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Le poème et l’appel à la promesse

 

La poesia l’appello alla promessa

 

di Mohammed Bennis

 

 

Il grande poeta marocchino Mohammed Bennis, noto al pubblico italiano per Il dono del vuoto (San Marco dei Giustiniani, 2001) e il più recente Il Mediterraneo e la parola (Donzelli, 2009), ha ricevuto il Premio Ceppo Internazionale «Piero Bigongiari» 2011 perché, si legge nella motivazione, «esprime, nella sua opera in versi e in prosa, l’istanza profonda del dialogo fra l’io e l’altro e l’appello ineludibile ad ospitare l’Altro nella definizione dell’identità, molteplice e corale, di un nuovo uomo contemporaneo, euro-mediterraneo, di contro a ogni falso umanesimo globale». Nel corso delle tre giornate fitte di incontri tra Pistoia e Firenze (24-26 marzo), in luoghi eterogenei e a contatto con un pubblico di volta in volta diverso per età, interessi e competenze, Bennis ha incantato tutti con la forza della sua parola poetica e la lucidità del suo pensiero, donandoci generosamente dalla riva sud del Mediterraneo la densa e appassionata lectio magistralis, e la bellissima poesia inedita, che presentiamo qui in versione originale e in traduzione.
 
(Marianna Salvioli)
 
Mais c’est pourquoi je confesse
Comme si je ne dirais à personne

Piero Bigongiari 


Je suis, aujourd’hui, ravi d’être ici présent à Flo-
rence, centre prestigieux d’une culture méditerra-
néenne en mouvement. Il s’agit de donner à ce
moment le signe de dialogue, qui détermine la pa-
role poétique. C’est un dialogue qui part des in-
terrogations que pose le sens de la poésie dans
notre temps. À travers ces interrogations nous nous
retrouvons, en tant que poètes méditerranéens, si
proches les uns des autres, comme de nos amis
poètes dans un monde en pleine mutation.


Ma è perciò che quello che io confesso

è come non fosse detto a nessuno

Piero Bigongiari


Sono, oggi, felicissimo di essere qui presente a Fi-
renze, centro prestigioso di una cultura mediterra-
nea in movimento. Si tratta di dare a questo
momento il segno del dialogo, che determina la pa-
rola poetica. È un dialogo che parte dalle domande
che il senso della poesia pone nel nostro tempo. At-
traverso queste domande ci ritroviamo, come poeti
mediterranei, così vicini gli uni agli altri, quanto
ai nostri amici poeti in un mondo in pieno muta-
mento.



 
 
 
 
1.
 Le poète méditerranéen vit, aujourd’hui, à l’instar des autres poètes du monde, un temps qui est celui de la mondialisation. Il est en rapport, jours et nuits, avec le temps d’une mondialisation de l’argent, de l’industrie, du commerce, des médias et de la culture. Point de souffles. Et l’œil perd ce qu’il voit.
Ce temps est celui de l’écho majeur du XIXème siècle. Avec prudence j’écoute, à nouveau, cet écho. Grandissant. Et changeant, en même temps, le lieu d’une connaissance du temps. La prudence veut dire la difficulté de distinguer la différence entre ce temps, le temps de la mondialisation, et la poésie d’une part, et l’impossibilité de continuer à ré- sider sur la terre, sans distinguer la différence entre ce temps et la poésie, d’autre part. comment lire la multiplicité des rencontres internationales (et régionales) sur la mondialisation et la poésie (ou la cul- ture)? Ces deux questions sont indivisibles.
Comment distinguer la mondialisation de la poésie? Et comment lire la multiplicité des rencontres internationales (et régionales) sur la mondialisation et la poésie (ou la culture)? Ces deux questions sont indivisibles.
 
1.
Il poeta mediterraneo vive, oggi, come tutti gli altri poeti del mondo, un tempo che è quello della globalizzazione. È in rapporto, giorno e notte, con il tempo di una globalizzazione del denaro, dell’industria, del commercio, dei media e della cultura. Senza respiro. E l’occhio perde ciò che vede.
Questo tempo è quello dell’eco maggiore del XIX secolo. Con prudenza ascolto, di nuovo, questa eco. Che cresce. E che cambia, allo stesso tempo, il luogo di una conoscenza del tempo. La prudenza vuole significare la difficoltà di di- stinguere la differenza fra questo tempo, il tempo della globalizzazione, e la poesia da un lato, e l’impossibilità di continuare a risiedere sulla terra, senza distinguere la differenza fra questo tempo e la poesia, dall’altro.
Come distinguere la globalizzazione dalla poesia? E come leggere la pluralità degli incontri internazionali (e regionali) sulla globalizzazione e la poesia (o la cultura)? Queste due domande sono inscindibili. 



2.

Un miroitement, me bouscule. II y a ce qui motive, intérieurement, des questions multiples dans le silence. Je n’ai que la prudence dans l’écoute des discours et des lieux où ces discours se produisent. J’entends, par là, les discours qui circulent, avec vitesse, dans des rencontres internationales (et régionales), pour imposer des réponses incompa- tibles avec la poésie à une question qui se répète : « Que peut la poésie dans le temps de la mondialisation? » Cette question est elle-même un écho majeur de la question de Hölderlin : « ...et pourquoi des poètes en temps de détresse? »
Distinction, non-distinction. La tâche est difficile. La prudence, dans l’écoute des discours, indique que celui qui se charge aujourd’hui de poser la question, ou au moins de lui apporter une réponse, n’est pas le poète seul et non plus le poème seul, comme il l’a été au XIXème siècle, ni même la réponse des poètes du XXème siècle, dans un temps qui est dissemblable à notre temps.

2.
Un’illuminazione, mi sollecita. C’è qualcosa che fa sorgere, interiormente, delle domande che si moltiplicano nel silenzio. Ho solo la prudenza nell’ascoltare i discorsi e i luoghi dove questi discorsi si producono. Intendo, con ciò, i discorsi che circolano, in velocità, negli incontri internazionali (e regionali), per imporre risposte incompatibili con la poesia a una domanda ricorrente: «Che cosa può la poesia nel tempo della globalizzazione?». Questa domanda reca in se stessa l’eco maggiore della domanda di Hölderlin: «…e perché i poeti nel tempo della povertà?». Distinguere, non distinguere. Il compito è difficile. La prudenza, nell’ascoltare i discorsi, indica che chi s’incarica oggi di porre la domanda, o almeno di fornire una risposta, non è il singolo poeta e nemmeno la singola poesia, come è accaduto nel XIX secolo, e non è neppure la risposta dei poeti del XX secolo, in un tempo che è dissimile dal nostro tempo.


