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Sylvia Poggioli e I Pianeti della Fortuna

a cura di Carla Francellini e Rachele Puddu
 
1) Cara Sylvia, tra le cose speciali che ha condiviso con noi nel suo soggiorno a Siena durante la Giornata di Studi su Renato Poggioli, ricordo che ci parlò anche di un singolare volumetto di suo padre dal titolo I Pianeti della Fortuna. Possiamo tornare su questo ricordo e su questo libro un po’ speciale per lei?
 
Era una specie di work in progress che mio padre compilava durante la mia infanzia e adolescenza, un libro nato «per l’istruzione domestica della [sua] figliola» – come si legge nell’introduzione – «nata all’estero ed educata in scuole straniere»[i]. Mio padre era capace di lavorare su diversi libri, traduzioni e saggi nello stesso tempo. Il volume comprende qualche poesia italiana ma soprattutto le sue traduzioni di molte liriche del Novecento. Ricordo come spesso, sin da piccola piccola, mio padre mi prendeva da una parte e mi leggeva – sempre da un foglio dattiloscritto – una poesia. A volte breve, a volte più lunga. E voleva conoscere le mie impressioni. Quando ero ormai una teenager, decise di raccoglierle tutte queste poesie – sono circa 140 – e di farne un volume indirizzato proprio ai giovani italiani. Doveva essere il suo regalo di compleanno per i miei 17 anni, come si legge nella dedica: «A Sylvia per il suo compleanno»[ii]. Il volume riporta la data del 19 maggio 1963, ma, in effetti, fu pubblicato qualche anno dopo. Lui era già morto, il 3 maggio, in un incidente stradale in California.
 
2) Perché questo singolare titolo che ricorda ‘i pianeti’ o ‘le pianete’ della fortuna, quelle scritture popolari su piccoli foglietti variopinti che contenevano una specie di oroscopo o di predizioni sul futuro o ancora numeri fortunati da tentare al lotto? Un tempo queste ‘pianete’ erano anche piuttosto diffuse…
 
Nell’introduzione lui ricorda le fiere di paese (immagino della sua infanzia a Firenze e dintorni) e lì si vedeva spesso «una zingara, quasi sempre anziana, con una cassetta aperta a tracolla, su cui sta[va] appollaiato un piccolo pappagallo ammaestrato, dalle piume gialle e verdi e con un bel ciuffetto»[iii]. Quando un passante dava una moneta alla zingara, il pappagallo si agitava tutto e prendeva con il becco uno bigliettino nella cassetta e poi porgeva l’oroscopo – o meglio, il ‘pianeta della fortuna’ – al cliente. Mio padre scrive poi nell’introduzione che le poesie «meritano meglio che non quei foglietti il bel nome di ‘pianeti della fortuna’ proprio perché ciascuna [...] è una stella cadente colta a volo nel cielo dell’arte; e come una stella cadente vi reca, sol che conservi una pur menoma traccia della sua grazia celeste, un presagio che non mentisce ed inganna, quello della poesia. La poesia infatti consola pur quando prenda a proprio oggetto il contrario del bene, perché la sua più alta magia è di trasformare anche la mala sorte in buona ventura»[iv].
 
3) Nel sottotitolo – «Primo libro di poesie. Antologia di liriche moderne scelte e tradotte e commentate per la gioventù» – suo padre si rivolge proprio ai giovani. Possiamo ragionare sul messaggio contenuto, secondo lei, nei testi tradotti?
 
