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SAM HAMILL (a cura di), Poets Againsts the War, New York, Thunder Mouth Press 2003, pp. 263, $ 12,95.

 

La first lady americana non deve aver certo gradito l’omaggio poetico che decine di autori hanno voluto offrirle con questa antologia a lei dedicata, un imprevisto, seppur minore, incidente di percorso nella routine culturale della Casa Bianca. Il curatore Sam Hamill riassume nella prefazione i fatti che all’inizio dell’anno diedero avvio alla protesta di un sostanzioso numero di poeti americani contro l’intervento Usa in Iraq e che, via internet, hanno fatto il giro del mondo. In gennaio Laura Bush invita esponenti della poesia statunitense ad un simposio intitolato «Poetry and the American Voice» da tenersi nella residenza presidenziale il 12 febbraio 2003, una celebrazione ufficiale dell’opera di Whitman, Dickinson e Langston Hughes. Gli inviti raggiungono i destinatari proprio nei giorni in cui il marito dell’ingenua signora e la sua amministrazione annunciano l’attacco «Shock and Awe» in Iraq. Voci di dissenso da parte di alcuni poeti, intenzionati a declinare l’invito, raggiungono la casa Bianca dove si provvede immediatamente a cancellare il progetto perché, comunica il portavoce della Signora Bush, la  first lady crede «che sia inopportuno trasformare un evento letterario in un forum politico». Con una tempestiva lettera ai colleghi poeti, Hamill invita a costituire un movimento Against the War come quello dei tempi del Vietnam e a trasformare il 12 febbraio in una giornata della poesia contro la guerra facendo veramente sentire alla Casa Bianca ‘la voce della poesia americana’. Si invita anche a produrre testi per un’antologia di protesta da presentare a Washington proprio nel pomeriggio in cui il simposio avrebbe dovuto aver luogo affinché fosse chiaro a quella amministrazione che la voce dei poeti non può essere zittita da nessun atto politico. Nel giro di poco è necessario istituire uno specifico website (poetsagainstagainstthewar.org) per far fronte alla marea di poesie che arrivano a Hamill da ben 11.000 autori, poeti di spicco di ogni generazione come pure dilettanti ed occasionali versificatori. Il 12 febbraio si registrano negli Stati Uniti oltre 200 poetry readings; il 17, l’associazione Not in Our Name organizza un secondo round al Lincoln Center di New York a cui partecipano, fra gli altri, Galway Kinnell, Stanley Kunitz e Arthur Miller. Quello stesso giorno il movimento acquista uno spazio sull’edizione nazionale del New York Times per «Un appello alla riflessione» firmato da 24 poeti, fra cui Adrienne Rich, W.S. Merwin, Robert Creely, Ferlinghetti, Robert Bly e Yusef Komunyakaa, dove si chiede all’amministrazione Bush «di fermare la sua avventata corsa verso la guerra, di tener conto delle voci della gente del mondo, e di cercare modi pacifici per risolvere i conflitti in collaborazione con la comunità internazionale». Si dichiara inoltre che il loro dissenso si inscrive nella lunga e ricca tradizione di opposizione morale dei poeti e degli artisti americani alle politiche criminali e insensate, inclusa quella del loro attuale governo. Il 5 marzo viene indetta la giornata internazionale della poesia contro la guerra e si hanno oltre 120 readings in varie parti del mondo;13.000 poesie di protesta vengono presentate ai vari governi, inclusi quello americano, inglese e italiano, mentre il sito dell’organizzazione è visitato da decine di migliaia di persone. A documentare tutto questo fermento e dissenso interno agli Stati Uniti rimarrà l’antologia Poets Against the War, la quale induce a due riflessioni, una politica ed una estetica.

Il volume testimonia che non tutta l’America dell’era Bush ha supinamente sostenuto le strategie egemoniche del suo presidente come i sondaggi e i media, controllati dalla politica, hanno fatto credere impedendo agli stessi americani di valutare le alternative alla guerra preventiva. Il dibattito sulla guerra creata in Iraq non si è mai fermato: c’è stata e c’è un’America diversa da quella ufficiale, poco visibile da questa sponda dell’oceano perché non rappresentata dai mezzi informativi di largo consumo, che in momenti di crisi come quello attuale si dà una struttura e fa sentire la sua voce per riscattare ed affermare i valori della democrazia americana. Da questa necessità è nato appunto poetsagainstthewar.org, come pure lo straordinario movimento MoveOn.org fondato dal giovane newyorkese Eli Pariser, un forum permanente che raccoglie opinioni ed informa attraverso Internet con l’obiettivo di sollecitare la coscienza pubblica su eventi politici di rilievo internazionale.

Quanto ai circa 200 testi dell’antologia, si dovrà ricordare che si tratta di poesia dettata da una causa, di un manifesto politico in forma poetica da leggere secondo parametri extra- etterari. Unico il tema – la condanna di quella che viene definita nella prefazione un’immorale guerra d’aggressione –, spesso espresso in lettere aperte al Presidente e alla sua signora o in note di sostegno a Hamill. Si apprezza la democratica sequenza che vuole gli autori in ordine alfabetico, cosicché si passa dalla voce di alcuni grandi della poesia americana a quella, ad esempio, di un bambino di 7 anni, di un ingegnere informatico dell’Indiana, di un falegname dello stato di Washington, di uno studente in vena rap, di una «persona normale di un posto normale», come si presenta una signora texana. C’è tutta l’America con tutte le sue varietà umane. Ma ci si chiede se la stessa operazione non potesse essere fatta senza il mezzo poetico perché la poesia, anche nei casi migliori, qui non è che un pretesto per esprimere un dissenso. «La poesia», ha scritto Montale, «sia o non sia impegnata nel senso richiesto dalla momentanea attualità, trova sempre la sua rispondenza. L’errore è di credere che la rispondenza debba essere fulminea, immediata». In quest’antologia i contributi più attraenti non sono infatti, a mio avviso, i versi, ma i cosiddetti «Statement of Conscience», ovvero quelle dichiarazioni morali ed appelli alla pace che alcuni autori, come Pinsky, Snodgrass, Kunitz ed altri, offrono in luogo di tradizionali poesie. E le dichiarazioni di un poeta sono tanto più efficaci quanto più grande è il peso culturale di chi le firma.

 

[Antonella Francini]


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