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Poeti d’Ucraina, a cura di Alessandro Achilli e Yaryna Grusha Possamai, Milano, Mondadori 2022, 250 p.
 
Poeti d’Ucraina è una raccolta bilingue di poesie selezionate e tradotte in italiano da Alessandro Achilli e Yaryna Grusha Possamani. La collezione è suddivisa in sei sezioni in base al periodo storico di riferimento: dagli anni ‘60 del XX  secolo fino al maggio 2022. Ogni capitolo è preceduto da una breve prefazione, che introduce alle circostanze storiche dello sviluppo della poesia in Ucraina in quel particolare periodo; dall’indicazione dei gruppi di poeti formatisi, fino alla descrizione delle caratteristiche dell’opera di alcuni specifici poeti.
Il primo capitolo è interamente dedicato a Vasyl Stus, poiché, come scrivono gli autori nella prefazione, è proprio lui a loro avviso “l’iniziatore della rinascita della poesia ucraina dopo i decenni oscuri dello stalinismo”. La prefazione al primo capitolo descrive il percorso di vita e il successo letterario di Stus: qui si presta attenzione ad alcune idee che circolavano durante la Perestrojka e nel periodo successivo, quando le poesie di Stus tornarono ai lettori e divennero popolari tra gli ucraini. In particolare, sottolineano i curatori, la poesia di Stus per molti è diventata l’incarnazione dell’idea di “una cultura ucraina come parte integrante della cultura europea”. Nel rispetto della libertà dell’espressione creativa, la poesia ucraina ha il dovere di conservare la propria autonomia e uno spazio personale di crescita e di dialogo.
È significativo che la raccolta si apra con la poesia di Stus Cento specchi – una sorta di confessione sulla ricerca di se stessi, il riconoscimento della propria incapacità di decidere se si è ancora vivi o già morti. “Forse sia vivo che morto?” – si chiede il poeta, ammettendo di essere morto già cento volte e di essere nato cento volte, e confessa che i suoi occhi non possono più piangere, sebbene la sua anima sia “tutta in lacrime”. Perdita di identità e vitalità, mancanza di fiducia in se stessi e nella propria esistenza: quanto è simbolico per gli ucraini moderni! Questo è esattamente il momento che spesso cerchiamo di nascondere, tacere, non permettiamo a noi stessi e al nemico di parlarne ad alta voce, ma Stus parla sempre ad alta voce delle vicende più segrete e dolorose; non sarebbe un Poeta, altrimenti, e non aprirebbe una raccolta di poesie, destinata alla lettura da parte di stranieri. Quindi, citiamo questa breve e toccante poesia nella sua interezza:
 
***
 
Сто дзеркал спрямовано на мене,
в самоту мою і німоту.
Справді – тут? Ти справді – тут?
Напевне,
ти таки не тут. Таки не тут.
Де ж ти є? А де ж ти є? А де ж ти?
Урвище? Залом? А чи зиґзаґ?
Ось він, довгожданий дощ. Як з
решета.
Заливає душу, всю в сльозах.
Сто твоїх конань. Твоїх народжень.
Страх як тяжко висохлим очам.
 Хто єси? Живий чи мрець? Чи може,
і живий, і мрець? І сам на сам?
 
***
 
Cento specchi proiettati su di me,
sulla mia solitudine e mutezza.
Veramente – qui? Sei veramente – qui?
Forse,
non è qui che sei. Non qui.
Dov’è che sei? Ma dov’è che sei? Ma dove?
Un precipizio? Un tornante? O uno zigzag?
Eccola, la pioggia tanto attesa. A catinelle.
Bagna l’anima, l’anima in lacrime.
Cento tue morti. Cento tue nascite.
È terribile per gli occhi secchi.
Chi sei? Un vivo o un morto? O, forse sia vivo che morto? E tutto solo?
 
