« indietro VINCENZO ANANÌA, Noi, Roma, Zone 2003, pp. 111, € 9,00.
Incomincia dalla genesi, Vincenzo Ananìa, per arrivare al prologo, ma epilogo suo proprio proteso verso una consapevolezza serena, gravida di passato. Albori, Dialoghi e Prologo sono infatti le tre sezioni in cui si scandisce la raccolta, tappe esistenziali di un ‘noi’ che è storia privata e collettiva, sintesi di un confronto continuo con altre voci, letterarie, mitiche e soprattutto storiche: storia personale/ universale di familiari e amori, dei e silenzi. Se in Albori si definiscono le origini, si tracciano i confini del ‘noi’ creaturale («...In ciascuno / era un vuoto assoluto, voragine / di cui non si sapeva il fondo, / germogli d’anima appassivano / aggrappati agli orli»), è in Dialoghi che si stabiliscono le modalità di rapporto/confronto, le distanze/vicinanze, simbiosi-risvolto di ineluttabili solitudini: l’«Eppure ci ignoriamo. Ma ti amo» della poesia che titola il libro, il palmo deserto che attende la pioggia: «...Per chi invocare la pioggia? / per la campagna intorno alla sua villa / o sulla creta che in lui già indurita si spacca? / Quanta salute nella nube di passaggio... / La prima goccia è in bilico su un indice / incerta fra l’anima e la terra ». Il Prologo, apparente controtrama di un epilogo rimandato, è l’approdo di molte consapevolezze, il futuro di quell’Ulisse, che «...spenta la sete d’infinito / rinuncia a nuove rotte / e si lascia portare / dal mare / alla terra inesplorata del corpo / scoprendo le verità / degli occhi e dell’udito / i percorsi sereni delle vene / il limo delle rughe l’allegria / del sole filtrato fra le dita». E il salvagente invocato nei versi di Un uomo maturo per le nuove rotte di quell’Ulisse, è la poesia, la compagna, tardiva e fedele di tante ore trascorse allo scrittoio, la poesia/parola da rileggere tutta di un fiato, in una musicale carezza, che forse può essere l’ultima. Dopo la quale è in attesa un nuovo prologo, in una circolarità senza tempo, perché solo «Quando tutte le cicatrici / sono salite in superficie / scopriamo quanto liscio è il corpo / che il sogno custodisce».
Mia Lecomte
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