Il libro è senz’altro indirizzato ai giovani, ma anche agli adulti, come recita la dedica: «Ai lettori, piccoli e grandi». Scrive poi mio padre: «Resta pur vero che si perde la capacità di godere le creazioni della fantasia se lo spirito adulto non conserv[a] dentro di sé almeno una traccia del gusto infantile del giuoco, e perfino del capriccio». In quanto ai testi, sono estremamente vari e divisi in diverse sezioni. Nella prima parte, dedicata all’infanzia, troviamo, ad esempio, Quadretti, Vignette, Scenette, Favolette e poi ancora, La casa, I Giochi, La scuola e diversi Paesaggi (d’inverno, d’altre stagioni e persino lunari). Le poesie in questa sezione sono di Brecht, Palazzeschi, Ungaretti, e poi di Yeats, Montale, Prévert, Rilke, Achmatova, Wallace Stevens, García Lorca e molti altri. La seconda parte – Per La Fanciullezza – contiene storie di Spettacoli e feste, Viaggi e Avventure nonché storie del Regno Vegetale e Animale e poi Sogni e visioni, Idilli e presagi e poi Ricchi e poveri (o bianchi e neri), Scherzi, capricci e fantasie e altro ancora. Ci sono poesie di Montale, Rimbaud, Esenin, Robert Frost, Saba, Neruda, Stevens e Blok. Nella terza parte, Per l’Adolescenza, troviamo poi una sezione dedicata a La favola dell’amore – con poesie di García Lorca, Apollinaire, Mereles e Puškin – e poi altre intitolate significativamente Lettere, Uomini ed altri esseri, Elegie, Voci del male e del nulla e poi ancora Caos e finimondo, I vicini astrali, Patria e popolo, Vecchi e giovani e così via. Qui si spazia da Auden a Machado a Lambros Porphyras a Pedro Salinas, Eluard, Louis Aragon, Jean Cocteau, fino a Octavio Paz. L’ultima parte, la quarta, Per La Gioventù, comprende ‘Quattro letture esemplari’, scritti più lunghi, rispettivamente di Novalis (Cantico dei morti), Paul Valery (Il cimitero marino), Esenin (Il vento dondola i grani), Wallace Stevens (Mattino domenicale).
 
4) Le poesie contenute ne I Pianeti della Fortuna sono state ‘scelte’, ‘commentate’, ma soprattutto sono state ‘tradotte’… Da quali lingue venivano tradotte? Secondo quale criterio?
 
Le rispondo citando un brano dell’introduzione: «i poeti rappresentati [...] anche quelli delle terre più remote, appartengono alle lingue ed alle culture già fiorite sul suolo del vecchio continente»[v]. E di seguito c’è un passo che mi colpisce molto e mi fa capire quanto mio padre vedesse lontano, quanto fosse già allora un uomo del nostro tempo: «Se l’autore non ha voluto o potuto allargare il proprio panorama al di là delle Americhe, o di quello che un tempo si chiamò il Nuovo Mondo, si deve alla sua ed alla nostra ignoranza di quel mondo novissimo che sta sorgendo dinanzi ai nostri occhi con la liberazione dei popoli di colore: mondo che possiede una voce poetica che ancora non comprendiamo, ma che già ci seduce. Forse sentirete un’eco di questa voce nella Ballata dei due nonni del cubano Nicolas Guillén, che fa vibrare negli accenti del verso spagnuolo gli esotici accordi del canto dei suoi avi negri [sic], e che si gloria per questo di chiamarsi poeta afro-americano»[vi].
 
5) Nel ringraziarla per il suo tempo, le chiederei di consegnarci un aneddoto di suo padre che ritiene possa definirlo come uomo e come intellettuale.
 
Domanda difficile. Vi racconto questo: quando mio padre mi metteva a letto la sera, non mi raccontava mai le solite fiabe (diciamo che le sue variazioni sul testo di Cenerentola erano, a dir poco, notevoli…). Le storie che mi piacevano di più erano le avventure di Ulisse. In particolare, ricordo Polifemo, la maga Circe, l’incanto delle Sirene, e poi Penelope che disfa la tela, e poi il mio preferito, il cane Argo, l’unico (con la mitica nutrice) a riconoscere Ulisse.
 

NOTE


[i] Renato Poggioli, «Introduzione», I pianeti della fortuna. Strenna di poesia moderna per i giovani, Firenze, Vallecchi 1971, p. 8.

[ii] Ivi, p. 13.

[iii] Ivi, p. 3.

[iv] Ivi, p. 5.

[v] Ivi, p. 7.

[vi] Ibidem.


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