Gli autori traducono “сам на сам” con “tutto solo”. Ho pensato a lungo a questa scelta, mi sono consultata con colleghi filologi, sia ucraini che italiani, e sono giunta alla conclusione che è impossibile trasmettere con precisione questo “сам на сам” (“uno contro uno”) ucraino, quel sentirsi abbandonati durante le tante lotte, appunto “uno contro uno”: con un nemico, con un desiderio, con un problema e, infine, con se stessi. Così a volte le riflessioni sulla traduzione ci spingono a sentire più profondamente la nostra lingua e i contenuti nascosti della poesia. Ma “tutto solo” non è una traduzione letterale, secondo noi, è come un tentativo della coscienza italiana di penetrare nelle realtà ucraine, perché la traduzione della poesia è sempre solo un tentativo, solo apertura al mondo straniero e disponibilità ad accoglierlo. Speriamo davvero che nella terribile guerra di oggi non siamo lasciati «сам на сам» con il nemico, perché vediamo negli europei questo desiderio di comprendere e accettare l’Ucraina con il suo dolore e la sua sete di libertà e indipendenza.
La seconda sezione della raccolta è dedicata alla poesia degli anni Ottanta. In generale, la parte del libro dedicata agli anni ‘60 e ‘80 è piccola rispetto all’enorme corpus di poesie che questi anni ci hanno regalato, e gli autori nella prefazione indicano che “ci sono, naturalmente, molte poesie – e autori – che avremmo voluto inserire, ma dovevamo lasciare, ma siamo sicuri che questa antologia sarà di impulso per tante altre pubblicazioni sulla letteratura ucraina, che permetteranno di recuperare alcuni materiali che non abbiamo potuto inserire tra queste pagine”. Inoltre, secondo i curatori, la raccolta introduce spesso i lettori alle poesie di poeti poco conosciuti, “che, infatti, hanno bisogno di essere riscoperti anche nella stessa Ucraina”. Gli autori definiscono gli anni ‘80 come un periodo di stagnazione e la poesia di quegli anni, sofisticata e profonda, come una ribellione estetica, una lotta di parole. I tre autori principali di questa sezione sono Mykola Vorobyov, Vasyl Holoborodbko e Mykhailo Hryhoriv. “Abbiamo deciso di combinare testi che conducono un dialogo intertestuale tra loro”, scrivono gli autori nella prefazione. E la verità è che i versi tragici di M. Grigoriv suonano come un’eco della poesia di Stus:
 
Повнили безголосу порожнечу
Переконуючи
Себе
Кожного разу
Спочатку
Ніби ми справді реальні…
 
***
 
Noi
riempivamo
il vuoto senza voce
convincendo
noi stessi
ogni volta
di nuovo
come se fossimo proprio reali...
 
Un filologo italiano una volta mi ha detto che siamo sempre malinconici: è un nostro tratto distintivo, visibile anche nei nostri volti. Forse, ho pensato, perché abbiamo sempre un vuoto dentro di noi – una sorta di eredità dei tempi sovietici – e siamo costantemente costretti a ricordarci che siamo reali, che siamo vivi, che non siamo «сам на сам»...
La terza sezione della raccolta, “Grandi cambiamenti”, si riferisce al periodo a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. A nostro avviso, la prefazione a questo capitolo è la più profonda e interessante: propone il punto di vista dell’Occidente sull’uscita degli ucraini dal campo d’influenza sovietico. Gli autori definiscono il periodo della ricostruzione una “gloriosa marcia verso un nuovo futuro”, interrotta dal disastro di Chernobyl. L’opinione degli autori è interessante: i poeti di questa generazione, per così dire, imitano gli anni Sessanta e Ottanta e sono essenzialmente una generazione cresciuta nelle biblioteche dei genitori, i quali, a differenza delle generazioni precedenti, conoscono la letteratura straniera e amano la musica classica. L’istruzione universitaria ha permesso a questi poeti di diventare ciò che sono diventati, di liberarsi dalle vecchie norme sociali che incatenavano la vita culturale nel periodo della stagnazione. Questa immersione nell’educazione e nei modelli artistici classici ha fatto nascere un forte desiderio di indipendenza e fiducia in se stessi e in una nuova letteratura. La sezione contiene poesie di Hrytska Chubai, Natalka Bilotserkovets, Oksana Zabuzhko, Ihor Rymaruk, Oleg Lyshega, Attila Mogilny, Yuriy Andruhovych. Per i curatori della raccolta, sono importanti le poesie in cui emerge la visione che i poeti ucraini hanno dell’Europa occidentale: nuova, per l’ex popolo sovietico, ma che i poeti stanno ovviamente cercando di comprendere e padroneggiare il più rapidamente possibile, come farebbero per una lingua straniera. Nella prefazione sono indicati i tentativi di questi poeti di introdurre toponimi stranieri nel linguaggio poetico, di toccare il tema dell’emigrazione e dei problemi degli emigranti. Così, Yurii Andruhovych ritrae gli emigranti ucraini attraverso gli occhi degli italiani:
 