3.
Dans l’écoute, dans la prudence des réponses faciles, je découpe pour moi-même une part d’un chemin dans le poème. Depuis le XIXème siècle, le poète européen avait heurté ces « villes énormes » selon l’expression de Bau- delaire, sur lesquelles les poètes arabes n’en savaient rien. Les poètes arabes, arrivants, rares, à cette époque, en Eu- rope, étaient enchantés de voir (et de célébrer) la Lumière dans la ville européenne. Paris. Précisément. Et puis Lon- dres, cette ville là, où le poète européen moderne avait vécu l’aliénation et la soustraction de la vie et de la connaissance au connu. Nous devons méditer sur l’action de ce poète, portant la langue poétique de l’espace du connu à l’espace de l’ambition métaphysique, c’est-dire l’espace d’une langue par laquelle le poète défendait une pensée de l’existence. Cela n’était pas clair, en ce moment là, pour le poète arabe. Et le temps de la mondialisation accentue, aujourd’hui, les réponses faciles qui rendent indépassable le pouvoir du connu. Le connu se déferle. Un torrent de bibliothèques, de marchés, d’activités, de produits. Ils te coupent le souffle. Point de souffles. Et toi, tu es pris par le monde. Connu. Plus puissant. Et soumis, tu te livres à la consommation. Dévoué, tu t’intègres dans le connu, qui n’a pas de limite. Ton univers est connu, en un clin d’œil. Enfermé dans une boîte. Les extrêmes de l’Orient se fondent dans les ex- trêmes de l’Occident. Rien que l’Occident. Et toi, tu n’ar- rives plus à distinguer l’information du savoir, la mondialisation de la poésie.


3.
Nell’ascolto, nella prudenza a dare risposte facili, mi ritaglio una parte del cammino nella poesia. A partire dal XIX secolo, il poeta europeo si era scontrato conquelle «città enormi», secondo l’espressione di Baudelaire, delle quali i poeti arabi non sapevano niente. I poeti arabi, arrivando, rari, a quell’epoca, in Europa, erano entusiasti di vedere (e di celebrare) il Lume nella città europea. Parigi. Appunto. E poi Londra, proprio la città in cui il poeta europeo moderno aveva vissuto l’alienazione e la sottrazione della vita e della conoscenza al noto. Dobbiamo meditare sull’azione di questo poeta, che portava la lingua poetica dallo spazio del noto allo spazio dell’aspirazione metafisica, ossia lo spazio di una lingua con la quale il poeta difendeva un pensiero dell’esistenza. Ciò non era chiaro, in quel momento, al poeta arabo. E il tempo della globalizzazione accentua, oggi, le risposte facili che rendono insuperabile il potere del noto. Il noto dilaga. Una marea di biblioteche, mercati, attività, prodotti. Ti tolgono il respiro. Senza respiro. E tu, sei preso dal mondo. Noto. Più potente. E sottomesso, ti abbandoni al consumismo. Devoto, ti integri nel noto, che non ha limiti. Il tuo universo è conosciuto, in un batter d’occhio. Chiuso in una scatola. Gli estremi dell’Oriente si fondono con gli estremi dell’Occidente. Nient’altro che l’Occidente. E tu, non riesci più a distinguere l’informazione dal sapere, la globalizzazione dalla poesia.


4
Deux orientations nouvelles gouvernent les politiques internationales et régionales, dont le profit rapide est leur logique. Logique qui pousse à priver l’être humain de l’essentiel, à savoir la langue.
Cette constatation ne nous permet plus de confronter le problème de la distinction entre le temps de la ville planétaire, de la mondialisation, et la poésie, sans confronter, tout d’abord, l’abandon de la langue. La mondialisation accélère l’abandon de la langue, sans laquelle il serait impossible à l’être humain de rester présent et actif dans la désignation de la subjectivité et du destin, inséparables dans la langue, la vie et la poésie.
Chaque poète moderne, dans notre monde méditerranéen, concerné par le problème de la distinction que traduit la prise en considération de la subjectivité et du destin, se trouve confronté à l’abandon de la langue. Le poète arabe ne diffère pas, en cette confrontation, des autres. La mondialisation, à laquelle le monde arabe s’intègre, d’un jour à l’autre, se reflète sur lui. Elle se présente dans sa vie quotidienne comme dans sa vie culturelle. Abandon dévastateur, qui ne se prête qu’au regard inflexible, habité par le sens du deuil.


 

Due nuovi orientamenti governano le politiche internazionali e regionali, di cui il profitto rapido ne è la logica. Logica che spinge a privare l’essere umano dell’essenziale, vale a dire della lingua.
Tale constatazione non ci permette più di affrontare il problema della distinzione fra il tempo della città planetaria, della globalizzazione, e la poesia, senza affrontare, prima di tutto, l’abbandono della lingua. La globalizzazione accelera l’abbandono della lingua, senza la quale sarebbe im- possibile all’essere umano restare presente e attivo nel designare la soggettività e il destino, inseparabili nella lingua, nella vita e nella poesia.
Ogni poeta moderno, nel nostro mondo mediterraneo, interessato dal problema della distinzione che l’attenzione alla soggettività e al destino traduce, si trova a confrontarsi con l’abbandono della lingua. Il poeta arabo non differisce, in questo confronto, dagli altri. La globalizzazione, nella quale il mondo arabo si integra, da un giorno all’altro, si riflette su di lui. Si presenta sia nella vita quotidiana che in quella culturale. Abbandono devastante, che si presta solo ad uno sguardo inflessibile, abitato dal senso del lutto.


5
« Qui donc, si je criais, parmi tes cohortes des anges, m’entendrait? ». C’est la perplexité de Rilke, au début des Elégies de Duino. Une voix verticale. Elle monte du poète à lui-même. Dans le silence qu’on ne repousse pas. Un cri qui est la violence de voir l’abandon de la langue. Ainsi, je peux, aujourd’hui, interpréter le cri de Rilke.
Le mouvement moderniste de la poésie arabe a son propre cri. C’est le signe de la résistance, incarnée dans les valeurs de la critique et de la découverte. Par ces deux valeurs le poème est devenu étranger. Résidant à l’extrême, extrême du dire. Cet itinéraire enflammé a fait venir la promesse et lui a dit : habite ma langue, l’arabe. A son tour, la pensée moderne du poème, dans la promesse s’est constituée, alors que le poème donnait l’hospitalité à l’autre, poèmes et langues qui appartiennent à des temps et des civilisations.
La liberté du poème arabe était le chemin que le poème avait découvert dans son chemin vers la promesse de la langue, en tant qu’héritage et hospitalité. C’est le chemin que le poète arabe moderne avait choisi en prenant partie pour un temps poétique différent. La face lumineuse de la culture arabe ancienne, riche de son divan, de son écriture, de sa pensée, de sa mystique et de son art, a permis au poète arabe moderne d’entrer en dialogue avec la langue de la vie quotidienne et avec la littérature internationale, et lui a appris la liberté de la critique et de la découverte. C’est le même chemin suivi par les poètes italiens modernes, qui savent mieux que d’autres ces fameux vers de Dante : « ainsi du bois brisé sortaient à la fois/des mots et du sang ; moi je laissais la branche/ tomber… » (L’Enfer, XIII, v.v 43-45). Tradition bien conservée à travers l’histoire italienne, depuis le Moyen Âge. Dante avait comme maître Virgil, Pétrarque les anciens grecs et latins. Le temps moderne italien nous le dit sans déstabiliser la tradition : Montale ou Zanzoto, l’un et l’autre est fixé sur la face lumineuse d’une poésie italienne, d’une culture européenne et internationale, pour atteindre le nouveau et le moderne.
Cette expérience si riche du dialogue est, aujourd’hui, menacée, sous prétexte de céder au monde de l’utilité, que la mondialisation glorifie sans remords, à l’encontre de l’option du chemin de la subjectivité et de l’ouverture de la modernité sur l’hospitalité des langues et des cultures. Les conséquences immédiates dans le bassin méditerranéen ne sont pas identiques. La langue arabe moderne, par exemple, est, aujourd’hui, au vu d’un cri qui se déclenche dans la nudité du cri d’Al-Mutanabbi (poète du Xème siècle) « étranger de visage, de main et de langue », traversant à l’extrême, unifié à une vision par quoi il lit un temps.
 

