« indietro HORACIO ARMANI, Imagenes de Eugenio Montale, Buenos Aires, Editorial Sudamericana 2002, 144 pp. L’autore riunisce i suoi scritti montaliani, con relativa scelta di poesie tradotte da Satura in poi, dispersi in periodici: una storia di occasioni, non priva dell’aneddotica pertinente, ma con la connessione che disegna il lavoro di Armani intorno a Montale dagli anni ’70 ad oggi e che restituisce un materiale prezioso e poco noto. Di rilievo due interviste, del 1970 e del 1977, apparse nel giornale bonaerense «La Nación», di cui Armani ha curato per anni le pagine letterarie e mai incluse nella bibliografia montaliana: vi si toccano questioni importanti come la distanza di linguaggio e poetica dal Gruppo ’63, il ruolo del poeta, il rapporto fra poesia e prosa; l’incomprensione e la sfiducia di Montale nei confronti di una critica troppo aderente alla biografia e in quella strutturalista, il rapporto fra l’uomo contemporaneo e il progresso, fra letteratura e industria, il problema della morte e la musicalità occultata negli ultimi libri. Otto articoli riguardano nuove raccolte, aspetti tematici, circostanze come l’assegnazione del Nobel; fra quelli non datati, Traducir a Montale fu scritto per gli atti del convegno Montale tradotto dai poeti organizzato da «Semicerchio» (n. XVI-XVII, 1997). In chiusura l’emblematica poesia Lectura de Montale, i biglietti di Montale al suo traduttore e biobibliografia. Stupisce ed è interessante leggere oggi questi documenti e riscontrare quale lucida intuizione ci fosse nell’atteggiamento di Montale, quello di chi vorrebbe osare la speranza – e lo fa a suo modo – ma sa che non è e non sarà tempo né luogo. Da questi scritti e da queste poesie ci guardano realtà attuali com’erano state dolorosamente presentite; qui sta anche l’inteso, di carattere squisitamente comparativo, fra Montale ed Armani il quale, in un passaggio difficile del proprio percorso poetico scopre la traduzione: di un linguaggio in questo caso da riconsegnare al disincanto, ma non senza averne prima raccolta interamente l’audacia di credere ancora nel «valore essenziale della poesia», nella sua capacità creativa; in apertura, infatti, Armani afferma, con modestia, di non aver altra pretesa che quella di render testimonianza a Montale, di ammirazione nonché riconoscenza per averlo attratto al bel compito del tradurre, altro modo, «laterale», di scrivere poesia. Ma non per caso Armani è stato premiato come miglior traduttore di Montale: le sue versioni raggiungono il raro requisito dell’eccellente resa estetica con contributo all’interpretazione dell’originale. Di quella speranza irrinunciabile che Montale dissimula con l’umorismo, qui studiato con sensibilità da Armani, si ha motivo di raccogliere anche la convinzione montaliana che la poesia scritta sopravviverà sempre, per quanto incalzata da altre forme, legate al parlato-prosastico, o propriamente audiovisive e orali, ma soprattutto minacciata dal di dentro, dal proprio promuoversi come prodotto industriale.
(Lucia Valori) ¬ top of page |
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