***
 
Це така пара заробітчан,
думали італійці. Їх легко розпізнаєш:
спершу вони мовчки дивляться у вікно,
а коли стемніє, вдають, ніби засинають.
Життя на простроченій візі –
це таке досить нервове шамотіння,
тому, так і не знайшовши роботи в Римі,
вони потягнуться далі на південь,
де не конче винаймати дах над головою,
тож можна заощадити круглу суму,
 зимуючи в самшитових заростях на узбіччях
вокзалів…
 
***
 
Una coppia di immigrati,
pensavano gli italiani. Li vedi subito:
se ne stan zitti a guardar fuori,
ma quando è buio fan finta di dormire.
Quando non hai il permesso di soggiorno
ti aggiri nervoso da un posto all’altro,
quindi, non avendo un lavoro a Roma,
se ne vanno ancora più a sud,
dove un tetto sopra la testa non serve nemmeno,
così puoi risparmiare un bel po’ di quattrini,
passando l’inverno in mezzo agli arbusti
ai margini delle stazioni...
 
Allo stesso tempo, i temi dell’esperienza del proprio passato, del ritrovarsi in esso, sono parte importante di queste poesie; la giovinezza di questa generazione è stata spesa nella ricerca più pura della verità. Questi tempi vengono ricordati con orgoglio e allo stesso tempo con tristezza, non solo perché è passata la giovinezza, ma anche perché insieme a questi anni qualcosa è balenato nella nostra vita sociale, una speranza per un futuro veramente onesto, per la nostra capacità di costruire un nuovo paese, uno Stato di diritto, forte, democratico e sicuro. Nella poesia di Attila Mohylny, questa tristezza è solo un presentimento, ma quando leggiamo questa poesia ora, rabbrividiamo involontariamente per la sua penetrante purezza e l’altezza delle speranze di libertà e felicità descritte in essa.
 
***
 
Квартали,
які я вже, мабуть, не забуду.
 
І ці двори,
що пам’ятають, як дзвеніли наші
гітари
і як ми ішли звідси
поодинці,
покладаючись лише на щастя
та на скупу правду
наших вулиць.
 
І час від часу
кожен з нас вертався,
щоб міцно-міцно
притискатися плечима
до твердих стін
цих п’ятиповерхових будинків.
 
І, може,
найбільша чесність
київського передмістя
в тому,
що нас ніколи не питали –
куди ми йдемо.
 
***
 
Quartieri
che mai dimenticherò.
 
Cortili
memori delle nostre chitarre
e del nostro camminare
solitari,
credendo solo alla felicità
e alla verità magra
delle nostre vie.
 
Di tanto in tanto
ognuno di noi tornava
ad appoggiarsi
stretto stretto
a quelle solide pareti
delle case di Chruščëv.
 
E forse,
la sincerità più grande
della periferia kyjiviana
è che
non ci hanno mai chiesto
dove stavamo andando.
 
La quarta parte della raccolta è la poesia della giovane Ucraina indipendente, è chiamata dai curatori poesia di tre caffè: Kyiv, Lviv e Kharkiv, rispettivamente, si tratta dei caffè dove si riuniscono i circoli letterari: “Cupidon”, “Dzhiga” e “Lit-Muzey”. Questo periodo è valutato, prima di tutto, come la realizzazione del sogno di molte generazioni di ucraini, il sogno di uno stato indipendente; la poesia di questo periodo è una riflessione costante sul tema dell’autoidentificazione. Allo stesso tempo, notano i curatori, questo è il momento di cercare nuove forme poetiche, poiché i poeti della giovane Ucraina sono innovatori e trasgressivi. Tuttavia, per loro, la poesia degli anni Ottanta rappresenta ovviamente un certo canone: “un canone di sfida, un canone di salmo con cui si gioca”. Serhii Zhadan è definito il poeta più importante di questo periodo; si menziona la formazione del gruppo “Chervona Fira” e l’apparizione del linguaggio quotidiano, gerghi e neologismi. La prefazione a questo capitolo introduce i lettori agli eventi del “primo Majdan” e fornisce, guardando al futuro, brevi informazioni su tutti gli episodi di “maidan” a Kiev. In queste poesie si avverte “La consapevolezza della propria forza, l’energia necessaria per il cambiamento” scrivono i traduttori, sebbene nessuno in questa poesia descriva ancora direttamente eventi politici. “I primi anni del 2000 sono fondamentali perché hanno gettato le basi per quello che la poesia sarebbe diventata dopo il 2014”.
Questa parte dell’antologia contiene, oltre alle poesie di Zhadano, poesie di Anatoly Dnistrovoy, Marianna Kiyanovska, Halyna Kruk, Ostap Slyvinsky, Oleg Kotsarev, Kateryna Babkina, Olesya Mamchich, Lyuba Yakymchuk. In particolare, l’ultima poesia è dedicata a riflessioni sulla lingua ucraina, ma non più come lingua di stato, bensì come lingua dell’amore, ancora così sconosciuta al resto del mondo, ma così gentile da usarla per parlare su una persona cara:
 