«Chi, se io gridassi, mi udirebbe mai dalle schiere degli angeli?». È la perplessità di Rilke, all’inizio delle Elegie duinesi. Una voce verticale. Sale dal poeta a se stesso. Nel silenzio che non viene più respinto. Un grido che è la violenza di vedere l’abbandono della lingua. Così, posso, oggi, interpretare il grido di Rilke.
Il movimento modernista della poesia araba ha il suo proprio grido. È il segno della resistenza, incarnato nei valori della critica e della scoperta. Attraverso questi due valori la poesia è diventata straniera. Risiedente all’estremo, estremo del dire. Questo itinerario in fiamme ha fatto venire la promessa e le ha detto: abita la mia lingua, l’arabo. A sua volta, il pensiero moderno della poesia nella promessa si è costituito, mentre la poesia dava ospitalità all’altro, a poesie e lingue che appartengono a dei tempi e a delle civiltà.
La libertà della poesia araba era il cammino che la poesia aveva scoperto nel suo cammino verso la promessa della lingua, come eredità e ospitalità. È il cammino che il poeta arabo moderno aveva scelto schierandosi a favore di un tempo poetico differente. Il volto luminoso della cultura araba antica, ricca del suo diwan, della sua scrittura, del suo pensiero, della sua mistica e della sua arte, ha permesso al poeta arabo moderno di entrare in dialogo con la lingua della vita quotidiana e con la letteratura internazionale, e gli ha insegnato la libertà della critica e della scoperta. È lo stesso cammino seguito dai poeti italiani moderni, che co- noscono meglio di altri questi famosi versi di Dante: «sì de la scheggia rotta usciva insieme / parole e sangue; ond’io lasciai la cima / cadere…» (Inferno, XIII, vv. 43-45). Una tradizione ben conservata attraverso la storia italiana, a partire dal Medioevo. Dante aveva come maestro Virgi- lio, Petrarca gli antichi greci e latini. Il tempo moderno italiano ce lo dice senza destabilizzare la tradizione: Montale o Zanzotto, entrambi sono ben saldi sul volto luminoso di una poesia italiana, di una cultura europea e internazionale, per raggiungere il nuovo e il moderno.
Questa esperienza così ricca di dialogo è, oggi, minacciata, con il pretesto di cedere al mondo dell’utile, che la globalizzazione glorifica senza rimorso, contro la scelta del cammino della soggettività e dell’apertura della modernità all’ospitalità delle lingue e delle culture. Le conseguenze immediate nel bacino mediterraneo non sono identiche. La lingua araba moderna, per esempio, è, oggi, sotto gli occhi di un grido che esplode nella nudità del grido di Al-Mutanabbi (poeta del X secolo) «straniero nel volto, nella mano e nella lingua», che attraversa l’estremo, unito a una visione con la quale legge un tempo.



Le poète européen du XIXème siècle fut le prophète de la langue. Constructeur d’une poétique de la vision. Ce qui a rendu au poète la qualité de prophète, et à la poésie le statut de la vérité.
Lorsque la langue du connu devint étroite sur une pensée poétique, le poète du XIXème siècle ouvrit les portes de sa demeure (poétique) pour donner l’hospitalité à d’autres langues et cultures, de l’extrême, de l’Orient, de l’étranger, au moment où il descendait dans son intériorité pour faire parler l’inconnu de la langue. Confronté à la langue, séduisant ses secrets, ensorcelant ses spectres. Le poète apercevait que la langue, en tant qu’héritage et hospitalité, est ce qu’il possède et ce qui l’interroge sur ce qu’il fait d’elle dans le poème.
 

Il poeta europeo del XIX secolo fu il profeta della lingua. Il costruttore di una poetica della visione. Ciò che ha reso al poeta la qualità di profeta, e alla poesia lo statuto della verità.
Quando la lingua del noto divenne troppo angusta per con- tenere il pensiero poetico, il poeta del XIX secolo aprì le porte della sua dimora (poetica) per dare ospitalità ad altre lingue e culture, dell’estremo, dell’Oriente, dell’estero, nel momento in cui si calava all’interno della propria interiorità per far parlare l’ignoto della lingua. Confrontandosi con la lingua, seducendo i suoi segreti, ammaliando i suoi spettri. Il poeta percepiva che la lingua, come eredità e ospitalità, è ciò che lui possiede e che lo interroga su cosa fa di lei nella poesia
.



Mais l’apologie du profit, que la mondialisation généralise, n’abandonne pas seulement la poésie, elle procède également à l’abandon de la langue. Positions qui, vigoureusement, se complètent. II ne faut pas s’étonner. Celui qui abandonne la poésie est conduit à renoncer à la langue. L’abandon de la poésie est à la fois l’abandon de la langue et de sa promesse. Dans l’échange quotidien entre informatisation, médiatisation et consommation, la mondialisation se désengage vis-à-vis de la langue. N’importe laquelle. L’abandon de la langue est une contagion qui touche plusieurs langues. Nous assistons à cet abandon de la langue-des langues qui reste, malgré tout, caché derrière des idéologies protagonistes. On ne considère pas cet abandon de la même manière que celui de l’idée de la poésie, qui est suffisamment répandue. C’est le coté clair du discours de la mondialisation. Il tranche. La poésie n’a plus de promesse.
Elle est l’inutile. Heureusement que nous sommes bien préparés à ne pas croire à un jugement de valeur pareil. Le discours sur l’abandon de la poésie a déjà une histoire. Par ailleurs, la mondialisation a, pour sa part, confirmé cet abandon, en privilégiant la langue de l’utile, pour mieux faciliter l’abandon de la langue et sa promesse. La langue de l’utile, qui se multiplie dans les discours de la consommation et de l’information, donne pouvoir au clos, dont le nom recouvre 1es fanatismes de l’identité et de la croyance qui ont causé des ravages dans plusieurs coins du monde.
L’utile et le clos exilent la poésie et la privent de la promesse dans la ville planétaire. Lorsqu’on fait l’éloge de la langue de l’utile on prêche l’abandon de la poésie, nous nous désintéressons, tout simplement, de l’abandon de la langue-des langues. L’abandon d’une promesse de l’héritage et de l’hospitalité. Un monde où règne la langue de l’utilité et du profit, où la poésie est chassée de la ville planétaire, est un monde où l’humain et l’essentiel sont menacés de ne plus survivre. Dans la conception, radicalement moderne de Humboldt : « la langue est une brèche par où s’engouffre et où demeure sans cesse en alerte le dynamisme spirituel de l’humanité. » Ce dynamisme spirituel est la promesse de la langue qui est, toujours d’après Humboldt « une vision du monde » et « une suite ordonnée de pensée ». L’existence de la langue est reliée à ce dynamisme que traduisent l’inconnu et l’infini qui trouvent leurs sens forts dans la poésie. La poésie est la source de la langue, sa matrice, son eau, et sa lumière. Elle est le travail d’une subjectivité, qui traverse la langue, par laquelle l’homme « donne forme en même temps à lui- même; et au monde », selon Humboldt.
Dans la langue, le poème découvre l’extrême, lieu où la langue retrouve le souffle, où le poème est lui-même et ne l’est pas. Il fait voir, dans un clin d’œil, à ceux qui l’affrontent, son extrême pour se dérober. L’exil de la poésie de la ville planétaire est une annonce, avant tout, d’une aphasie qui mettra l’humain hors de l’humain. L’abandon de la langue de l’inconnu et de l’infini, la langue que seule la poésie invente, se présente désormais comme la pâleur qui touchera le monde. L’aphasie est une détention du monde, de l’humain et de l’essentiel, dans un lieu hors du monde. L’abandon de la poésie est l’abandon d’une pensée, inconnue et infinie. Aphasie à ceux qui vont venir, ceux qui ne donneront, plus, ni une vision inconnue, ni une forme infinie à eux même ou à leur monde.
 
