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POESIA RUSSA E CECA

a cura di Stefano Garzonio

 

 

Poesia e psicodramma in Vasilij Filippov

(dall’inconscio dell’Underground leningradese)

 

Vasja, volate via dall’ospedale psichiatrico Riponete la bambola sul letto e volate. Come se l’aveste detto: mettetecela tutta Ed io aspetto già girando sopra a Neva  Noi, due uccellini fumanti, c’involeremo,Sopra un posacenere di cenere – la Luna

(Elena Švarc - 1996)

 

A Pietroburgo è una serata solitamente fredda di fine gennaio, a casa di V. Krivulin squilla il telefono - risponde Ol’ga Borisovna: è Asja L’vovna, che chiede gentilmente, ma senza molti preamboli, una giacca, un cappotto o maglioni rimasti di Viktor Borisovič. C’è Vasja che non sa come proteggersi dai - 20 gradi perpetui di questi giorni. Il poeta Viktor Krivulin avrebbe offerto volentieri il suo aiuto all’amico Vasja Filippov, ora, dopo la sua morte avvenuta nel marzo del 2001, la moglie Ol’ga Borisovna non esita a mostrarsi disponibile. Bisogna portare il giaccone e qualche altro indumento rimasto di V. Krivulin a Vasja, che tra qualche giorno probabilmente sarà trasferito in un’altra clinica. Asja L’vovna ringrazia.

 

Era Asja L’vovna

La nutrivo di poesie

Di odori di cucina [...]

 

Vasilij Anatol’evič Filippov nasce nel 1955 nella regione di Sverdlovsk, trasferitosi presto a Leningrado, verso la metà degli Settanta entra in contatto con il movimento leningradese della ‘seconda cultura’. All’epoca frequenta il circolo letterario di David Dar, ma per volontà del padre è iscritto alla facoltà di biologia, che presto abbandona per dedicarsi totalmente alla letteratura e alla filosofia. Si arrangia con lavori saltuari di bibliotecario, aiutante nei musei. Scrive prevalentemente in prosa, producendo brevi racconti di stampo surrealista e dei saggi a carattere filosofico- religioso, uno pubblicato tra l’altro sulla rivista letteraria in ‘samizdat’ «37» e dedicato a Vjačeslav Ivanov. Il giovane scrittore, dalla labile personalità e dal carattere molto sensibile, si estranea gradualmente dalla vita reale, immerso nel ‘sottosuolo’ letterario e nello stordimento di uno stile di vita un po’ bohémien e un po’ intellettuale, fatto di piccoli eccessi e di grandi ideali: nulla che lasci pensare però a quel lato oscuro della personalità che divorerà in pochi anni il suo equilibrio psichico.

 

Bevo caffè nella caffetteria

Dopo aver bevuto porto in una bettola

E dopo il porto sto steso sul divano

 

Volevo andare in chiesa

Ma era tardi.

Dicono messa senza di me.

 

Oggi ho trovato lavoro.

Tutt’oggi è stato brutto tempo.

 

Ora non faccio nulla.

Osservo i muri dalla finestra,

Là, dov’è buio

[...]

 

L’anomalia, nella biografia dell’autore, risiede nello stato mentale in seno al quale inizia a scrivere in versi. L’attività poetica di V. Filippov comincia verso la metà degli anni Ottanta, già qualche anno dopo l’aggressione a suo padre, per poco non conclusasi in tragedia, che diviene l’evento fatale determinante il corso futuro della sua esistenza. È questo il motivo per cui V. Filippov, appena venticinquenne, si ritrova recluso in un ospedale psichiatrico.

 

Presto ci sarà l’arresto

mi porteranno nella Grande Casa

che sta dietro l’angolo

[...]

 

Il comportamento paranoico, accompagnato dal progressivo disadattamento sociale non si manifesta in maniera palese. Nei due anni seguenti l’internamento, il poeta coltiva la speranza di poter uscire presto ed intrattiene una intensa corrispondenza epistolare: scrive ad Asja L’vovna e spesso a Viktor Krivulin, che per lui è una sorta di padre spirituale. Nelle lettere racconta della pesantezza dei suoi stati d’animo e sottolinea lo stato di debolezza cui non vuole rinunciare in quanto, come egli dice, gli permette di appartenere alla ‘realtà sensibile’; spesso parla di una depressione che lo porta a cadere nell’insensatezza, attorniato com’è da persone estranee, con cui è impossibile conversare di qualsiasi cosa abbia un valore intellettuale. A renderlo labile contribuiscono inoltre i medicinali e le cure psichiatriche di tradizione sovietica, le quali non fanno che acuire le iniziali patologie. La commissione dell’ospedale, già nel 1982, decide di trattenere Vasilij Filippov, obbligandolo a restare in cura e avviandolo così ad una totale dipendenza farmacologica: da questo momento in poi inizia per lui il percorso verso una irreversibile graduale alienazione.