…Я хочу перекласти тебе всього українською
Записати на кілька аркушів
І читати кожному зустрічному
Кожному випадковому
Але чи вдасться?...
 
... voglio tradurti tutto in ucraino
trascriverti in un manoscritto
e leggerti a ogni passante
al primo che incontro
ma ce la farò?...
 
I pensieri sui nostri problemi linguistici risplendono un po’ attraverso i discorsi d’amore:
 
…Українську літературну знаю недосконало
Принаймні студіювала в університетах…
 
... l’ucraino dei libri lo so solo un po’
ma l’ho studiato alle università...
 
Il quinto e il sesto capitolo occupano metà dell’antologia: hanno assorbito poesie sugli eventi terribili della nostra storia. La prefazione al quinto capitolo racconta brevemente gli eventi del 2014, senza escursioni politiche e spiegazioni su cosa è successo e perché. Maggiore attenzione è dedicata all’analisi delle poesie e allo strano fenomeno per cui proprio all’inizio della guerra la poesia ucraina diventa prevalentemente femminile. Qui vengono presentate poesie di Iryna Shuvalova, Yulia Musakovskaya, Iya Kiva, Kateryna Kalitko, Oksana Lutsyshina, ma anche di Borys Khersonskyi, Serhiy Zhadan (alcuni poeti compaiono in diverse sezioni, perché hanno diversi periodi di creatività qualitativamente diversi), Pavel Korobchuk, Yuriy Izdrick, ecc.
Le poesie degli autori nativi del Donbas: Oleksandr Averbukh, Iya Kiva sono anche le più dolorose di questa sezione. Così, Oleksandr Averbukh descrive francamente l’esperienza della battaglia e il brivido interno dei suoi suoni e conclude la poesia come segue:
 
…Єдине, чого ми тепер прагнемо,
Це визнання нашого болю.
 
…l’unica cosa che ora chiediamo
è che si sappia il nostro dolore…
 
È simbolico che questa particolare poesia sia stata scelta per la traduzione in italiano, è una sorta di riconoscimento del nostro dolore, un desiderio di attenuarlo almeno un po’, se possibile.
La poesia di Iya Kiva, originaria di Donetsk, costretta a lasciare la sua terra natale, trasmette il desiderio di casa, la lingua e il dolore dell’alienazione. Il testo è interessante per una scelta linguistica nelle “ucraino”, “polacco”, “russo”, se puoi usare la parola “gioco” quando si tratta di argomenti così terribili, e, tuttavia, il poeta rimane poeta e sente nella lingua il suo sorriso, a volte triste, ma giocoso. Riportiamo quest’opera nella sua interezza:
 
***
 
ти стоїш посеред геть чужого тобі міста
посеред найвідомішого його цвинтаря
читаєш написи польською
чуєш гомін польських туристів
гробовець гробовець гробовець
що шукають чиюсь смерть польською
ти шукаєш чиюсь смерть українською
тут би могло буть поховано твоїх
родичів
якби їх не примусили стати луною
блукати Донбасом у пошуках смерті
російською
щоби саме в цей час по той бік
України
дівчинка з довгим чорним волоссям
ворушила губами перекладаючи мову
смерті
шукала на цвинтарі написи про твою
родину
 
***
 
te ne stai qui in questa città straniera
in mezzo a un suo famoso cimitero
leggi scritte in polacco
senti i turisti polacchi
tomba tomba tomba
che cercano qualche morte in polacco
tu cerchi qualche morte in ucraino
potrebbero esserci sepolti i tuoi
se non li avessero costretti a diventare
eco
a vagare nel Donbas cercando morte
in russo
perché proprio a quell’ora in quel punto
di Ucraina
una ragazza coi capelli neri lunghi
muovesse le labbra traducendo la morte
e cercasse al cimitero il tuo cognome
 
