sembra perfino una forza in grado di spezzare la prigione onirica della stasi, e proprio con le stesse armi già distopiche del sogno: «tu sogni / la parte più bella del sogno», «e noi / la sogneremo ancora e ancora e non sapremo cosa sognare». Le conseguenze stilistiche sul libro sono notevoli. Possiamo probabilmente mettere il ‘canto d’amore’ sul conto della poetica dell’imperfezione e del ‘non finito’. Bordini ha del resto una scrittura che rinuncia da sempre all’investimento sullo stile, forse anche per una certa povertà di modelli (tra i dichiarati: Gozzano, Pirandello ...). Non può però rubricarsi sotto lo ‘stile semplice’ di cui non ha né la volontà sottrattiva, né la conseguente sovraesposizione del soggetto (differenza fondamentale, certo, che non ha però impedito a Bordini, di agire come ‘influencer’ su adepti dello stile semplice della scuola romana quali Damiani e Beppe Salvia fulminati da una sua lettura, come risulta da una testimonianza dello stesso Damiani, riportata da F. Santucci nella sua recensione a Strategia in «Semicerchio» 64, 2021/1). Vuoto d’aria, pur nel costante basso attrito linguistico, comprende comunque vari pannelli stilistici. Il lungo poema (Assenza) che, nell’immagine del maratoneta che non vuole arrivare al traguardo rappresenta l’esaurimento della storia come progresso (Mazzoni), ha un momento eliotiano (dei Quartets): «[il presente] esso è presente infinito e quindi continua assenza / presenza non necessaria ma comunque presente / presenza / presenza nell’assenza che è dolce come la presenza / esperienza presente ma ormai non più ripetibile / presenza immobile e dunque come fosse eterna». Del resto, la temporalità circolare e tautologica del passo è la stessa del maratoneta fobico del traguardo e la stessa di tante immagini oniriche del libro («quando la fantasia / scopre l’invenzione di se stessa»). La poesia su New York sembra invece una specie di suite in cui al poemetto modernista («I grattacieli sono tele di Mondrian / è tutto molto astratto»), succede la densa prosa sulla melancolia con elenco finale di erbe medicinali, una farmacopea latina incolonnata come poesia che ricorda perfino le poesie latine di Emilio Villa. Ma è soprattutto l’apertura stilistica facile dei canti erotici che rimane nella mente del lettore e che possiamo ricondurre alla vena lirico-epica di tanta poesia ispanoamericana da cui (non solo dal lato ‘freudiano’ di Bordini) probabilmente deriva anche un resto di ‘surrealismo’ ingenuo espresso in un’immagine come «in un angolo muggisce la latteria / appoggiata allo zoccolo / di periferia»; così come il preveggente «Io morirò verde, lo so. [...]», sembra la ripresa ironica di un celebre passo lorchiano (mentre è indubbiamente un’esposizione fatale al kitsch: «Ho sognato che ti telefonavo / con un telefono di fiori»). Ora, proprio questi rilievi sullo stile portano a considerare come Vuoto d’aria, al di là del costituire una tappa importante nella storicizzazione di Bordini, porti con sé un’altra questione che è quella dell’eredità dell’opera del poeta romano. È proprio Mazzoni che la pone nemmeno troppo indirettamente misurando la posizione di Bordini come docente con salario ‘garantito’ («noi garantiti») a quella propria e di una buona squadra di poeti (a partire dallo stesso Mazzoni) che, dalla posizione di dottorando (molto poco garantito) a quella di docente, gravitano attorno all’Università. La constatazione ha evidenza sociologica e porta con sé anche quella della fruibilità di Bordini come possibile modello. La ricetta di Vuoto d’aria potrebbe essere quella di un orientamento verso una trasparenza linguistica utile non solo per metabolizzare la delusione della Storia ma anche per equilibrare riflessione ed emozione privata secondo la linea della poetica neomodernista. D’altra parte, non mancano proposte per un recupero di Bordini a favore della causa dell’avanguardia, magari con avvicinamento a una figura di fine ironista quale quella di Corrado Costa (così Marco Giovenale sul «il verri» 76, 2021). Insomma, polarizzando e semplificando: la poesia di Bordini può portare un po’ di ‘avanguardia vissuta’ nella poesia di espressione lirica, oppure, al contrario, costituisce un’occasione per infondere un po’ di ‘neoromanticismo’ ed ‘emozione’ nella ricerca d’avanguardia? La domanda è legittima (bisogna qui reprimere l’idea di un Bordini che risponderebbe: «mah, è uguale»), non solo perché con le emozioni non si scherza, soprattutto da quando sono diventate indicatori di controllo sociale e di mercato, ma perché tutta la poesia di Bordini può apparire come un articolato discorso sulle emozioni: dalle emozioni politiche a quelle private, ma sempre sottotraccia e con l’ironia di chi nevrosi della Storia e della sconfitta ha cercato di raggiungere (secondo la metafora della ‘difesa berlinese’ che dà il titolo alla raccolta di prose pubblicata nel 2018) una posizione di sostanziale parità.

                                                                                                                                                         (Fabio Zinelli)


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