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Poggioli e Lermontov
 
di Alessandra Carbone
 
All’interno della sua vasta opera di traduttore-slavista la poesia russa dell’Ottocento è spesso collocata da Poggioli come ‘alle soglie’ delle raccolte o degli studi proposti: così avviene, ad esempio, nella celebre antologia Il fiore del verso russo. Poeti russi del Novecento[i], ma anche nel successivo I lirici russi: 1890-1930[ii]. Per la poesia russa ‘classica’ troviamo delle apposite sezioni dai titoli suggestivi quanto eloquenti, come Gli antecedenti[iii] o I maestri del passato[iv], e in calce al Fiore il lettore può poi trovare una selezione di liriche – da Lomonosov a Fet – nell’Appendice.
Se prendiamo in analisi il Fiore del verso russo, nelle pagine introduttive, in cui l’autore doveva riassumere il più possibile il ruolo e l’importanza storico-letteraria dei ‘maestri’, osserviamo che più ampio spazio è dedicato all’opera di A.S. Puškin, mentre solo alcuni cenni sono riservati a M. Ju. Lermontov, di cui troviamo brevi note che ospitano inoltre informazioni su Tjutčev, anche se alla fine degli anni Quaranta (se prendiamo come limite temporale per la nostra riflessione il Fiore, pubblicato nel 1949), l’opera in versi di Lermontov era già discretamente apprezzata e accessibile al lettore italiano del tempo[v]; è dunque interessante che alla fine degli anni ’40, Poggioli, dovendo ritagliare un po’ di spazio ai grandi dell’800 nell’Appendice, se a Puškin concede la traduzione di dodici componimenti, di Lermontov ne ammetta solo due. Sappiamo del resto che proprio la struttura dell’antologia dava qualche pensiero all’autore[vi] e una pungente curiosità ci spinge a chiederci come mai quello che da Belinskij in poi veniva spesso considerato l’astro della poesia russa dell’Ottocento dopo Puškin[vii] non vi trovasse uno spazio maggiore. In mancanza di rimandi o appunti del Nostro in merito a tale scelta (ad oggi, tra le carte di Poggioli e del suo vasto archivio non si trovano riferimenti[viii]), potremmo ricostruire qui il contesto di questo approccio, ‘posizionando’ la presenza lermontoviana nel Fiore nel quadro della ricezione dell’opera di Lermontov in quel tempo. Una motivazione sembra suggerirla lo stesso Poggioli:
 
«una parte notevole degli scritti che vanno sotto il nome di Lermontov sono il frutto di quegli anni che al poeta maturo, se fosse sopravvissuto, sarebbero sembrati, in senso umano ed artistico i propri Lehrjahre; mentre per il lettore, soprattutto straniero, è quasi impossibile riconoscervi gli scritti che potenzialmente annunziavano l’eventuale fioritura dei Meisterjhare»[ix].
 
In queste parole è ravvisabile una serie di considerazioni che facevano riferimento ai più recenti studi sul poeta, ad esempio ai lavori di B. Èjchenbaum sulla sua posizione storico-letteraria[x] e sul suo metodo compositivo, poi riproposti in parte nella Polnoe sobranie sočinenij di Lermontov del 1935 da lui co-curata e provvista delle varianti[xi]. Questa edizione era arrivata all’Università di Harvard già a partire dal 1936[xii] per cui è verosimile che Poggioli l’abbia consultata, al contrario di molti suoi colleghi italiani, che ancora alla fine degli anni Quaranta dovevano spesso arrangiarsi con pubblicazioni datate[xiii]. Sia Èjchenbaum che, sinteticamente, Poggioli, sottolineavano l’inevitabile disequilibrio artistico dovuto alla massiccia pubblicazione (postuma) di numerose liriche giovanili di Lermontov già a partire dalla metà dell’800, il che in qualche modo ne diluiva il valore; certo, tali componimenti avevano e hanno un innegabile valore storico-letterario, per cui è comprensibile che, già all’indomani dello spettacolare duello alle pendici del Monte Mašuk, seppellito il ventisettenne Lermontov, la giovane ‘editoria’ russa del tempo ne avesse ripreso tutte le opere per riproporle poi nelle diverse edizioni[xiv]; al contrario Poggioli, ormai un secolo dopo, vuole pubblicare una raccolta nuova, con una spiccata propensione ai talenti moderni, per cui la selezione di versi da proporre fra le opere degli antecedenti deve essere più che rigorosa; e se in seguito egli cambierà molto il suo giudizio sul poeta russo, al momento sembra piuttosto concentrarsi sulle apparenti ingenuità della sua lirica giovanile, di cui sottolinea le derivazioni byroniane, «malattia di gioventù»[xv]: «quello che fu detto il byronismo di Lermontov (e che non è altro che la forma specifica di un romanticismo generico e deteriore) rimane un problema critico soltanto perché la morte ne impedì il superamento in nuove esperienze di vita e di creazione»[xvi].
Certo, tale giudizio non è certo un caso isolato nella lermontoviana: con pesi diversi, sia certa critica russa pre-rivoluzionaria, sia soprattutto quella sovietica, che insisteva sul percorso di evoluzione dell’autore dal romanticismo esasperato dei primi anni verso il realismo della maturità, esageravano l’influenza byroniana, e questo soprattutto in risposta alla ricezione decadente fin de siècle di moda in Russia, come riassume ancora Èjchenbaum:
 