La più vivida e significativa per questa sezione dell’antologia è la poesia di Anastasia Afanaseva, citata più volte nella prefazione. È una sorta di prologo all’ultimo, il più difficile, capitolo, una sorta di domanda poetica generale, la cui risposta verrà data in seguito, dopo il febbraio 2022. Questa poesia è scritta in russo, la poetessa è bilingue. Citiamo questa poesia nella sua interezza:
 
Возможна ли поэзия после
Ясиноватой
Горловки
Саур-Могилы
Новоазовска
После
Красного Луча
Донецка
Луганска
После разделения людей
Неотдыхающих и гибнущих
Голодающих и гуляющих
После того как поэзия давно стала
Как сказал один поэт
 
Просто «аутистическим
бормотанием»
Шевелением губами в темноте
Я бы сказала
В полудреме
 
Возможна ли поэзия
В момент когда история проснулась
Когда от ее шагов
Сотрясается каждое сердце
Невозможно говорить о чем-либо
другом
Но и говорить невозможно
 
Пока я пишу это
Совсем недалеко
Любые возможности отменяются.
 
***
 
È possibile la poesia dopo
Jasynuvata
Horlivka
Savur-Mohyla
Novoazovs’k
Dopo
Krasnyj Luč
Donec’k
Luhans’k
Dopo che la gente è divisa
In chi muore e chi riposa
Chi ha fame e chi si svaga
Dopo che la poesia è ormai da molto
Come ha detto un poeta famoso
Un “borbottare da autistici”
Un muover le labbra nel buio
Io direi
In dormiveglia
 
È possibile la poesia
Quando la storia s’è desta
Quando i suoi passi
Risvegliano ogni cuore
E non si può parlare d’altro;
Ma non si può neanche parlare.
Mentre scrivo questo
Poco distante
Ogni opzione è messa da parte
 
Penso che questa sia una delle poesie più difficili da tradurre e generalmente da comprendere per un lettore straniero. In primo luogo, qui c’è una domanda mascherata, ma non c’è un punto interrogativo: questa è una negazione della domanda, che di per sé è difficile da trasmettere in un’altra lingua, se viene preservata l’assenza di segni di punteggiatura. In secondo luogo, il personaggio principale di questa poesia è espresso dai toponimi, e dietro ogni toponimo per ogni ucraino ci sono immagini terribili di perdite e morti; ma come trasmetterlo in un’altra lingua? Per questo, dobbiamo aggiungere alla poesia un libro di testo della nostra triste storia. Tuttavia, questo stesso versetto è menzionato più volte dai compilatori nella prefazione.
La risposta alla domanda di Anastasia Afanaseva è contenuta nell’ultima sezione della raccolta, che comprendeva poesie scritte dopo il 24 febbraio 2022 – poesie di guerra. Quindi, la poesia è possibile dopo Yasynovata, e dopo Irpen, e dopo “Azovstal”, e dopo... La poesia per qualche motivo è diventata un concentrato di pensieri per molti ucraini, un momento terapeutico sia per i poeti che per i lettori. Ciò non significa che i terribili eventi di Buchi o Mariupol, o dell’intera Ucraina sofferente, siano meno significativi di quanto pensassimo, e quindi i poeti possono scriverne. NO. Significa che una persona si è rivelata più grande e più forte di quanto lei stessa si aspettasse, e questa persona forte sente nella poesia quel significato profondo che, come si è scoperto, è importante durante il periodo più buio, le prove più terribili.
La prefazione a questo capitolo è abbastanza breve e secca: la guerra. Non servono molte parole per trasmettere il dolore, non serve esprimerlo in belle parole né registrarlo in linee ritmiche. La sezione contiene poesie di Iryna Shuvalova, Yulia Mksakovskaya, Lesyk Panasyuk, Oleksandr Irvants, Victoria Amelina e Halyna Kruk. Va detto che ogni poesia di questa sezione è un capolavoro sia dal punto di vista del contenuto ideologico che dal punto di vista del disegno poetico: la guerra ha acuito il senso poetico e l’accuratezza dell’espressione. Forse, questo è causato anche dal senso di estrema responsabilità del poeta, che scrive della sofferenza di un intero popolo - attraverso il prisma della propria esperienza. Siamo sinceramente grati ai nostri colleghi italiani per aver prestato attenzione a questo tragico fenomeno e aver tradotto poesie ucraine che bussano alla finestra chiusa per una richiesta di aiuto o almeno empatia, come scrive Yulia Musakovska a riguardo:
 
Несу своє горе у сповитку
велелюдною вулицею. Горе надсадно кричить.
Перехожі дратуються:
«Вгамуйте своє горе,
годі йому голосити.
Вкрийте його тепліше,
нагодуйте, приспіть.
Горе як горе –
в кого його не було».
Горе тулить мені
до грудей гаряче чоло.
У горя в очах
сотні і тисячі розтерзаних нас.
Тут і зараз.
Кричи, моє горе, кричи.
 
