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DANTE ALIGHIERI, La canzone montanina, a cura di Paola Allegretti, con una prefazione di Guglielmo Gorni, Verbania, Tararà 2001 (Di monte in monte, 16), pp. VIII, 138, € 12,00.

 

In una sede solo apparentemente eccentrica (una  collana interamente dedicata a testi di letteratura di montagna, tale da essere inaugurata dalla petrarchesca lettera sull’ascensione al Ventoso, e diretta  da uno studioso di letteratura comparata come Michael Jakob coadiuvato da Maura Formica), compare questo denso libretto dedicato alla canzone Amor, da che convien pur ch’io mi doglia, altrimenti nota come la montanina («O montanina mia canzon, tu, vai», v. 76). Dovrebbe trattarsi dell’ultima poesia lirica composta da Dante, ormai esiliato, che vi racconta del suo postremo amore per una donna del Casentino («Così m’ha’ concio, Amore, in mezzo l’alpi», v. 61), creatura anti-Beatrice quanto più non si può, sbandeggiata dalla corte di Amore e tale da divenire nella rievocazione fatta da Boccaccio nel Trattatello, attento ad estrarre dal dato topografico valenze folkloriche e antropologiche, un’«alpigiana gozzuta» (la curatrice ha cura di ricordare le porquieras della tradizione occitanica, alle quali si possono a buon diritto affiancare le serranas del versante iberico). Fatto singolare (tanto da non trovare rispondenza nella tradizione manoscritta), anche laddove si tenga presente la propensione dantesca all’autocommento schiva tuttavia della commistione di gramatica e volgare, la poesia è ‘dichiarata’ in un’epistola latina (cui sono dedicate particolari cure) deputata ad accompagnarne l’invio al marchese Morello Malaspina. L’ascesa al testo, retoricamente diffuso nei modi di un ritorno allo stilnovismo di un Dante che pure già aveva attraversato l’esperienza delle petrose (tanto da far pensare a Gorni a un testo arcaico rimesso in circolazione con l’aggiunta della tornada, ma forse si tratta di uno schermo di ironico distacco ‘elegiaco’ – D.V.E. I, i, 5 e 6 – culminante nell’esibita rusticitas montanina e che introdurrebbe magari scalarmente alla lettura ‘comica’ suggerita da Boccaccio?), si compie in due tempi. Dapprima per i sentieri di un fittissimo commento ad verbum, che vede la curatrice declinare uno spettro culturale molto vasto, dalle fonti volgari e latine di Dante (in particolare i riscontri ovidiani dai Tristia potrebbero in definitiva spingerci all’accettazione della cronologia seriore del testo) alle riprese dei suoi epigoni (si chiamino questi anche Petrarca), perché la memoria del lettore di poesia è fatalmente sincronica, anche quando si mette al servizio della diacronia necessaria allo storico della letteratura (alla lista degli epigoni soltanto aggiungeremo lo pseudo-dantesco Iacopo, i’ fui, ne le nevicate alpi per la rima con palpi). Quindi per le tappe di un ‘commentario’ disteso che svolgendosi per nuclei tematici (si segnalano in particolare le digressioni sul rapporto ‘psicometereologico’ tra folgore e visione, e la sottile contiguità tra gli excursus sulla catena d’amore e sul libero arbitrio), combina una dottrina consueta solo alle alte quote della più attendibile esegesi dantesca con una notevole qualità di scrittura, e offre insomma un accesso particolare alla dottrina del testo antico, nel segno di un ‘saper leggere’ fruibile anche oltre i confini della disciplina. Segnaliamo infine che il testo critico della canzone è quello (con anticipo) della monumentale edizione delle Rime per cura di Domenico De Robertis, 5 voll., Firenze, Le Lettere 2002.

 

[F.Z.]

 

 

 

 

La corona di casistica amorosa e le canzoni del cosiddetto ‘Amico di Dante’, a cura di Irene Maffia Scariati, Padova,  Antenore 2002, pp. LXXXV, 368, s.i.p.

 

Nel grande canzoniere Vaticano 3973 una mano diversa dalla principale, forse ancora duecentesca o poco più tarda, è responsabile di due aggiunte ‘organiche’ rispettivamente alla fine della sezione delle canzoni e di quella dei sonetti. Prima copiando la dantesca Donne ch’avete intelletto d’amore, seguita dalla risposta a nome delle donne e da altre quattro canzoni, poi aggiungendo alla fine del codice una ‘corona’ (o Trattato, se si vuole sottolinearne la componente scolasticamoralistica) di 61 sonetti. In entrambi i casi tutti i componimenti sono lasciati adespoti. Michele Barbi e Gianfranco Contini sulla base di una serrata analisi stilistica identificarono in una sola persona l’autore delle due serie (arrivando a suggerirne l’autografia, ma la curatrice referisce parlare di «vicinanza all’autografo »). La risposta alla canzone della Vita Nova, e una serie di riscontri danteschi e cavalcantiani, meritarono all’anonimo l’elegante appellativo di «Amico di Dante» (Contini, mutuandolo dalla pratica in uso per la storia dell’arte), nella consapevolezza tuttavia che questi non può considerarsi in nessun modo uno stilnovista, quanto piuttosto «un settatore» della vecchia «maniera guittoniana, con forti affinità a Chiaro». L’opzione era comunque, data anche la localizzazione del canzoniere, a favore di un fiorentino, tanto che Gorni (da un’ipotesi di Barbi), ne aveva riproposto l’identificazione in Lippo Pasci de’ Bardi. Si tratta insomma, suggerisce maliziosamente la Scariati, del «poeta anonimo meno anonimo del grande canzoniere, con una fisionomia specifica che permette di differenziarlo dai numerosi altri anonimi che hanno lasciato tracce meno cospicue nel codice» (p. XI). Soltanto che il cosiddetto anteposto ad ‘Amico’ nell’intitolazione del volume «annuncia dubbi sull’adeguatezza dell’etichetta ». La curatrice infatti (che ha dedicato alla questione anche due ponderosi interventi – in Studi e problemi di Critica Testuale i.c.s. e in Critica del testo, 4, 2001, pp. 263-303), accumula indizi paleografici, linguistici, intertestuali, metrici e tematici che farebbero pensare a un poeta di area toscana occidentale (molto influenzato dal magistero di Bonagiunta). Ma l’ultima parola non è detta, il giudizio si arresta con perfetta ‘coscienza scientifica’, sulla soglia di un «doveroso non lieu». Rimane che il processo di ‘falsificazione’ delle tesi concorrenti e il lavoro (soprattutto in sede di commento) intrapreso nella nuova direzione si raccomandano come esempio in re di quello che deve essere l’optimum metodologico, un complesso quanto leggibile e redditizio esercizio attorno all’attribuzione. Il volume è completato da un Glossario, e da un’apparato di appendici contenenti una serie di ‘radiografie’ metriche estese anche a diverse zone del canzoniere Vaticano.

 

[F.Z.]

 

 

 

 


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