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PIERLUIGI CAPPELLO, Assetto di volo. Poesie 1992 – 2005, a cura di Anna De Simone, Prefazione di Giovanni Tesio, Milano, Crocetti, 2006, pp. 173, Euro 15,00.
 
Il volume che raccoglie le tappe dell’itinerario poetico di Pierluigi Cappello si presenta come oggetto nitido ed essenziale che sembra con servare, nella stampa, qualcosa del manufatto: quasi un decantarsi della parola nella materia, affinché la paro la rimanga nitida dopo la fatica. Questa della fatica dello scrivere non è una comune metafora: per Cappello, costretto in sedia a rotelle, davvero il corpo è costrizione e impaccio, è ridotta mobilità, come avverte Giovanni Tesio nella prefazione. Così Assetto di volo, la poesia che dà il titolo alla silloge, concentra nella traiettoria dello spastico lo sforzo della vita e insieme della poesia: «con una tensione di motore imballato / tutta la forza del suo corpo spastico / ribellata alla forza di gravità», fino a che «non sbanda più, vince, è in equilibrio / vola via». La tensione e l’equilibrio sono i due poli che si alternano e si compongono nella raccolta che con tiene integralmente gli ultimi due libri, Dentro Gerico (2002) e Dittico (2004), un’ampia selezione dei due precedenti, La misura dell’erba (1998) e Amôrs (1999), e si conclude con tre inediti. Cappello è poeta bilingue, e soprattutto la raccolta Dittico, con testi in italiano e in friulano, evidenzia la compresenza dei due strumenti in un movimento pendolare tra cose che chiedono di essere dette in friulano e cose che chiedono di essere dette in italiano. Il friulano, che Cappello usa in una variante di confine, non è né immediato né manieristico: egli si pone davanti al dialetto come ad una lingua che può ancora esprimere la verginità di un’alba, pur nella constatazione della perdita ormai definitiva della civiltà contadina cui quella lingua, e con lei i parametri culturali da essa espressi, appartenevano. Ma Cappello usa anche il friulano in una sorta di ardua tenzone con i Provenzali: lavora dall’interno il dialetto coniando dei neologismi, oppure richiamando ad icastica esattezza ter mini ormai desueti, come in Inniò (‘In nessun dove’), dove l’avverbio friulano viene ad indicare «il luogo che non c’è, la terra dei sogni e delle chimere», e ciò nella ricerca della parola ‘tersa’, capace di fare argine alla perdita di senso cui va incontro l’abbassamento della lingua contemporanea. È la figura della Retroguardia che apre la raccolta di poesie tutte in italiano Dentro Gerico: «Si è la coda dell’esercito in fuga / o la fronte dell’altro che incalza / qui resistere significa esistere...». La resistenza della parola poetica sta nella sua capacità di cogliere l’esistenza delle cose: e l’italiano di Cappello è lingua sorvegliatissima, nutrita di intertestualità colta e addestrata al labor limae. Per lui la poesia è uno sguardo pulito sulle cose e che lascia le cose come stanno, cercando di illuminarle dall’interno, con misura severa: «Attieniti alla misura dell’erba / di questo prato che è largo / quanto si stende il verde». Saper guardare in basso per cogliere ogni stelo singolarmente e quindi il prato nella sua complessità: il comandamento che il poeta dà a se stesso e al suo fare poesia vuole essere infine anche una indicazione di valenza civile. La silloge, nel suo carattere consuntivo, termina con una rapida indicazione dei ‘lavori in corso’, collocandosi nel passaggio tra quello che è stato e quello che ancora può essere: incarna dunque in sé quel motivo della soglia che percorre in filigrana il libro ed emerge in alcuni punti emblematici, come nel ritratto di Caproni, «uno che i suoi bagagli / li ha già spediti avanti». L’ultima lirica, I vostri nomi, presenta una casa di riposo; su quei vecchi là raccolti e come sospesi la parola poetica si sofferma per nominarli, cogliendo in quella situazione estrema «la luce sulla soglia» che li restituisce alla memoria «liberi e scalzi / le tasche piene di sassi». Di soglia in soglia: in questo itinerario ci accompagna la poesia di Cappello.


Maria Rosa Tabellini

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Il testo-natura. Presentazione di Semicerchio 70 e 71, Roma Sapienza.

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