***
 
Porto il mio dolore in un fagotto
per una strada affollata.
Il dolore grida rombante.
Disturba i passanti:
“Faccia star zitto il Suo dolore,
basta rombare.
Gli metta una coperta
gli dia da mangiare, lo metta a dormire.
È solo un dolore,
tutti ci sono passati”.
Il dolore appoggia al mio petto
la sua fronte calda.
Ha negli occhi centinaia e migliaia
di noi giustiziati. Qui e ora.
Romba, mio dolore, romba, mio dolore.
 
Il desiderio di essere ascoltato, il desiderio di essere compreso è la cosa principale in queste poesie di disperazione, perché si ritiene che il dolore inascoltato bruci di più e ti impedisca di vivere. Ciò che Yu.  Musakovska ha scritto brevemente e con discrezione, Iryna Shuvalova lo ha rappresentato in dettaglio nella lunga poesia “E noi pensavamo e tu pensavi”. È la costruzione del titolo di questa poesia che indica la complessità del sentimento e la determinazione dell’autore. Un certo coraggio dei compilatori è testimoniato anche dalla loro decisione di includere il poema nell’antologia, perché è rivolto specificamente ai paesi occidentali e contiene, se non un rimprovero, una richiesta di comprensione particolarmente espressa. Riportiamo qui questa poesia senza note, a nostro avviso programmatica per l’antologia, almeno per i suoi ultimi due capitoli:
 
а ви думали а ми думали війна
це там де нас не було і нема
це попкорном хрумтіти під час кіна
це порятунок рядового раяна
 
а виявилося що ні
ти прокидаєшся і опиняєшся у війні
вчишся скотчем хрести наклеювати
на вікні
тихенько лежати в підвалі свого
будинку як у труні
під тілом чужим безпорадно
вовтузитися на спині
на вулиці з-під рядна
вистромлюються ноги сині
смерть так близько
що чути як з її кривавого писка
скрапують слині
день у день ми помалу стаємо
якісь поламані якісь недоконані
рідня з росії з чужих номерів
доброзичливо надсилає підтримки
промені
інколи ти спохопившися
думаєш боже за що мені
що ми тобі зробили боже скажи
а бог тобі: як поклали так і лежи
 
тим часом смерть ходить по всіх
усюдах шукає тебе
кличе тебе чужою мовою чужою
лайкою
по-собачому скавучить по-дитячому
айкає
стогне реве вищить зойкає скрикує
війна це смерть що більше не
прикидається безʼязикою
підходить до твого ліжка впритул
і така
тобі повільно засилює у вухо свого
чорного мокрого язика
ніяк не заткається
виє безперестанку вдень і вночі
до кожної гайки твоєї душі і тіла
ця сука має розвідні ключі
ви думаєте війна не прийде
війна не знайде
війна до вашого дому не зайде
не встромить своє ікласте рило
у ваші шафки й шухлядки
у ваші банки й каструльки
у ваші роззявлені від жаху роти
думаєте не смітиме до вас прийти?
не вхопить за коси
не поволочить дорогою
не вгатить ногою під дих
думаєте ваші мертві не муситимуть
тижнями
лежачи на узбіччі дивитися на вас
живих?
 
Думаєте
не матимете засинати й
прокидатися
серед пострілів зовсім поруч
серед смертей і пожеж?
Думайте.
буквально ще вчора
і ми так думали теж.
 