La rinascita della scienza letteraria quasi non ha toccato Lermontov, nonostante la sua estrema popolarità. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che L. non è tra i poeti la cui influenza artistica è stata chiaramente avvertita dalla nuova generazione di poeti, e di conseguenza non ha attirato l’attenzione di nuovi critici o studiosi. Se pensiamo alle tradizioni letterarie che hanno formato il simbolismo russo, l’influenza di Lermontov, nonostante l’innegabile attrazione per lui di singoli poeti (soprattutto Blok), non è paragonabile a quella di poeti come Tjutčev e Fet. Lermontov è tornato utile durante il periodo di entusiasmo per il ‘nietzscheanismo’ e per la ‘ricerca di Dio’ (Merežkovskij, Zakrževskij) – ma questo è tutto[xvii].
 
Qualche anno più tardi anche altri studiosi, come L. Pumpjanskij[xviii], vorranno lavar via la polvere della ricezione post-romantica di Lermontov, riscoprendone i nuovi meriti poetici ravvisabili nelle liriche di impianto realista. In occidente il Mirskij, molto stimato da Poggioli[xix], nella sua prima History of Russian Literature, a proposito di Lermontov, giudica «mellifluo»[xx] il poema Demon, ma più avanti scrive:
 
Beginning with the Russian poems of 1837 – the simple war-ballad Borodino, […] expressing the ideas of an old veteran, and the wonderful Song of the Merchant Kalashnikov, a narrative of the Old Russia in a style taken with admirable intuition from the epic folk songs […]. Together with The Angel, these poems are his greatest achievement in verse. […] the most remarkable are The Testament and Valerik, […], describing a battle against the mountaineers, in a style of simple, but pregnant, realism. It is a link between The Bronze Horseman and the military scenes of War and Peace[xxi].
 
Anche Ettore Lo Gatto è assolutamente in linea con queste considerazioni e nella sua Storia della letteratura russa del 1942 scrive:
 
[…] quando, come nella famosissima Borodino, la lirica si trasforma in racconto, il tono acquista il suo equilibrio. Questo spiega perché, uscito dal periodo di pura imitazione byroniana, il poeta poté raggiungere i migliori risultati dei poemi, a cui, oltre che alla lirica posteriore al 1837, è affidata la sua fama: il Canto dello zar Ivan, i due poemi Il demone e Mcyri […] nel Valerik si può vedere un’anticipazione della serenità epica delle scene militari di Guerra e Pace di Tolstoj[xxii].
 
Allo stesso modo, Poggioli loda tale realismo di Lermontov, indicando nel Fiore quasi le stesse opere a cui si riferivano Mirskij e Lo Gatto:
 
In Borodino parlerà con la voce di un semplice veterano per evocare con vigorosa ed ingenua freschezza le glorie di quella battaglia; in Valerik descriverà con sobria e tragica oggettività gli orrori di una scena di guerra; nel Cantare dello Zar Ivan Vasil’evič riprenderà i modi dell’epos popolare per narrare una leggenda d’amore, di gelosia e di vendetta[xxiii].
 
questi i tratti della lirica di Lermontov che più lo convincono, facendolo vero antecedente di quel modernismo russo da cui scaturiranno gli amati versi di Blok (ma anche del primo Pasternak):
 
Quello che a noi interessa è il Lermontov lirico puro o puro lirico, autore di una breve serie di componimenti in cui […] rappresenta una vivace e concreta antitesi del concetto puškininano del poeta e della poesia. Egli è poeta non del sentimento, ma della passione, non della realtà, ma del sogno, non della vita, ma della morte. […] Per Lermontov la poesia è esperienza. Spesso esperienza d’altre vite, d’altre realtà, d’altri mondi. Per questo nulla di più significativo e simbolico della lirica più bella della sua adolescenza[xxiv], che ripete con sentimento nuovissimo il vecchio concetto del poeta come un angelo mandato in esilio sulla terra. Proprio per questo più che a Byron Lermontov assomiglia a Coleridge ed anticipa una delle mistiche visioni dei simbolisti[xxv].
 