 

Casa tenebrosa

Il medico-ragno e le mosche malate

Le inservienti di bianco-elefantesche orecchie.

Non emetterai grido.

 

Si versa il nettare del farmaco sulla spina dorsale

E ubriaca la testa abbatte alberi di capelli.

[...]

 

Nel 1983, V. Filippov subisce un nuovo duro colpo psicologico conseguentemente alla tragica scomparsa della madre. Gli resta Asja L’vovna Majzel’, la sua seconda figura materna, con cui può discutere liberamente di ogni argomento, in particolare di letteratura e con cui può leggere e commentare poesia. L’anziana insegnante è l’ultima áncora di realtà capace di offrire al poeta un gesto di umanità, l’unica persona rimasta probabilmente che riesca a proiettare nella memoria del suo allievo parvenze di una normalità e di una sanità mentale troppo offuscate per essere ancora autentiche. Da quasi trent’anni, Asja L’vovna si prende cura del suo ‘figlio adottivo’, proteggendone la dignità di persona e non solo di poeta: è lei il personaggio stilizzato, esaltato, parodiato che spesso appare nei versi di Vasilij Filippov.  

 

Ha telefonato Asja L’vovna

Oggi verrà da me

 

Leggerà i miei versi

E parlerà di tante sante sciocchezzuole

[...]

 

Solo nel tardo autunno del 2002 è uscitain Russia la raccolta di poesie di Filippovedita da «Novoe Literaturnoe Obozrenie», nella collana annuale dedicata alla shortlist del Premio «Andrej Belyj» (Filippov Vasilij. Izbrannye stihotvorenija 1984-1990. Predisl. M. Šejnkera. Moskva, Novoe Literaturnoe Obozrenie 2002, pp. 338). Vasilij  Filippov è risultato vincitore del premio nel 2001, una sorta di riconoscimento per la sua produzione poetica passata. Da oltre dieci anni i suoi versi non sono più pubblicati e negli ultimi tempi il poeta solo sporadicamente si dedica alla scrittura. Nella raccolta, non a caso, compaiono soltanto le poesie appartenenti al primo periodo di produzione (1984-1990), quando la vena scrittoria del poetaè assai prolifica; prima diquesta pubblicazione erano già uscite due raccolte (con una modesta tiratura di cinquecento la prima e di cinquanta copie la seconda), contenenti versi del medesimo periodo degli anni Ottanta. Sotto l’impulso grafomane,in una sorta di delirio poetico,in soli due anni (1984-1986) Filippov produce quasi quattrocento testi. Nell’opera dell’autore è netta la percezione di come viva momenti convulsi e drammatici, dove ad attimi di estrema lucidità si alternano ricadute depressive che lo conducono sul baratro di una nevrosi cronica. Nella psicosi, l’unica via di fuga è la poesia, dove, nelle anonime sagome di una buia ed astratta Leningrado, le suecapacità di osservazione e d’immaginazione prendono  forma in scene fantasmagoriche e in piccole assurdità metafisiche. Nei testi si percepisce l’angoscia del poeta, consapevole del fatto che il suo stato di perenne dormiveglia, sotto l’effetto degli psicofarmaci, erode la possibilità e la speranza nel tempo di lasciare definitivamente l’ospedale: col passare degli anni sempre più raramente V. Filippov uscirà dalla clinica e ogni volta non potrà non tornarvi.

 

Come se non fossi stato nella casa vuota

Dove odora di vernice e di medicinali

Ma il pensiero ricuce

Che tornerò là tra due settimane e sussurra:

«Voltati».

 

E vattene nella palude dove la salvezza

È sbocciata con l’orizzonte.

[...]