***
 
voi pensavate e noi pensavamo la guerra
non è qui da noi non c’entra con noi
non è qui
è un film che ti guardi la sera con birra
e popcorn
salvare un eroe il soldato ryan buttarsi
da un jet
ma viene fuori che no
ti alzi un mattino ed è lì e la guerra sei tu
prendi lo scotch e ti attacchi le croci
sui vetri
scendi in cantina e ti sdrai come fosse
la tomba
ma c’è tanta gente e ti giri irrequieta
su un fianco
per strada c’è un telo le gambe le
braccia e una mano
la morte è vicina
lo senti lo vedi lo vivi il suo grugno di sangue
ha la bava alla bocca
i giorni passano noi piano piano ci alziamo
siam stanchi siam vivi ancora non ci
hanno finiti
i cugini di Mosca ci scrivono forza coraggio
da un numero nuovo son buoni ci vogliono bene
ma poi per un attimo ti fermi a pensare
ti chiedi signore perché
perché questo a me
e dio ti risponde stai giù se ti han detto
di stare così
intanto la morte va in giro ma lei vuole te
ti parla e ti insulta ma tu la sua lingua
non sai
ulula geme è un cane o forse è un
bambino
si lagna poi strilla poi latra si sgola si sfiata
la guerra è la morte che più non fa finta
di essere muta
arriva al tuo letto ti guarda ti tocca ti studia
e poi piano piano ti infila nel lobo la lingua
che è nera e non tace nemmeno per
cinque minuti
il giorno e la notte la morte ti ulula addosso
di ogni dado del cuore e ogni dado del
corpo
lei ha la sua chiave e ti smonta
e voi pensavate la guerra non viene
e voi pensavate ma no non mi trova
e voi pensavate non sa dove vivo
il suo grugno dentuto non infilerà
nei nostri cassetti sui nostri ripiani
nei nostri vasetti e nei nostri tegami
tra le vostre labbra sconvolte di orrore
pensate che no, qui non osa?
non vi strappi i capelli
non vi tiri per strada
non vi calci la bocca
che i morti abbandonati per giorni e
settimane
non guardino voi vivi dal ciglio della
strada?
pensate
che non dormirete e non vi sveglierete
tra bombe che scoppiano lì a pochi
metri
tra il fuoco e la morte?
pensate.
anche noi fino a ieri
così pensavamo
 
Potremmo citare tutte le poesie di questa parte del libro - sono così rilevanti e fanno pensare ed entrare in empatia agli autori, ma lo lasciamo al lettore. Citiamo solo la poesia che è stampata in copertina, sul retro. Questo è il lavoro di Victoria Amelina, che, come ha scritto lei stessa, era una scrittrice prima della guerra, ma la guerra l’ha costretta a parlare in poesia. C’è sempre qualche momento di presentimento nella poesia, e raramente quel presentimento è gioioso. Il libro è stato pubblicato, Victoria è riuscita comunque a vederlo ea tenerlo tra le mani, ma un mese fa è stata uccisa da un missile russo. Ecco la poesia che adorna la copertina dell’antologia:
 
…Quando lasci la casa,
La casa si fa più piccola
per conservarsi
La casa diventa
un sasso grigio
una perla
un nocciolo dell’albicocca dell’anno
scorso
un vetro che ti taglia la mano per stra[1]da
un pezzo di Lego
una conchiglia della Crimea
un seme di girasole
un bottone dalla divisa di tuo padre
 
Così la casa ci sta in una tasca
e dorme
 
Tirala fuori
in un posto sicuro
Quando sei pronto
 
La casa crescerà piano piano
E tu mai,
ricordatelo, mai
sarai senza la tua casa
 
E tu cosa hai preso?
 