Qui, Poggioli corregge anche il tiro riguardo al precedente confronto con Byron, mentre, anche nell’utilizzo dell’aggettivo ‘puro’, o nell’espressione ‘pura poesia’, riecheggia l’accezione che egli dà alla poesia russa di inizio Novecento, ad esempio in un suo articolo ancora giovanile troviamo il titolo «La letteratura pura: Pasternak»[xxvi]. Negli anni il giudizio di Poggioli su Lermontov cambiò e nel suo Poets of Russia, del ’60, leggiamo pagine che, se vediamo innestate sulla struttura, sul ‘gambo’ del Fiore del verso russo, appaiono frutto di rielaborazione e sintesi critica dell’autore. Nel nuovo libro Poggioli infatti scrive che: «Era necessario, dopo il tramonto di Puškin, se non un nuovo sole, almeno una cometa che brillasse nel cielo della poesia russa come un nuovo portento. Questa cometa fu Michail Lermontov […]»[xxvii].
Poggioli ne sottolinea il ruolo nel firmamento della poesia russa riprendendo (forse con un filo di ironia) persino il giudizio di Belinskij e la sua già menzionata metafora ‘astrale’[xxviii] (nonché quella della ‘meteora’ di Gasparini); egli rielabora il suo pensiero riprendendo le vecchie riflessioni, mitigandole ed ampliandone il respiro, inserendo inoltre qualche minimo particolare biografico:
 
[…] Scrisse La morte del poeta e l’esperienza al fronte nella linea calda del Caucaso gli aprì nuovi orizzonti attraverso la maestà del paesaggio montano e la elementare semplicità di un’esistenza dominata dalla privazione e dalla morte. Egli ebbe l’occasione di provare il suo coraggio in battaglia e di trovare sé stesso nella meditazione e nella solitudine. Allora finirono i suoi Lehrjahre e cominciarono i suoi Meisterjahre […][xxix].
 
Veniamo ora alla selezione delle poesie di Lermontov che il Nostro inserisce nel Fiore rispetto ai componimenti citati nell’introduzione, in cui insisteva – ad esclusione della lirica giovanile Angel (1831), su liriche di argomento storico e impianto realista quali Borodino (1840), Valerik (Ja vam pišu slučajno, pravo…, (1840), Pesnja pro carja… (1840) e Son (Il sogno, 1841). Nessuno di questi è però presente nell’antologia: la scelta ricade invece su due componimenti decisamente meno conosciuti, Slyšu li golos tvoj (Se ascolto la voce, 1837-38) e la giovanile Čaša žizni (La coppa della vita, 1831). Si è allora postulato che una delle ragioni per l’esclusione delle poesie lodate da Poggioli nel Fiore ma non inserite nella sezione antologia dipendesse da quanto (e se) fossero già state rese in italiano, e dunque accessibili al lettore. Abbiamo seguito questa pista e da una ricerca sulle diverse prime traduzioni lermontoviane sino al 1949 abbiamo tratto i seguenti dati:
 
Angel, traduzioni di: D. Ciampoli (1881); P. Gastaldi-Millelire (1919), G. Bach (1920), G. Gandolfi (‘25).
Borodino, tradotta più volte, da: P. Gastaldi-Millelire (1919), G. Bach (1920), G. Gandolfi (1925).
Valerik (Ja vam pišu…) mai tradotta a quel tempo, la prima versione è del 2014, a cura di Guido Carpi, nella raccolta Lirici russi dell’Ottocento[xxx].
Il poema Pesnja pro carja… (Canto dello zar Ivan Vasil’evič…). Tradotto da E. Tesa (in prosa, 1870), D. Ciampoli (1903) e da G. Gandolfi (1925).
Son, traduzioni di S. Zarudnyj (1884), D. Ciampoli (1881), P. Gastaldi-Millelire (1919), G. Bach (1920).
 