7
Ma l’apologia del profitto, che la globalizzazione generalizza, non abbandona solamente la poesia, procede ugualmente all’abbandono della lingua. Posizioni che, vigorosamente, si completano. Non c’è da meravigliarsi. Chi abbandona la poesia è condotto a rinunciare alla lingua. L’abbandono della poesia è insieme abbandono della lingua e della sua promessa. Nello scambio quotidiano tra informatizzazione, mediatizzazione e consumo, la globalizzazione si disimpegna di fronte alla lingua. Di qualsiasi lingua. L’abbandono della lingua è un contagio che colpisce più lingue. Assistiamo a questo abbandono della lingua/delle lingue che resta, malgrado tutto, nascosto dietro il protagonismo delle ideologie. Non si considera tale abbandono nello stesso modo di quello dell’idea di poesia, che è sufficientemente diffusa. È l’aspetto chiaro del discorso della globalizzazione. Taglia corto. La poesia non ha più promesse. È l’inutile. Fortunatamente siamo ben preparati a non credere ad un simile giudizio di valore. Il discorso sull’abbandono della poesia ha già una sua storia. Peraltro, la globalizzazione ha, da parte sua, confermato questo abbandono, privilegiando la lingua dell’utile, per meglio agevolare l’abbandono della lingua e della sua promessa.
La lingua dell’utile, che si moltiplica nei discorsi del consumismo e dell’informazione, dà potere alla chiusura, il cui nome nasconde i fanatismi dell’identità e della fede che hanno causato devastazioni in molti angoli del mondo. L’utile e la chiusura esiliano la poesia e la privano della promessa nella città planetaria. Nel momento in cui si fa l’elogio della lingua dell’utile si predica l’abbandono della poesia, noi ci disinteressiamo, molto semplicemente, dell’abbandono della lingua/delle lingue. L’abbandono di una promessa di eredità e di ospitalità. Un mondo in cui regna la lingua dell’utile e del profitto, in cui la poesia è cacciata dalla città planetaria, è un mondo dove è minacciata la sopravvivenza stessa dell’umano e dell’essenziale. Nella concezione, radicalmente moderna di Humboldt: «la lingua è una breccia in cui si riversa e in cui dimora conti- nuamente all’erta il dinamismo spirituale dell’umanità». Questo dinamismo spirituale è la promessa della lingua che è, sempre secondo Humboldt, «una visione del mondo» e «una sequenza ordinata di pensiero». L’esistenza della lingua è legata a questo dinamismo che l’ignoto e l’infinito, che trovano i loro significati forti nella poesia, traducono. La poesia è la fonte della lingua, la sua matrice, la sua acqua, e la sua luce. È il lavoro di una soggettività, che attraversa la lingua, con la quale l’uomo «dà forma nello stesso tempo a se stesso; e al mondo», secondo Humboldt.
Nella lingua, la poesia scopre l’estremo, luogo dove la lingua ritrova il soffio, dove la poesia è se stessa e non lo è. Fa vedere, in un batter d’occhio, a coloro che l’affrontano, il suo estremo per sfuggire. L’esilio della poesia dalla città planetaria è un annuncio, prima di tutto, di un’afasia che porrà l’umano al di fuori dall’umano. L’abbandono della lingua dell’ignoto e dell’infinito, la lingua che solo la poesia inventa, si presenta ormai come il pallore che toc- cherà il mondo. L’afasia è una prigionia del mondo, dell’umano e dell’essenziale, in un luogo fuori dal mondo. L’abbandono della poesia è l’abbandono di un pensiero, ignoto e infinito. Afasia per quelli che verranno, quelli che non daranno, più, né una visione ignota, né una forma infinita a loro stessi o al loro mondo.


8
Devant une mondialisation qui se précipite, nous avons à poser la question : « Que peut le monde pour sauver la poésie afin de sauver la langue? » La question apparaît prioritaire, et elle est adressée aux institutions, qui décident de l’avenir des sociétés humaines et de leurs civilisations. C’est la question, qui porte la poussière noire de la poésie au monde, par le renversement de la question. Nous apprenons que le point de vue de notre monde sur la poésie, en étant le contraire de l’utile et du profitable, est obligé de douter de son postulat qu’il soutient pour exclure la poésie de la ville planétaire, exil et exclusion.
Le monde n’écoutera pas une telle question, parce qu’elle vient de l’extérieur de la logique du profit. Dans la non-écoute, le regard du poète s’oriente vers un ailleurs. Le poète veillant sur la langue dans l’extrême. La promesse. Poser la question, en tant que telle, est une étape sur le chemin de la distinction entre le temps de la mondialisation et la poésie. Cela veut dire que le poète doit chercher un autre chemin, et c’est à lui que revient de trouver une réponse, juste, à la question du comment sauver la poésie afin de sauver la langue.

8
Davanti ad una globalizzazione che precipita, noi dobbiamo porre la domanda: «Che cosa può fare il mondo per salvare la poesia al fine di salvare la lingua?». La domanda appare prioritaria, ed è rivolta alle istituzioni, che decidono dell’avvenire delle società umane e delle loro civiltà. È la domanda, che porta la polvere nera della poesia al mondo, con il rovesciamento della domanda. Apprendiamo che il punto di vista del nostro mondo sulla poesia, essendo il contrario dell’utile e del proficuo, è obbligato a dubitare del postulato che sostiene per escludere la poesia dalla città planetaria, esilio ed esclusione.
Il mondo non ascolterà una tale domanda, perché sorge al di fuori della logica del profitto. Nel non-ascolto, lo sguardo del poeta si orienta verso un altrove. Il poeta che veglia sulla lingua nell’estremo. La promessa. Porre la domanda, in quanto tale, è una tappa sul cammino della distinzione tra il tempo della globalizzazione e la poesia. Ciò vuol dire che il poeta deve cercare un altro cammino, ed è a lui che spetta trovare una risposta, giusta, alla domanda di come salvare la poesia al fine di salvare la lingua.