Solo questa storia
sul ritornare
Eccola che vede la luce del sole
E cresce
 
Quindi, questa raccolta è diventata un presunto libro di testo poetico sulla storia recente dell’Ucraina, penso che il suo scopo non sia tanto quello di far conoscere ai lettori la poesia ucraina quanto l’Ucraina in generale. E ha esaudito questo desiderio, se alla descrizione della collezione aggiungiamo che le sue presentazioni si sono svolte in diverse città, in diverse università italiane. Siamo interessati a un altro fatto: perché attraverso le poesie? È un caso che l’Ucraina debba essere conosciuta leggendo le sue poesie? I curatori danno una risposta a questa domanda nella prefazione all’antologia. «Nella cultura ucraina moderna, dalla metà dell’Ottocento a oggi, la poesia ha sempre giocato un ruolo simbolico molto forte. Durante le proteste dei primi mesi del 2014 – il cosiddetto Euromaidan, noto in Ucraina come Rivoluzione della Dignità – non era infrequente vedere ritratti dei classici della poesia ucraina tra Ottocento e Novecento prendere parte alla rivolta comparendo su muri e cartelloni, spesso in una tenuta adattata ai bisogni dell’oggi, con mezzo volto coperto e altri strumenti per proteggersi dagli assalti della polizia. Anche senza essere necessariamente conosciuta in profondità e apprezzata filologicamente, la poesia continua in Ucraina a essere vissuta come qualcosa di significativo, come uno strumento in grado di dare una voce agli ucraini e di garantire alla nazione una continuità culturale. Questa è un’eredità del passato, di quando tra Ottocento e Novecento la poesia ucraina era un laboratorio di identità nazionale in periodi di negazione ufficiale dell’autonomia culturale e politica del paese da parte del centro, pietroburghese prima, moscovita poi. Un’eredità rivista alla luce delle possibilità e delle esigenze di un oggi in cui l’Ucraina si trova di nuovo a dover lottare per la propria sopravvivenza, in un contesto di circolazione culturale in cui internet favorisce la rapida circolazione e discussione dei testi letterari. La poesia è dunque un’ottima chiave per cercare di entrare nel mondo della cultura ucraina in tutta la sua complessità».
In effetti, nell’Italia moderna la poesia non gioca un ruolo così significativo nella società, è un hobby per uno, intrattenimento per un altro, perfezionamento delle capacità filologiche per un terzo. Ma non come portavoce di una posizione civile, non come arma e non come chiave, grazie alla quale gli stranieri possono scoprire la mentalità della nazione. Probabilmente sarebbe lo stesso anche in Ucraina, se non fosse per questa costante lotta per l’identità, per la lingua, per la propria visione della vita, ma la vita stessa ha reso la moderna poesia ucraina così maestosa, seria, schietta e genuina.
 
(Svitlana Shumilo e Maurizio Spagnesi)

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Iniziative
5 marzo 2025
Il testo-natura. Presentazione di Semicerchio 70 e 71, Roma Sapienza.

22 novembre 2024
Recensibili per marzo 2025

19 settembre 2024
Il saluto del Direttore Francesco Stella

19 settembre 2024
Biblioteca Lettere Firenze: Mostra copertine Semicerchio e letture primi 70 volumi

16 settembre 2024
Guida alla mostra delle copertine, rassegna stampa web, video 25 anni

21 aprile 2024
Addio ad Anna Maria Volpini

9 dicembre 2023
Semicerchio in dibattito a "Più libri più liberi"

15 ottobre 2023
Semicerchio al Salon de la Revue di Parigi

30 settembre 2023
Il saggio sulla Compagnia delle Poete presentato a Viareggio

11 settembre 2023
Recensibili 2023

11 settembre 2023
Presentazione di Semicerchio sulle traduzioni di Zanzotto

26 giugno 2023
Dante cinese e coreano, Dante spagnolo e francese, Dante disegnato

21 giugno 2023
Tandem. Dialoghi poetici a Bibliotecanova

6 maggio 2023
Blog sulla traduzione

9 gennaio 2023
Addio a Charles Simic

9 dicembre 2022
Semicerchio a "Più libri più liberi", Roma

15 ottobre 2022
Hodoeporica al Salon de la Revue di Parigi

13 maggio 2022
Carteggio Ripellino-Holan su Semicerchio. Roma 13 maggio

26 ottobre 2021
Nuovo premio ai traduttori di "Semicerchio"

16 ottobre 2021
Immaginare Dante. Università di Siena, 21 ottobre

11 ottobre 2021
La Divina Commedia nelle lingue orientali

8 ottobre 2021
Dante: riletture e traduzioni in lingua romanza. Firenze, Institut Français

21 settembre 2021
HODOEPORICA al Festival "Voci lontane Voci sorelle"

11 giugno 2021
Laboratorio Poesia in prosa

4 giugno 2021
Antologie europee di poesia giovane

28 maggio 2021
Le riviste in tempo di pandemia

28 maggio 2021
De Francesco: Laboratorio di traduzione da poesia barocca

21 maggio 2021
Jhumpa Lahiri intervistata da Antonella Francini

11 maggio 2021
Hodoeporica. Presentazione di "Semicerchio" 63 su Youtube

7 maggio 2021
Jorie Graham a dialogo con la sua traduttrice italiana

23 aprile 2021
La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

22 marzo 2021
Scuola aperta di Semicerchio aprile-giugno 2021

19 giugno 2020
Poesia russa: incontro finale del Virtual Lab di Semicerchio

1 giugno 2020
Call for papers: Semicerchio 63 "Gli ospiti del caso"

30 aprile 2020
Laboratori digitali della Scuola Semicerchio

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