Quelle inserite nel Fiore sono:
 
Slyšu li golos tvoj, traduzioni: Ciampoli (1881), Zarudnyj (1884), Gastaldi-Millelire (1919), Gandolfi (‘25)
Čaša žizni, tradotta da G. Bach (1920).
 
Emerge dunque che non è il criterio di novità quello che muoveva Poggioli nella sua selezione per il Fiore, altrimenti avrebbe potuto proporre la traduzione di Valerik, componimento più volte lodato da critici diversi, ma mai tradotto a quel tempo, o il poema Pesnja pro carja… Inoltre, è anche vero che le traduzioni, anche là dove erano state eseguite più volte (quella di Angel, o di Son) avevano al massimo come ultima pubblicazione il 1925/’33, in un’edizione, per di più, anche di difficile reperibilità per il lettore (sulla sede di Carabba era caduta una bomba durante la seconda guerra e magazzino e archivi andarono perduti), per cui poteva non essere peregrino alle soglie degli anni ’50 riproporre anche liriche già tradotte.
Nel tentativo di capire cosa potesse aver mosso Poggioli, allora, proviamo ad analizzare la traduzione di questi componimenti, soffermandoci in questa sede sulla lettura di Slyšu li golos tvoj, tradotta con il titolo Se sento la voce. Si tratta di una lirica che Lermontov aveva scritto per una destinataria concreta: insieme alle poesie Ona poet – i zvuki tajut, e Kak nebesa tvoj vzor blistaet, essa è parte di un ciclo dedicato alla soprano Praskov’ja Arsen’evna Barteneva, soprannominata affettuosamente ‘Moskovskij solovej’, per la quale il poeta, da sempre molto sensibile al bel canto, aveva provato sentimenti d’amore e di sincera ammirazione. Questa lirica non era mai stata pubblicata da Lermontov poiché ritenuta dall’autore di argomento privato, da ‘album’, per cui la prima pubblicazione arriverà solo nel 1845, dopo la sua prematura morte[xxxi]. Per molto tempo il componimento venne annoverato nella categoria alquanto generica di ‘belyj toničeskij stich’ (verso libero tonico), considerato nuovo, sperimentale per un poeta russo della prima metà dell’Ottocento, ma tipico dell’attitudine alla sperimentazione compositiva di Lermontov. È stato più volte rilevato come nella sua versificazione compaiano versi tonici di diverso tipo, anche con la precisa intenzione di ricreare determinate suggestioni riconducibili all’antica tradizione popolare orale russa[xxxii]. Nel 1845, anno della prima pubblicazione di Slyšu li golos tvoj, la poesia venne indicata dai curatori con il titolo «componimento incompiuto», il che, come ritenne poi lo studioso M. Gasparov «suonava come una sorta di excusatio»[xxxiii] da parte degli editori, forse perché i contemporanei non riuscivano in quel momento a raccapezzarsi troppo delle scelte metriche dell’autore. Nel 1941, lo studioso sovietico S. Šuvalov pubblicava l’analisi metrica della lirica[xxxiv], alla quale riconosceva una peculiarità sperimentale: per Šuvalov, infatti, il ‘verso libero tonico’, appariva qui come composto da due piedi ternari (aveva dunque una sottostruttura interna fissa), in cui poteva variare la posizione dell’accento: nella prima strofa, ad esempio, si trovano versi riconducibili alla successione di due piedi dattilici (dvuchstopnyj daktil’), più in là si troveranno bimetri anfibrachici[xxxv]. Ecco la prima strofa secondo la lettura di Šuvalov:
 
Слы́шу ли| го́лос твой
Зво́нкий и| ла́сковый,
Как пти́чка| в кле́тке
Се́рдце за|пры́гает[xxxvi].
 
Ad eccezione del terzo, che è costruito come la combinazione di un anfibraco e di un trocheo, ogni verso di questa strofa è composto da due dattili. Che Lermontov abbia voluto scientemente giocare con queste combinazioni metriche, complicando la struttura, è dimostrato dallo studio delle varianti, dal quale si evince (come fece anche lo Šuvalov), che il terzo verso rispettava inizialmente la struttura dei primi due (bimetro dattilico):
 
Сѐрдце как | птѝчка[xxxvii]
 
Per essere poi modificato come si è detto nella versione finale: как пти́чка| в кл
 
Vediamo ora come Poggioli ha proceduto con la traduzione, anche alla luce della sua raffinata esperienza di traduttore metrico e «visibilissimo»[xxxviii]:
 
Se sento la voce
tua tenera e forte
(o rondine in gabbia),
il cuore sussulta[xxxix].
 