9
Les poètes critiques, de part le monde, sont intégrés dans la recherche d’un autre chemin, qui évite le remords sur le choix de la solitude et les lois de l’hospitalité dans la solitude. Le projet de toute institution non libre se confirme, exactement, dans le rejet de l’efficacité de la recherche d’un autre chemin du poème vers l’appel à la promesse. Ainsi la distinction entre le temps de la mondialisation et la poésie se précise. Si le temps de la mondialisation est le temps de la négation de la poésie et de l’abandon de la langue-des langues, en tant que promesse, l’idée poétique sur notre temps mène à une critique de l’idée de l’abandon de la langue. Autant l’idée de la poésie se base sur la conception de la poésie comme source de la langue, au- tant la critique du temps de la mondialisation démontre qu’il est, au titre de la résistance, le temps de la poésie.
Chemin autre. Déviation. Marge sur l’autoroute du temps de la mondialisation. C’est la sagesse d’un poème qui s’obstine à donner à la langue un lieu extrême, qui se prolonge dans la terre nue, dans la solitude. Un poème qui est l’écriture, le souffle qui s’enracine dans l’essentiel. Départ dans les distances les plus appauvries. Il part vers les sources d’une connaissance inconnue. Ni plus élevée que d’autres connaissances ni moins. Elle est une connaissance différente, celle des secrets de l’inconnu et de l’infini. Vers elle nous nous orientons, partant dans le froid et la chaleur, pour être tout près du poème. Le poème fait appel à la promesse, chaque fois le poème se trouve abandonné par les laboratoires de l’information et de la consommation, ou par les prisons des fanatismes, qui interdisent, tour à tour, la langue de l’inconnu et le mot de la suggestion.
 

I poeti critici, in tutto il mondo, sono uniti nella ricerca di un altro cammino, che evita i rimorsi di scegliere la solitudine e le leggi dell’ospitalità nella solitudine. Il progetto di ogni istituzione non libera si conferma, esattamente, nel rigettare l’efficacia della ricerca di un altro cammino della poesia verso l’appello alla promessa. Così la distinzione fra il tempo della globalizzazione e la poesia si precisa. Se il tempo della globalizzazione è il tempo della negazione della poesia e dell’abbandono della lingua/delle lingue, in quanto promessa, l’idea poetica sul nostro tempo porta a una critica dell’idea di abbandono della lingua. Tanto l’idea della poesia si basa sulla concezione della poesia come fonte della lingua, quanto la critica del tempo della globalizzazione dimostra che esso è, a titolo della resistenza, il tempo della poesia.
Cammino altro. Deviazione. Margine sull’autostrada del tempo della globalizzazione. È la saggezza di una poesia che si ostina a dare alla lingua un luogo estremo, che si prolunga nella nuda terra, nella solitudine. Una poesia che è la scrittura, il soffio che si radica nell’essenziale. Partenza nelle distanze più impoverite. Parte verso le fonti di una conoscenza ignota. Né più né meno elevata di altre conoscenze. È una conoscenza differente, quella dei segreti dell’ignoto e dell’infinito. Verso di lei ci orientiamo, par- tendo nel gelo e nella calura, per essere vicini alla poesia. La poesia fa appello alla promessa, ogni volta la poesia si trova abbandonata dai laboratori dell’informazione e del consumo, o dalle prigioni dei fanatismi, che vietano, di volta in volta, la lingua dell’ignoto e la parola della suggestione.


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Le poète européen du XIXème siècle, constructeur de la poétique de la vision, ou le poète du XXème siècle, engagé dans un conflit avec la langue, sur la propriété de la langue, sont deux poètes qui appartenaient, déjà, à un temps où la langue représentait l’Histoire, l’Universalité et l’Absolu. Valeurs suprêmes des systèmes de pensées qui se réjouissaient de voir l’Histoire marcher en Avant, vers le Progrès. Mais le poète d’aujourd’hui vit dans le temps d’une mondialisation qui abandonne entièrement la langue, déclarant l’inutilité de la langue-des langues, la fin de la promesse de la langue et de la poésie. Quoi qu’il en soit, la déclaration de l’inutilité de la langue ou de la fin de la promesse n’est que la fin d’une interprétation de l’utilité et de la promesse. Le malheur ne nous attrapera pas en nous renvoyant à la fin d’une interprétation, qui nesignifie jamais la fin de la langue ni de la poésie ou de la promesse.
Et de près, nous observons ce qui a changé, maintenant, dans l’idée qu’avait la poésie au XIXème siècle. Le poète se retrouve, aujourd’hui, retiré du territoire de la langue, interdit d’une intériorité, d’une subjectivité et d’un destin. Les promesses des Lumières ne sont pas les seules abolies, après deux guerres mondiales et les guerres de colonisation, mais la promesse de la prophétie, elle-même, est abolie. La chute du mur de Berlin a entraîné, de sa part, une crise des valeurs politiques et morales dans un monde de mutations technologiques sans précèdent. Par là, le devoir du poète n’est plus de s’installer dans la promesse d’une nouvelle prophétie, ou de continuer à croire dans l’idée de la vision prophétique du poète du XIXème siècle sur la poésie. Son attachement à la promesse a changé de lieu une fois le lieu lui-même de la langue a changé.
Dans le menacé, demeure le poète, aujourd’hui, en observant ce que fait la mondialisation de l’abandon de la langue. Par la demeure dans la langue et par son observation, l’action du poète consiste à accueillir le souffle extrême des mots dans le poème. Demeurer dans la langue est par quoi le poème rejoint l’appel à la promesse de la langue. Il suffit de suivre de près la vitesse des discours, d’observer au jour le jour le changement des positions, pour se rendre compte des dangers qui entourent l’existence de la langue. Une politique linguistique orchestrée se prolonge, sans merci, au delà de l’abandon, vers l’anéantissement de la pluralité et du dialogue des langues dans le monde. Mais, malheureusement, nous ne sentons pas cet anéantissement avec la rigueur qu’exige la responsabilité d’être avec et dans le monde. Les poètes eux-mêmes font rarement attention à cet anéantissement de la pluralité et du dialogue des langues dans le monde.
 
