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ANDRÉ DU BOUCHET, Bruchstücke vom Berg für die Landstraße verwendet, traduzione dal francese di Sander Ort, postfazione di Michael Jakob, München, Lyrik Kabinett 2002, pp. 231, € 24,00.

 

 Un volume azzurro con in copertina un ritratto dell’autore di Alberto Giacometti e un titolo che riassume embleticamente il senso dell’opera: «Frammenti di monte utilizzati per la strada provinciale». L’edizione tedesca di un’antologia delle opere di André Du Bouchet – dal primo volume Air del 1953 a Axiales del 1996 – a cura del traduttore Sander Ort e dello  tesso poeta scomparso nel 2001, rappresenta per più di un motivo un evento di particolare importanza, e non solo per l’intrinseca qualità letteraria di un’opera nodale degli ultimi cinquanta anni. La pubblicazione del volume a cura del Lyrik Kabinett di Monaco – con una postfazione di Michael Jakob – assume infatti valenze peculiari proprio se osservata in relazione agli sviluppi della lirica tedesca, in primo luogo per lo stretto rapporto che lega André Du Bouchet  a Paul Celan, rapporto personale e letterario intensificato dalla traduzione ‘reciproca’. Nel 1968 Celan entra a far parte del comitato di redazione della rivista «L’Ephémère», fondata da Du Bouchet assieme a Yves Bonnefoy e Jacques Dupin, e nello stesso anno esce da Suhrkamp la traduzione di Celan del secondo volume del poeta Dans la chaleur vacante (1961) con il titolo Vakante Glut, unica opera di Du Bouchet edita in lingua tedesca prima della presente antologia. Nel 1971 è quindi Du Bouchet a pubblicare poesie di Celan in traduzione francese con il volume Strette. Senza ritornare in questa sede su analisi e valutazioni di queste traduzioni (ricordiamo tra l’altro che le versioni dei lavori di Celan da parte di Du Bouchet sono state a suo tempo oggetto di alcune critiche) è comunque evidente che esse segnalano un legame profondo e uno scambio attivo che ha lasciato significative tracce.

Oltre a riscontrare coincidenze nella concezione stessa dell’operare poetico e del valore da attribuire alla poesia (non a caso il primo numero de «L’Ephémère» si apriva con Il meridiano di Celan) ci interessa rilevare qui la ricorrenza in entrambi i poeti di alcuni elementi chiave, di cose o oggetti – in particolare del paesaggio  – che si pongono come concreti punti di riferimento in un rapporto di tensione poesia-realtà (e storia, in Celan).

L’intera opera di Du Bouchet espone e indaga questa tensione: sulla pagina emergono, interrotti da grandi vuoti bianchi, gli elementi del paesaggio di cui si diceva –  monti e ghiacciai, neve, strada, sole, aria, temporali ecc. –, registrati da un poetaviandante a formare topografie, a delimitare spazi. I puntini di sospensione che spesso introducono i versi sembrano indicare la precarietà di questa ricostruzione topografica, al pari dei vuoti bianchi (o silenzi) che invadono le pagine, ma non è certo un tradizionale ‘ritorno alla natura’ che Du Bouchet propone, come sottolinea Michael Jakob – esegeta e amico dello stesso Du Bouchet, nonché acuto interprete celaniano – nella postfazione. «Auch was hier Natur ist», continua Jakob, «bleibt stets herzustellen, ergibt sich im Zusammenhang von Zeichen»: la tensione tra poesia e realtà di cui dicevamo assume così un carattere costruttivo che si sviluppa nel momento stesso della lettura, ovvero – trasposto sul piano dell’autore – della ‘passeggiata’.

Ed è in questa attenzione ad una costruzione e definizione spaziale – che si dà però come processo, come azione – che si affida a pochi e basilari elementi del paesaggio, che André Du Bouchet viene a incontrare una delle linee più forti della nuova poesia di lingua tedesca – pensiamo in particolare ai lavori di Michael Donhauser e Peter Waterhouse -, una linea nella quale sono già stati inseriti, in qualità di maestri, lo stesso Celan e Andrea Zanzotto. In questo contesto l’uscita  del volume di Du Bouchet permette di aprire – o forse riaprire – un dialogo, di sviluppare un’ulteriore ottica del discorso, riconducendo al contempo il discorso stesso a quelle fondamenta che appaiono oggi tra le più stabili della poesia contemporanea.

 

[Paolo Scotini]


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