Egli sceglie qui di rispettare il numero di sillabe del testo di partenza - del resto, Poggioli parte dalla considerazione che Lermontov avesse utilizzato un verso tonico - ma opta per un senario con il tradizionale accento forte in quinta posizione e in seconda (con anacrusi); al contempo, ‘scompone’ anche lui il verso in due piedi, sempre ternari; solo, però, nella traduzione, si tratta di anfibrachi e non di dattili.
Al terzo verso della prima strofa, come vediamo, Poggioli mantiene questa struttura, dando continuità al ritmo, mentre Lermontov, ricordiamo, l’aveva stravolta, cambiando bruscamente il metro. Possiamo ipotizzare che, però, essendo a conoscenza delle varianti della lirica, Poggioli (come già ricordato aveva l’edizione Academia del ’35) abbia voluto qui intervenire per sottolineare un cambiamento, o uno stacco nel verso, non tanto a livello metrico, quanto visivo e semantico, aggiungendo le parentesi che nel testo di partenza non ci sono e che in qualche modo attirano l’attenzione sul verso:
 
(o rondine in gabbia)
 
Più avanti nell’ultima strofa della poesia, Lermontov, non pago, continuava a cambiare le carte in tavola, alternando metri ternari:
 
И как-то | весело
И хочет | ся плакать
И так на | шею бы
Тебе я | кинулся.
 
Ad eccezione del secondo verso di questa terza strofa, infatti, in cui vi sono due anfibrachi (di nuovo Lermontov, all’interno della strofa, cambia metro), i versi seguono la struttura anfibraco + dattilo. Nella traduzione Poggioli continua invece con la struttura anfibrachica, che nella sua versione è dominante rispetto alle variazioni lermontoviane. Vediamo dunque la traduzione della terza e ultima strofa:
 
Che gioia, che voglia
di lacrime dolci!
Potessi al tuo collo
slanciarmi di volo.
 
La preferenza per il mantenimento dell’accento in quinta posizione nel senario comporta per Poggioli una propensione per le clausole piane, tralasciando le chiuse dattiliche del testo di partenza. Notiamo en passant che nella sua vecchia traduzione del ’25 G. Gandolfi, invece, preferiva queste ultime: vi troviamo «morbida» in luogo di «forte», «sàltami» (in cor sàltami), «ceruli» invece di «azzurri»[xl]; le clausole di Poggioli in ogni caso sono sempre femminili e in vocale (spesso ‘o’, ‘a’, ‘e’), molto aderenti dunque a quelle che troviamo nel testo di Lermontov, e alla sua sonorità. Dal punto di vista semantico e lessicale, notiamo poi che Poggioli procede con attenzione, cercando, dove possibile, compromessi validi per integrare lemmi e sintagmi a conciliare metro, significati, suoni. Ad esempio, nella resa del primo verso la traduzione è molto attenta alla restituzione delle caratteristiche proprie della voce della destinataria della lirica, la soprano Barteneva: in particolare la parola «forte» può ben tradurre l’aggettivo russo «zvonkij», riferito alla sua voce argentina, al contempo misurata e decisa. Nel terzo verso, come accennato, Poggioli introduce le parentesi. Inoltre, con una fortunata strategia di concretizzazione, trasforma il sostantivo «птица» (uccello, volatile) in «rondine»; così facendo riprende, tra l’altro, il tono colloquiale dell’unità fraseologica как птица в клетке, legata all’uso lermontoviano di detti e proverbi della tradizione popolare russa[xli], con equivalente funzionale «rondine in gabbia», dalle sfumature semantiche altrettanto familiari.
In questo senso anche la frase из груди / душа просится, si fonda su un sintagma spesso ricorrente nella lingua russa, ed è ben resa da Poggioli con vuol l’anima in seno / incontro venirti.
Il sentimento piuttosto confuso, indefinito, appena accennato di gioia commossa, profonda (l’utilizzo della particella modale – di difficilissima resa per i traduttori – kak-to nei versi И как-то весело / И хочется плакать) è restituito da Poggioli con una esclamazione piuttosto affermativa «che gioia, che voglia / di lacrime dolci!», in cui si aggiunge anche il punto esclamativo, che dona al distico tonalità tutte positive (l’attributo «dolci» è stato inserito dal traduttore[xlii]) e forse meno indefinite. Il registro generale, come già notato più volte ormai nello studio della poetica di Poggioli traduttore, è orientato ad un italiano non necessariamente aulico, ma, anzi, all’utilizzo di una lingua moderna, di uso quasi quotidiano. È produttivo qui di nuovo il confronto con Gandolfi: «sento la voce» invece dell’«òdo» del 1925, ma anche «rondine in gabbia» vs «augello»), ma certo Gandolfi era nato nel 1868, ed era ancora molto legato alla tradizione pascoliana e dannunziana; Poggioli invece, opta per una scelta orientata piuttosto alla lingua corrente, con l’utilizzo di un lessico di chiara immediatezza, che già Montale doveva lodare quando scriveva che: «Il suo linguaggio è quello di un moderno che conosce a fondo la recente poesia italiana e ne sfrutta le esperienze. Non è più dunque un Puškin alfierante o un Blok nello stile dannunzianeggiante della ‘Sagra di Santa Gorizia’, ma un tessuto verbale che riesce veramente ad avviluppare e a far nostre pagine di poesia»[xliii].
Possiamo in conclusione notare che proprio le sperimentazioni metriche di questa lirica, così poco comprensibili ai contemporanei di Lermontov, dovevano spingere i poeti delle avanguardie novecentesche a riscoprirlo come grande innovatore del verso, e a lavorare in quella direzione nella ripresa di quei versi ‘liberi’, ‘eterometrici’, ‘misti’, di cui Slyšu li golos tvoj è esempio. Le sperimentazioni formali e l’aura quasi pre-blokiana di questo componimento (nell’intuizione di una melodia sotterranea, con interconnessioni tra metro, musicalità del verso e vaghezza lessicale) rimandano al concetto di ‘poesia pura’ a cui faceva riferimento Poggioli. Proprio tali aspetti potrebbero aver dunque spinto il Nostro a scegliere, fra le molte poesie di Lermontov, proprio questi versi per l’inserimento nella raccolta del Fiore, a testimoniare il ruolo del poeta come vero antecedente (metrico, ritmico, melodico) della poesia russa del primo Novecento.
 