10
Il poeta europeo del XIX secolo, costruttore della poetica della visione, o il poeta del XX secolo, impegnato in un conflitto con la lingua, sulla proprietà della lingua, sono due poeti che appartenevano, già, a un tempo in cui la lingua rappresentava la Storia, l’Universalità e l’Assoluto. Valori supremi dei sistemi di pensiero che si rallegravano di vedere la Storia camminare in Avanti, verso il Progresso. Ma il poeta di oggi vive nel tempo di una globalizzazione che abbandona completamente la lingua, dichiarando l’inutilità della lingua/delle lingue, la fine della promessa della lingua e della poesia. Comunque sia, la dichiarazione dell’inutilità della lingua o della fine della promessa non è che la fine di un’interpretazione dell’utilità e della promessa. L’infelicità non ci colpirà rinviandoci alla fine di un’interpretazione, che non significa maila fine della lingua né della poesia o della promessa.
E da vicino, osserviamo ciò che è cambiato, adesso, nell’idea che la poesia aveva nel XIX secolo. Il poeta si ritrova, oggi, scacciato dal territorio della lingua, privato di un’interiorità, di una soggettività e di un destino. Le promesse dell’Illuminismo non sono le uniche ad essere abolite, dopo due guerre mondiali e le guerre di colonizzazione, ma la promessa della profezia stessa è abolita. La caduta del muro di Berlino ha determinato, da parte sua, una crisi dei valori politici e morali in un mondo di cambiamenti tecnologici senza precedenti. Di qui, il compito del poeta non è più quello di insediarsi nella promessa di una nuova profezia, o di continuare a credere nell’idea della visione profetica della poesia che era del poeta del XIX secolo. Il suo attaccamento alla promessa ha cambiato luogo, una volta che il luogo stesso della lingua è cambiato.
Nello spazio minacciato, abita il poeta, oggi, osservando ciò che la globalizzazione fa dell’abbandono della lingua. Abitando nella lingua e osservandola, l’azione del poeta consiste nell’accogliere il soffio estremo delle parole nella poesia. Abitare nella lingua è il modo in cui la poesia raggiunge l’appello alla promessa della lingua. È sufficiente seguire da vicino la velocità dei discorsi, osservare giorno per giorno il cambiamento delle posizioni, per rendersi conto dei pericoli che circondano l’esistenza della lingua. Una politica linguistica orchestrata si prolunga, senza pietà, al di là dell’abbandono, verso l’annientamento della pluralità e del dialogo delle lingue nel mondo. Ma, sfortunatamente, non sentiamo questo annientamento con il ri- gore che esige la responsabilità di essere con il mondo e nel mondo. I poeti stessi fanno raramente attenzione a questo annientamento della pluralità e del dialogo delle lingue nel mondo.

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L’abandon de la langue-des langues porte le devoir du poète au lieu de l’essentiel, qui est la demeure sur le territoire de la langue, défendant une pensée poétique autre, alors qu’il défend, par le souffle, la pureté des mots. La langue dans le froid de l’abandon. En marge des autoroutes. Elle est aujourd’hui, là-bas. Elle avoisine le léger, l’éparpillé, le murmurant, le dissimulé, l’oublié, le souffrant, l’informe. Voilà la demeure qui devient primordiale du poème. Elle est la langue, la langue du menacé dans notre vie et notre mort. Ce qui ne représente aucune valeur dans les bourses de l’utile. Revisité par le souffle poétique, d’une subjectivité qui ne se prête pas, l’inutile se protège de l’anonymat d’une vie et d’une mort, sur les boulevards du froid. Le poète fait, aujourd’hui, appel à la promesse parce qu’il est le veilleur sur l’inutile, la langue, la langue de l’inconnu, la poésie.
Dans le léger, l’éparpillé, le murmurant, le dissimulé, l’oublié, le souffrant, l’informe, le poème veille sur la langue, sur l’appel à la promesse de la langue, inconnue et infinie, afin qu’elle mérite l’héritage et l’hospitalité, secret difficile à inscrire dans une prophétie ou dans l’imitation d’une vérité extérieure au poème. La promesse de l’héritage et de l’hospitalité est une promesse d’une connaissance en processus, à jamais en processus. Par cet acte, le poème résiste à l’abandon de la langue, invente une pensée poétique d’une subjectivité à venir, dans l’avenir.

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L’abbandono della lingua/delle lingue conduce il compito del poeta nel luogo dell’essenziale, che è la dimora nel territorio della lingua, che difende un pensiero poetico altro, mentre difende, con il soffio, la purezza delle parole. La lingua nel gelo dell’abbandono. Ai margini delle autostrade. Lei è oggi, laggiù. Lambisce il lieve, il disperso, il mormorante, il dissimulato, il dimenticato, il sofferente, l’informe. Ecco la dimora che diventa primordiale per la poesia. E la lingua, la lingua del minacciato nella nostra vita e nella nostra morte. Ciò che non rappresenta alcun valore nelle borse dell’utile. Rivisitato dal soffio poetico, di una soggettività che non si piega, l’inutile si protegge dall’anonimato di una vita e di una morte, sui viali del gelo. Il poeta fa, oggi, appello alla promessa perché è la sentinella dell’inutile, la lingua, la lingua dell’ignoto, la poesia.
Nel lieve, disperso, mormorante, dissimulato, dimenticato, sofferente, informe, la poesia veglia sulla lingua, sull’appello alla promessa della lingua, ignota e infinita, affinché meriti l’eredità e l’ospitalità, segreto difficile da iscrivere in una profezia o nell’imitazione di una verità esterna alla poesia. La promessa dell’eredità e dell’ospitalità è una promessa di una conoscenza in fieri, sempre in fieri. Con questo atto, la poesia resiste all’abbandono della lingua, inventa il pensiero poetico di una soggettività a venire, nell’avvenire. 


12
L’abandon de la langue est pluriel. Il est l’abandon dans l’abandon. L’abandon de la langue dans la poésie et l’abandon d’une vision et d’une forme dans la poésie. Ce n’est pas sans raison que le doute nous atteigne lorsque nous remarquons le développement de l’aspect de performance, du spectacle, qui remplace les mots dans la poésie, par la musique, par la danse, comme si la langue était condamnée à devenir muette. Il y a des poètes qui deviennent les ennemis d’eux-mêmes, en devenant ennemis de la langue dans le poème.
Si « le vers qui de plusieurs vocables refait un mot total, neuf, étranger à la langue » précision donnée par Mallarmé dans Crise de vers, la poésie était, toujours, créatrice du lointain, de l’extrême et du solitaire. C’est la poésie en elle-même, non comme elle est définie par Aristote à partir des seules espèces de l’art poétique grec, de sa finalité, et des règles de sa composition. La poésie en elle-même est le pluriel qui est unique dans le départ vers l’extrême, langue d’une connaissance que ne l’on n’arrive pas à toucher que par la transe. Sur le chemin du poème, vers le poème, par la demeure dans la langue et par l’hospitalité de la langue de l’autre, durant les moments d’une nuit qui ne se dévoile jamais, « une nuit qui n’a pas de matin » dans le dire d’Ibn Arabi. Là-bas, dans l’extrême de la langue, des poétiques se rencontrent et dialoguent par des espèces et des règles infinies.
La poésie, certes, est ouverte à tous ceux qui la désirent, sans aucune discrimination. Mais une fois qu’on établit l’abandon de la langue, dans le but de croiser le grand public, le contrat du profit s’impose. Le contrat dans la poésie est la résiliation du contrat, comme l’écrirait Jacques Derrida. La performance n’est qu’une invitation à l’abandon de la langue. Par contre, le poème doit douter d’une réponse qui l’extermine, dans la place de l’anéantissement. La défense de la langue, de la poésie, est la défense de l’essentiel dans l’interaction entre les hommes. Ce qui signifie l’interaction du souffle entre le poète et les autres dans et avec le monde. Accompagnement des étrangers d’un étranger qui donne à la langue le mérite de devenir un héritage.
 
