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« indietro Intervista a Evgenij Solonovič, a cura di Paolo Grusovin e Marianna Sili. Prefazione di Claudia Scandura, Queen Kristianka Edizioni 2023.
Intervista a Evgenij Solonovič edito da Queen Kristianka Edizioni a cura di Paolo Grusovin e Marianna Sili, e con una prefazione di Claudia Scandura, è un piccolo libro di poco più di cento pagine, che ha il grande pregio di farci sentire nel fluire del tempo la voce autentica di Evgenij Solonovič, il più grande traduttore in russo di poesia italiana.
Leggendo le risposte alle domande di Grusovin e Sili, si ha la percezione di essere a Mosca nell’appartamento del traduttore di tre stanze «a uso letto e studio», dove ogni domenica pomeriggio tra l’autunno del 2022 e la primavera del 2023 si sono svolte le conversazioni; si sente il calore di quelle mura domestiche piene di scaffalature, in cui si perde il confine con lo spazio accogliente della cucina, dove i curatori ricordano le serate allegre trascorse con Solonovič e la moglie Lena, prima della sua morte.
Nel primo capitolo Come nasce un traduttore, Evgenij Michajlovič ricorda l’infanzia in Crimea e il trasferimento a Mosca all’inizio degli anni Cinquanta, quando inizia a studiare la lingua italiana alla Facoltà di lingue straniere; per leggere i libri della ricchissima biblioteca della sua insegnante di traduzione, si recava a casa di lei e li trascriveva, perché non amava prestarli. In seguito Solonovič continua a trascrivere alcuni testi, come quelli letti sull’Unità, tra cui le poesie di Tonino Guerra, per poi tradurle e farle conoscere ai lettori russi.
Come suoi principali modelli indica Michail Lozinskij, celebre traduttore della Divina Commedia, e il poeta leningradese Nikolaj Zabolockij, al quale Solonovič aveva fornito la traduzione interlineare (pratica assai diffusa in Unione Sovietica, in particolare per le lingue delle varie repubbliche) di due poesie di Umberto Saba – Tre vie e Paolina – per un libro di poesia italiana pubblicato in occasione della visita di alcuni poeti italiani in Unione Sovietica. Secondo Solonovič, che all’epoca muoveva i primi passi nella traduzione letteraria, Zabolockij aveva ottenuto un risultato «ideale», e il sospetto che la traduzione fornita fosse ben più che una traduzione interlineare è grande.
Il secondo capitolo – Italia da amare – ci introduce nella fitta rete di incontri tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta con alcuni tra i più importanti poeti e scrittori italiani, di cui Solonovič diverrà traduttore, pubblicandone i versi dapprima su rivista (soprattutto Inostrannaja literatura – La letteratura straniera) e poi in volume.
A favorire questi incontri e incroci è inizialmente il lavoro di interprete per le delegazioni di sindacalisti italiani che Evgenij Michajlovič svolge prima di approdare alla carriera di traduttore letterario: un linotipista del Corriere della Sera, con il quale discute di poesia, lo mette per esempio in contatto con Eugenio Montale, che invia a Solonovič una sua raccolta di poesie con dedica. E successivamente i due si incontrano a Parigi e poi a Milano, alla presenza di Giovanni Giudici, molto amico di Evgenij Michajlovič; per la pubblicazione del primo libro di Montale in Russia, si dovrà però aspettare il 1979, a consacrazione avvenuta del poeta dopo il Nobel.
Un altro sindacalista gli fa il nome di Ignazio Buttitta, gli invia in seguito il suo libro intitolato Lu pani si chiama pani con a fronte la traduzione italiana di Salvatore Quasimodo e Solonovič decide così di tradurre Buttitta nella traduzione interlinguistica di Quasimodo. L’apprezzamento della ‘traduzione filtrata’ da passaggi intermedi – siano essi riconducibili alla traduzione interlineare, o a quella interlinguistica o in una lingua diversa dalla lingua madre – viene esplicitato da Solonovič nel terzo capitolo, Tradurre è stare tra due mondi, dove afferma: «Quando traducevo Montale, sfogliavo sempre le traduzioni che ne avevano fatto in inglese, per esempio» (p. 74).
Del fatto che la traduzione letteraria in Unione Sovietica sia stata qualcosa di ancora più complesso di un dialogo tra due lingue e due culture, e che abbia avuto anche molte implicazioni politiche, si ha conferma quando Solonovič racconta del libro su Saba da lui curato e in parte tradotto: un paio di poesie vengono firmate da due prestanomi, perché i veri autori di quelle versioni – Julij Daniel’ e Iosif Brodskij – non potevano pubblicare in Unione Sovietica. Sia Daniel’, all’epoca in prigione, sia Brodskij, già in esilio, avevano tradotto Saba grazie alle traduzioni interlineari del redattore del volume Sergej Ošerov.
E ancora, Solonovič traduce Parole a una spia di Quasimodo perché «dietro questa “spia” italiana ho subito visto i nostri tipici delatori, a causa dei quali sono morti Babel’, Mandel’štam… Dunque, la scelta delle poesie da tradurre è avvenuta in base a cosa io stesso avrei detto, se l’avessi scritta a nome mio» (p. 101).
Solonovič è il traduttore che legge e seleziona che cosa tradurre a seconda del valore dell’autore e del gusto personale, e in questo senso dunque non è solo un traduttore che si è distinto per la qualità eccellente del lavoro, ma anche un vero motore dell’importazione della poesia italiana in Russia dalla fine degli anni Cinquanta fino ai nostri giorni: da Dante a Petrarca, dall’Ariosto al Tasso, all’Alfieri, fino a Saba, Montale, Ungaretti, Quasimodo, Caproni, Luzi, Sereni, Giudici e, di recente, Antonella Anedda e Vivian Lamarque, con qualche incursione nella prosa di Landolfi e Sciascia. Infine, è soprattutto il traduttore di Giuseppe Gioachino Belli: 201 sonetti tradotti nel rispetto di rima e ritmo. E tra i numerosissimi premi ricevuti in Italia e anche in Russia, Solonovič confessa che la Medaglia di Roma conferitagli l’11 maggio 2023 è stata proposta proprio dal Centro Studi Gioachino Belli.
Traduttore, promotore culturale, insegnante di traduzione presso l’Istituto Letterario Gor’kij – «non si può insegnare a tradurre, ma si può aiutare a imparare a tradurre» (p. 70), spiega con eleganza in un passaggio in cui elenca i nomi di alcune allieve, oggi traduttrici affermate, come Katja Stepancova (a lei si deve la versione russa di L’amica geniale di Elena Ferrante) –, Solonovič è anche poeta, come ci racconta nell’ultimo capitolo intitolato La missione del poeta. Non ci sono dunque dubbi sulla grandezza dell’eredità – in tanta parte ancora da indagare – della produzione d’autore e di traduttore di Evgenij Michajlovič, del quale Scandura sottolinea anche doti umane che chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo può solo condividere: «integrità morale, sincerità, arguzia» (p. 11). Questo libro, ricco di ricordi, di incroci, di aneddoti divertenti e anche di curiosità sull’industria della traduzione letteraria nel contesto sovietico e post sovietico, ci parla chiaramente dell’urgenza di studiare criticamente e in modo sistematico l’opera di Solonovič traduttore e poeta in un ampio contesto storico e culturale, tra Russia e Italia.
(Giulia Marcucci)
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