 
 
NOTE


[i] R. Poggioli, Il fiore del verso russo. Poeti russi del Novecento, Torino, Einaudi 1949.

[ii] R. Poggioli, The Poets of Russia: 1890-1930, Cambridge, Harvard University Press 1960. Citeremo dall’edizione italiana: I lirici russi: 1890-1930, Milano, Lerici editori 19

[iii] R. Poggioli, Il fiore del verso russo, cit.

[iv] R. Poggioli, The Poets of Russia: 1890-1930 [I lirici russi: 1890-1930], cit.

[v] Nel 1919 Pasquale Gastaldi-Millelire pubblica la raccolta Lermontov. Liriche scelte (Milano, Ed. Risorgimento 1919. 74 liriche, molte giovanili); nel 1925 esce nell’antologia di G. Gandolfi Lirici russi del secolo aureo (Lanciano, Carabba 1925) una selezione di 34 poesie successive al 1837. Cfr. R.M. Gorochova, Perevody Lermontova za rubežom. in Lermontovskaja Ènciklopedija, a cura di V.A. Manujlov, M., Sovetskaja ènciklopedija 1981, p. 396.

[vi] «Ripenserò alla sua giusta osservazione sulla, forse dubbia, opportunità di mantenere l’appendice ottocentesca. Confesso però che avrei delle ragioni sentimentali per mantenerla» Lettera di Poggioli a Pavese del 30.04.1948. Citiamo da L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni Trenta agli anni Sessanta, Torino, Bollati Boringhieri 1999, p. 564.

[vii] V. Belinskij in una sua recensione del 1840: «яркая звезда таланта Лермонтова блистает почти на пустынном небосклоне, без соперников по величине и блеску» Si cita da V.G. Belinskij M.Ju. Lermontov. Stat’i i recenzii – L. Ogiz, 1941 p. 191.

[viii] L’autrice ringrazia Bianca Sulpasso, che al momento sta lavorando su materiali dell’archivio di Poggioli, per questo dato preliminare.

[ix] R. Poggioli, Il Fiore del verso russo, cit., p. 16.

[x] B. Èjchenbaum, Lermontov. Opyt istoriko-literaturnoj ocenki. L. Gos. Izd. 1924.

[xi] M.Ju. Lermontov, Polnoe sobranie sočinenij: v 5 tomach. M.- L., Academia 1935.