12
L’abbandono della lingua è plurale. È l’abbandono nell’abbandono. L’abbandono della lingua nella poesia e l’abbandono di una visione e di una forma nella poesia. Non è senza motivo che il dubbio ci assale quando notiamo lo sviluppo dell’aspetto performativo, dello spettacolo, che sostituisce le parole nella poesia, con la musica, la danza, come se la lingua fosse condannata a diventare muta. Ci sono poeti che diventano nemici di loro stessi, diventando nemici della lingua nella poesia.
Se «il verso che da molti vocaboli rifà una parola totale, nuova, straniera alla lingua», come precisa Mallarmé in Crisi di verso, la poesia era, sempre, creatrice del lontano, dell’estremo e del solitario. È la poesia in se stessa, non come è definita da Aristotele partendo dalle sole specie dell’arte poetica greca, dalla sua finalità, e dalle sue regole di composizione. La poesia in se stessa è il plurale che è unico nella partenza verso l’estremo, lingua di una conoscenza che si riesce a toccare solo con la trance. Nel cammino della poesia, verso la poesia, abitando nella lingua e ospitando la lingua dell’altro, nei momenti di una notte che mai si rivela, «una notte che non ha mattino» nelle parole di Ibn Arabi. Laggiù, nell’estremo della lingua, delle poetiche si incontrano e dialogano attraverso specie e regole infinite. La poesia, certamente, è aperta a tutti quelli che la desiderano, senza nessuna discriminazione. Ma una volta che si stabilisce l’abbandono della lingua, per incrociare il grande pubblico, il contratto del profitto s’impone. Il contratto nella poesia è la rescissione del contratto, come scriverebbe Jacques Derrida. La performance non è altro che un invito all’abbandono della lingua. Ma, la poesia deve dubitare di una risposta che la stermina, nella piazza dell’annientamento. La difesa della lingua, della poesia, è la difesa dell’essenziale nell’interazione fra gli uomini. Che significa interazione del soffio fra il poeta e gli altri nel mondo e con il mondo. Il gesto di accompagnare gli stranieri da parte di uno straniero che dà alla lingua il merito di diventare un’eredità.

13
L’abandon dans l’abandon occupe les discours, qui fondent la civilisation du profil. II y a ce qui accélère la vitesse de l’abandon des langues et de la poésie. La communication est une formule tempérée de l’abandon dans l’abandon. Lorsqu’on prononce à partir de ce postulat, qui réserve à la langue la fonction communicative, on accepte l’ambiguïté de substituer une langue à une autre. A cetteface dérobée de l’anéantissement de la langue, on ne prête pas suffisamment attention. Quand il s’agit de l’observation, il faut commencer par soi-même. L’abandon de la langue arabe est ce que nous vivons au Maroc, comme d’autres peuples vivent l’abandon de leurs langues. L’anglais, lui-même, ne se sauverait pas du risque de l’abandon. Du côté du devoir, la réflexion des poètes, sur les situations de la langue dans la ville planétaire, est urgente, dans tout appel à la promesse.
Par la notion de communication, des poètes aussi se déplacent, aujourd’hui, de leurs langues d’héritage culturel, pour opter pour la langue de l’autre. C’est la différence entre l’hospitalité de la langue de l’autre et l’abandon de la langue de l’héritage culturel, quand on se déplace vers d’autres langues. A chaque poète le droit de se déplacer de la langue de son héritage culturel pour écrire dans une autre langue. Mais ce droit réservé à chaque sujet, ne peut pas faire du poète un veilleur sur la langue, sur une vision et une forme de la langue de son héritage culturel sur le monde. Dès lors la prudence de l’ambiguïté doit se maintenir. Ce droit réservé à un sujet est inconcevable pour imposer un tel choix à une société ou de faire de lui une réalité linguistique (et culturelle) admise dans une société, dans un temps qui est le temps de l’abandon de la langue, la langue d’une culture, d’une société et d’une civilisation, c’est-à-dire la langue par laquelle des sociétés humaines donnent une vision et une forme à leurs vies et leurs morts.
 
13
L’abbandono nell’abbandono occupa i discorsi, che fon- dano la civiltà del profitto. Vi è quanto accelera la velocità dell’abbandono delle lingue e della poesia. La comunicazione è una formula moderata dell’abbandono nell’abbandono. Se ci si pronuncia partendo da questo postulato, che riserva alla lingua la funzione comunicativa, si accetta l’ambiguità di sostituire una lingua all’altra. A questo aspetto nascosto dell’annientamento della lingua non si presta sufficiente attenzione. Quando si tratta di osservare, bisogna cominciare da se stessi. L’abbandono della lingua araba è quanto noi viviamo in Marocco, così come altri popoli vivono l’abbandono delle loro lingue. L’inglese stesso potrebbe non salvarsi dal rischio dell’abbandono. Sul piano del dovere, la riflessione dei poeti, sulle condizioni della lingua nella città planetaria, è urgente, in ogni appello alla promessa.
Con la nozione di comunicazione, anche alcuni poeti si allontanano, oggi, dalle lingue della loro eredità culturale, per optare per la lingua dell’altro. È la differenza tra l’ospitalità della lingua dell’altro e l’abbandono della lingua dell’eredità culturale, quando ci si sposta verso altre lingue. Ogni poeta ha il diritto di allontanarsi dalla lingua della sua eredità culturale per scrivere in un’altra lingua. Ma tale diritto riservato ad ogni soggetto non può fare del poeta una sentinella della lingua, di una visione e di una forma della lingua della sua eredità culturale nel mondo. Quindi la prudenza dell’ambiguità deve mantenersi. Questo diritto riservato a un soggetto non è concepito per imporre una simile scelta a una società o per fare di essa una realtà linguistica (e culturale) ammessa in una società, in un tempo che è il tempo dell’abbandono della lingua, la lingua di una cultura, di una società e di una civiltà, cioè la lingua con la quale le società umane danno une visione e una forma alle loro vite e alle loro morti.

14
La critique des discours qui renient la poésie en elle-même, dans la réponse à ce que peut la poésie au temps de la mondialisation, n’aboutira pas à une cohérence si elle n’est pas pensée à partir de l’idée de la résistance, et de la résistance dans la résistance. Il est impératif, dans ce sens, de réfléchir sur le discours de l’identité. Je voudrais dire la relation entre la langue et l’identité, dans un temps qui multiplie les guerres entre identités et nationalismes, lorsqu’elles se fortifient dans le clos. Si le national est un niveau de la langue, la poésie n’est pas une invention de la nation. Il est l’invention d’un sujet, sujet unique. L’identité comme adresse postale du nationalisme ne s’enracinera pas, par conséquent, dans le soubassement unique de l’invention poétique ni dans la conception de la langue dans la poésie. On peut, aujourd’hui, voir comment l’idée du nationalisme et de l’identité a, souvent, réduit la poésie à un discours qui n’existe qu’avec le besoin de l’ennemi. La poésie est le contraire de cet esprit. Elle est la rose de l’amitié, de l’hospitalité, de l’ouverture, et de l’infini.
La résistance de la poésie, par opposition à l’abandon de la langue, devient significative chaque fois qu’elle se dé- livre de l’idée de l’ennemi et lève le rapport avec la poésie à l’essentiel, dans la poésie et dans la langue. Sans quoi, le poète se traînera, derrière une idée que les poètes avaient déjà soulevée auparavant, selon laquelle on ne peut en poésie oublier que celle-ci est, avant tout, une recherche du beau, de l’amical, et de l’impossible.
 
