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Scriveva Johann Wolfgang Goethe nelle Note al suo Divano occidentale orientale (1819) che esistono tre specie di traduzione. La prima ci fa conoscere le «cose straniere» dal nostro punto di vista, ed è in sostanza la versione in prosa; la seconda è «il metodo parodistico» di chi afferma di trasferirsi in una cultura straniera, in realtà appropriandosi dell’estraneo adattandolo al proprio. La terza cerca l’aderenza alla «forma esteriore», ed è perciò “vicina alla versione interlineare”: il traduttore rinuncia all’«originalità della propria cultura» e si adegua all’estraneo. A questo terzo tipo si può attribuire il goethiano Divano occidentale-orientale, modellato sui versi (in traduzione) del fratello-antagonista Hâfez, poeta vissuto nella Persia medievale, ma da Goethe sentito vicino per sensibilità e visione dell’amore, del mondo e della natura. Goethe rende plasticamente il senso di una versione ‘interlineare’ in grado di produrre il nuovo – nel tempo: non calchi né parodie ma metamorfosi. Forme mai viste prima. Sono queste le ‘interlineari’ dei poeti.
Dobbiamo al Divano occidentale-orientale di Goethe (in italiano nella bellissima traduzione di Ludovica Koch e Ida Porena, Milano 1990) la circolazione dell’etimo persiano nella parola di uso corrente “divano”. Nella sua valenza originaria esso è luogo di “raccolta di parole e voci”, non necessariamente uniformi, luogo fisico di discorsi e locus amoenus di versi, canzoniere.
A partire da Goethe abbiamo pensato la sezione Divani contemporanei come luogo di differimento – nello spazio e nel tempo, in traduzione e in riscrittura – dell’incontro tra oriente e occidente (così per gli haiku curati da Maria Rosa Piranio), o tra nord e sud (è il caso delle reciproche letture e traduzioni curate da Theresia Prammer e Federico Italiano).
Camilla Miglio
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