[xii] I volumi pervennero alla Harvard University Library dal 1936 sino al 1938. L’autrice ringrazia Steve Kueheler, Research Librarian dell’Università di Harvard, per queste informazioni.

[xiii] Evel Gasparini per il suo libro su Lermontov scriveva: «Il testo seguito è quello di A.I. Vvedenskij per l’editore A.F. Marks, (Mosca 1891) […] L’edizione ‘Academia’ delle opere di Lermontov ci è rimasta, per il momento, inaccessibile». V. E. Gasparini, La meteora di Lermontov. Arte, gente e costumi dell’Ottocento russo, Venezia, Montuoro Editore 1947, p. 2.

[xiv] Per una panoramica recente sull’editoria russa dell’Ottocento in relazione alla L. si vedano i lavori di A. Bodrova, in particolare: K istorii posmertnych izdanij Lermontova: slovesnost’, kommercija i institut avtorskogo prava v načale 40ych godov, «Russkaja literatura» N. 3 (2014) pp. 41-65.

[xv] «Il byronismo di L. non fu che il sintomo d’un lirismo esasperato, d’un lirismo incapace di farsi liricità», R. Poggioli, Il fiore del verso russo, cit., p. 16.

[xvi] Ibidem.

[xvii] B. Èjchenbaum Lermontov. Opyt istoriko-literaturnoj ocenki. L. Gos. Izd. 1924, p. 7. La traduzione fornita è mia, A.C.

[xviii] L. Pumpjanskij, Stichovaja reč’ Lermontova in Lit. Nasledstvo, kn. 1 M. Izd. AN SSSR, 1941 pp. 389-424.

[xix] Mirskij viene più volte citato da Poggioli, ad esempio scrive a Pavese: «se vuole può leggere gli interessanti capitoli dedicati a Rozanov da Mirsky e Pozner, nei loro panorami della letteratura russa contemporanea» (4 novembre 1948, citiamo da C. Pavese, R. Poggioli A meeting of minds. Carteggio 1947-1950 Alessandria, Edizioni dell’Orso 2010 a cura di S. Savioli, pp. 68-9); inoltre su «Inventario» – in Due saggi sul realismo russo, Poggioli definiva la Storia della letteratura russa di Mirskij «una delle migliori in ogni lingua» («Inventario» N.1 [1952] p. 28).

[xx] D. S. Mirskij, A History of Russian Literature from the Earliest Times to the Death of Dostoevsky, New York, A. Knopf 1926- 27, pp. 176-77.

[xxi] Ivi, p. 177.

[xxii] E. Lo Gatto Storia della letteratura russa, Firenze, Sansoni 1942, pp.193-94.

[xxiii] R. Poggioli Il Fiore del verso russo, cit., p. 16.

[xxiv] Si tratta della poesia Angel (‘L’angelo’), 1831.

[xxv] R. Poggioli, Il fiore del verso russo, cit., p. 17.

[xxvi] R. Poggioli La letteratura pura: Pasternak. in «Nuova antologia», A 68 (1933), fascicolo 1463. Si veda anche Sulpasso Il Pasternak di Renato Poggioli in In limine. Frontiere e integrazioni, a cura di D. Poli, Roma, 2019 pp. 643-650.

[xxvii] R. Poggioli I lirici russi: 1890-1930, Milano, Lerici editori 1964, p. 46.

[xxviii] V. Belinskij, cit., p. 168. Si veda anche nota n. 7 in questo saggio.

[xxix] R. Poggioli, I lirici russi: 1890-1930, cit., p. 47.

[xxx] In Lirici Russi dell’Ottocento, a cura di G. Carpi e S. Garzonio, Roma, Carocci 2011, pp. 123-128.

[xxxi] In «Včera i segodnja» I (1945) p. 92. I curatori avevano dato alla poesia il titolo di «Componimento incompleto».

[xxxii] Fra gli altri v. M. Štokmar Narodno-poètičeskie tradicii v tvorčestve Lermontova in Lit. Nasledstvo, tt. 43-44, M. Izd. stvo Akademii Nauk SSSR 1941; M.L. Gasparov, Očerk istorii russkogo sticha. M., Nauka 1984; V. Vacuro Stil’ pesni pro kupca Kalašnikova… in O Lermontove M. Novoe izdatel’stvo 2008, pp. 627-661.

[xxxiii] M.L. Gasparov, Očerk istorii russkogo sticha. M., Nauka, 1984, p. 130.