14
La critica dei discorsi che rinnegano la poesia in se stessa, nella risposta a ciò che la poesia può nel tempo della globalizzazione, non porterà a una coerenza se non è pensata a partire dall’idea di resistenza, e di resistenza nella resistenza. È d’obbligo, in questo senso, riflettere sul discorso dell’identità. Vorrei dire la relazione tra la lingua e l’identità, in un tempo che moltiplica le guerre fra identità e nazionalismi, quando esse si fortificano nella chiusura. Se il nazionale è un livello della lingua, la poesia non è un‘invenzione della nazione. È l’invenzione di un soggetto, un soggetto unico. L’identità come indirizzo postale del nazionalismo non si radicherà, di conseguenza, nel fondamento unico dell’invenzione poetica né nella concezione della lingua nella poesia. Si può, oggi, vedere come l’idea del nazionalismo e dell’identità abbia, spesso, ridotto la poesia a un discorso che esiste solo con il bisogno del nemico. La poesia è il contrario di questo spirito. È la rosa dell’amicizia, dell’ospitalità, dell’apertura, e dell’infinito.
La resistenza della poesia, in opposizione all’abbandono della lingua, diventa significativa ogni volta che si libera dell’idea del nemico ed eleva il rapporto con la poesia all’essenziale, nella poesia e nella lingua. Altrimenti, il poeta si trascinerà dietro un’idea che i poeti avevano già sollevato in passato, secondo la quale in poesia non si può dimenticare che questa è, prima di tutto, una ricerca del bello, dell’amichevole e dell’impossibile.

15
L’appel à la promesse, en tant que pensée poétique indispensable à toute existence humaine se présente, aujourd’hui, à partir de la demeure du poème dans l’infini et l’inconnu de la langue. Demeure qui bouge, lentement, dans l’incertain, descendant aux traces cachées de l’hospitalité des langues et des cultures, dans des directions que nous ne connaissons pas a priori. Le poème seul nous renseigne sur elles, dans des coups répétés, écoutant la langue, lieu de l’essentiel, en choisissant les marges et les rivages. Faire durer l’héritage et l’hospitalité est, aujourd’hui, un appel à la promesse. C’est la résistance du poème face à l’abandon de la langue. Chaque fois que nous nous arrêtons devant un mur qui barre le chemin. Par le peu, le menacé, le douteux, le rejeté, l’abandonné, le poète accueille l’un des jours de la poésie, en elle-même, dans l’espace de la langue, lieu païen dont nous n’apercevons les balbutiements que par la transe. De nouveau, dans la solitude, le poète expérimente et se reprend, posant sur le chemin le souffle du chemin.
Ainsi, le poète méditerranéen ne refuse pas le tragique, rocher incontournable du temps de la mondialisation. A l’encontre de ça, il écoute le tragique pour apprendre à nouveau le chemin du poème vers l’appel à une promesse autre de la langue.
L’horizon de l’héritage et de l’hospitalité est l’horizon de l’appel de l’existence. Oui. Que l’héritage de la langue parle dans le poème. Et que l’hospitalité des langues y parle à son tour. Dans les marges et les rivages difficiles à effacer. Là-bas, une autre connaissance du poème, et une autre vérité dans le poème. Un air à l’extrême. Un bruit bas rattrape le poème
 
15
L’appello alla promessa, in quanto pensiero poetico indispensabile a ogni esistenza umana, si presenta, oggi, a partire dalla dimora della poesia nell’infinito e nell’ignoto della lingua. Dimora che si muove, lentamente, nell’incerto, discendendo alle tracce nascoste dell’ospitalità delle lingue e delle culture, in direzioni che non conosciamo a priori. Solo la poesia ci informa su di esse, a più riprese, ascoltando la lingua, luogo dell’essenziale, scegliendo i margini e le rive.
Far durare l’eredità e l’ospitalità è, oggi, un appello alla promessa. È la resistenza della poesia di fronte all’abbandono della lingua. Ogni volta che ci fermiamo davanti a un muro che sbarra il cammino. Con il poco, minacciato, dubbioso, reietto, abbandonato, il poeta accoglie uno dei giorni della poesia, in se stessa, nello spazio della lingua, luogo pagano di cui percepiamo i balbettii solo attraverso la trance. Di nuovo, nella solitudine, il poeta sperimenta e ricomincia, posando sul cammino il respiro del cammino. Così, il poeta mediterraneo non rifiuta il tragico, roccia imprescindibile del tempo della globalizzazione. Contrariamente a questo, ascolta il tragico per apprendere di nuovo il cammino della poesia verso l’appello a una pro- messa altra della lingua.
L’orizzonte dell’eredità e dell’ospitalità è l’orizzonte dell’appello dell’esistenza. Sì. Che l’eredità della lingua parli nella poesia. E che l’ospitalità delle lingue vi parli a sua volta. Nei margini e nelle rive difficili da cancellare. Lag- giù, un’altra conoscenza della poesia, e un’altra verità nella poesia. Un’aria all’estremo. Un rumore basso rag- giunge la poesia.

[Trad. di Marianna Salvioli]

 

Paul Klee, Arab Song, 1934
(Washington D.C., The Phillis Gallery)

 

 

La gioia del danzatore
A Mehdi Qotbi

C'è un inno che si allarga sulla tela
La mano tocca la sua memoria
da vicino da lontano
conduce la calligrafia
verso dove le lettere non si riconoscono più

Giubilo di una mano
che traccia lettere arabe
in forma
di linee erranti
Il desiderio è il loro cammino

Si posa lo sguardo
sulla distesa che esiste
solo nella gioia del danzatore

Una linea dopo l'altra si illumina
il vuoto
da un movimento inaugurale
dove il centro è assenza

L'aria del respiro
Invisibile oscillazione
L'occhio ascolta diluirsi il canto
A poco a poco le forme cambiano lo sguardo Niente sottomissione
 

[Trad. di Marianna Salvioli e Paolo Fabrizio Iacuzzi]

 

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Iniziative
5 marzo 2025
Il testo-natura. Presentazione di Semicerchio 70 e 71, Roma Sapienza.

22 novembre 2024
Recensibili per marzo 2025

19 settembre 2024
Il saluto del Direttore Francesco Stella

19 settembre 2024
Biblioteca Lettere Firenze: Mostra copertine Semicerchio e letture primi 70 volumi

16 settembre 2024
Guida alla mostra delle copertine, rassegna stampa web, video 25 anni

21 aprile 2024
Addio ad Anna Maria Volpini

9 dicembre 2023
Semicerchio in dibattito a "Più libri più liberi"

15 ottobre 2023
Semicerchio al Salon de la Revue di Parigi

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Il saggio sulla Compagnia delle Poete presentato a Viareggio

11 settembre 2023
Recensibili 2023

11 settembre 2023
Presentazione di Semicerchio sulle traduzioni di Zanzotto

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Dante cinese e coreano, Dante spagnolo e francese, Dante disegnato

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Tandem. Dialoghi poetici a Bibliotecanova

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