[xxxiv] S.V. Šuvalov Masterstvo Lermontova in Žizn’ i tvorčestvo M.Ju. Lermontova: issledovanija i materialy: sbornik pervyj. M. – OGIZ, 1941, pp. 251-309, p. 276. Si v. anche M.A. Pejsachovič Strofika Lermontova in Tvorčestvo M.Ju. Lermontova. 150 let so dnja roždenija (1814 – 1964), M., Nauka 1964, pp. 417-491.

[xxxv] Si tratta comunque di una struttura metrica che si presta a interpretazioni (la poesia è una delle liriche a metri misti [«smešannye», per Gasparov]); ad esempio, lo studioso V.A. Plungjan (V.A. Plungjan Neklassičeskij stich Lermontova. Nekotorye detali…. In «Učenye zap. Petrozavodskogo gos. Universiteta. Obščestvennye i gumanitarnye nauki» N.7(144) (2014) pp. 40-51, ne ripropone un’analisi con qualche variante rispetto sia a Šuvalov, sia a Gasparov (cfr. Gasparov, cit. 1984/2002, pp. 128-131 – quest’ultimo riteneva invece che la struttura fosse quella del dol’nik). Scrive Plungjan (p. 48): «произведение представляет собой неупорядоченное сочетание двустопныx строк правильного амфибрахия, дактиля и ямба с нерифмованной женской и дактилич клаузулой».

[xxxvi] Citiamo, come Šuvalov, da M. Lermontov, Sobranie sočinenij, 1935, cit., t. II. Stichotvorenija 1836-1841, p. 31.

[xxxvii] M.Ju. Lermontov, ivi: Varianty i kommentarii, t. II, pp. 190-91.

[xxxviii] Secondo la definizione di Alessandro Niero ne Il fiore del verso russo di Renato Poggioli, visibilissimo traduttore in Tradurre poesia russa, Macerata, Quodlibet 2019. Su Poggioli traduttore di poesia russa, e in particolare sulla sua pratica di traduttore metrico dei versi si vedano inoltre gli studi di G. Ghini Tradurre il ritmo del poeta. Puškin nelle ‘versioni ritmiche’ di Poggioli, in «Studi slavistici» 2 (2005) pp. 81-96; G. Ghini The Metric Equivalent in Poggioli’s ‘Rhythmic Versions’ from Pushkin, Tjutchev, Pasternak, and Akhmatova, in R. Ludovico, L. Pertile, M. Riva (eds.) Renato Poggioli. An intellectual Biography, Firenze, Olschki 2012, pp. 89-101, S. Garzonio [S. Gardzonio], Ippolito N’evo – perevodčik Lermontova. Problema metričeskogo ekvivalenta, «Russkij stich. Metrika. Ritmika. Rifma. Strofika» M. (1996), pp. 93-98; S. Garzonio La poesia russa nelle traduzioni italiane del 900. Alcune considerazioni, «Toronto Slavic Quarterly» 17 (2006).

[xxxix] R. Poggioli, Il fiore del verso russo, op. cit., p. 580.

[xl] G. Gandolfi, Lirici Russi del secolo aureo, Lanciano, Carabba 1925 (ripubblicati nel 1933), p. 164. Su Gandolfi traduttore di Lermontov si veda anche A. Carbone (A. Karbone) Rannie perevody Lermontova na ital’janskij jazyk: Dž. Gandol’fi i ego perevod “Pesnja pro carja Ivana…” in Mir Lermontova. Kollektivnaja monografija, SPB., Skriptorium 2015, pp. 849-859.

[xli] Cfr. V.S. Šaduri alla voce “Slyšu li golos tvoj” in cit. Lermontovskaja Ènciklopedija, ed. AN SSSR. Institut Rus. Lit.

(Puškinskij Dom), M. 1981, p. 706.

[xlii] Sappiamo che Poggioli sa essere molto creativo, come in Danza macabra II di A. Blok, v. anche: C. Testa Aleksandr Blok Translated into Italian: in the Beginning Was Poggioli’s Word in R. Ludovico, L. Pertile, M. Riva eds. Renato Poggioli. An intellectual biography, Firenze, Olschki 2012, pp. 117-19.

[xliii] Recensione di E. Montale al Fiore del verso russo in «Corriere d’Informazione» del 23-24 novembre 1949. In S. Savioli (a cura di), A meeting of minds. Carteggio 1947-1950, cit., p. 136.


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