 

Insieme alla scrittura, i libri sono l’unica occupazione capace di conciliare lo spirito di V. Filippov con la realtà circostante: trascorre il tempo leggendo, soprattutto testi in prosa e di filosofia. Tra il mondo straniato dei segni letterari e quello del degrado mentale della clinica, il poeta elabora i suoi testi, nell’esigenza di fissare le impressioni quotidiane che affollano le sue percezioni, nitide o narcotizzate che siano, anche di azioni e situazioni insignificanti o di oggetti dimenticati in penombra. La poesia di V. Filippov ha una natura visuale e si esalta nell’artificio di cumuli di figurazioni metaforiche sovrapposte in associazioni libere con la disarmante semplicità di uno stile piano, molto spesso costruito su versi liberi. Nella complessa semplicità si racchiude l’essenza metafisica della scrittura dell’autore; questo rischioso ossimoro, che potrebbe alludere alla componente psicofisiologica della poetica di Filippov, non scade nella banalità e non necessariamente va inteso come sinonimo o sintomo di pazzia. Vasilij Filippov, in veste di uno degli ultimi rappresentanti dell’Underground a Leningrado, è una delle vittime di quel malessere collettivo della cultura non ufficiale, stretta nella morsa della realtà ovattata sovietica, dove ogni espressione autentica dell’individuo resta vincolata alla semilibertà, alla visibilità limitata o all’anonimato. Il poeta somatizza nella sua poesia la sensazione asfittica provocata da un’epoca di ristagno e sembra esprimere i sintomi di una sorta di complesso di secondarietà della sua cultura di riferimento. I versi di V. Filippov, secondo la calzante definizione del critico M. Šejnker, somigliano ad una sorta d’inconscio collettivo della ‘seconda cultura’ leningradese (sinonimo di ‘cultura non ufficiale’, ‘indipendente’, ‘underground’).

 

LA STORIA E LENINGRADO

 

Il poeta in una potenza totalitaria

È un granello di sabbia –

Un topolino –

Trediakovskij.

Storia, dove te ne vai?

Se il marxismo è una bugia,

chi scegli per te come consorte?

Forse, la nostra poesia a Leningrado,  

Le ultime scintille,

 

Gli ultimi luccichii

[...]

 

I versi di Filippov si soffermano talvolta nelle descrizioni cronachistiche di  eventi della cultura non conformista, dacui emergono le immagini stilizzate dei poeti degli anni Settanta e Ottanta più cari all’autore: V. Krivulin, Elena Švarc, S. Stratanovskij, A. Mironov, O. Ohapkin diventano materiale poetico, eroi letterari diluiti nelle colorite rappresentazioni allegoriche e tradotti in personaggi carnevaleschi o quasi fiabeschi. V. Filippov traduce in versi le apprensioni del suo animo in simbiosi con la memoria di un microcosmo culturale prossimo alla estinzione, sullo sfondo della fine dell’Unione Sovietica. Il riflesso del mondo letteraturizzato è alimentato dalle peregrinazioni poetiche attraverso i realia dell’universo leningradese non conformista: i nomi di riviste in ‘samizdat’, di raccolte sconosciute di poesie, di luoghi di ritrovo nella toponomastica metropolitana, sono peculiarità lessicali che definiscono la realtà referenziale del poeta e che contribuiscono ad accrescere la sensazione di riservatezza dei testi. L’ermeticità dei contenuti è aumentata dalla prospettiva decontestualizzata del lettore odierno, che stenta a riconoscere i segni e le singolarità connotanti la vita letteraria tardo-sovietica non ufficiale, ancora oggi non affermatasi pienamente nella coscienza collettiva della cultura russa. Nei versi, V. Filippov trova l’autentica dimensione della sua visione del mondo, incarnando l’immagine romantica e simbolica della follia poetica, uno tra i classici archetipi letterari di Pietroburgo e ne muta la prospettiva ne ‘i poeti e il folle’.

I procedimenti formali sembrano riflettere la personalità dell’autore: molti testi assumono sembianze strofiche allungate oltre modo e non di rado sono fortemente irregolari dal punto di vista metrico e rimico; la frammentarietà interna della composizione testuale, le amnesie sintattiche e le interruzioni ritmiche, in V. Filippov, sono indizi stilistici di un codice linguistico che scivola lungo il limite lacaniano tra schizografia e poesia, dove il lirismo, nel prolisso monologare, anela ad esaurirsi in un silenzio divenuto sempre più enfatico negli ultimi anni.

 

Silenzio, o Signore, Silenzio 

Sui denti si rattrista la gramigna

Senza ritegno

In questo mondo

Ma non sono solo

Con me c’è la mia stanza

E i libri

I grossi tomi

Come fossero case

Dove il buio si cela

La città delle vive missive

Passano per le vie orologi

Portano addosso le croci.

 

Marco Sabbatini

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

– Bondarenko Maria (recenzija) // «Znamja», n. 8, 2001.

– Filippov Vasilij, Gumanizm i hristianstvo / «Tridcat’ sem’», Leningrad, n. 7-8. 1978, pp.206-209 [in SAMIZDAT].

– Filippov Vasilij, Izbrannye stihotvorenija 1984-1990. Predisl. M. Šejnkera. Moskva,

Novoe Literaturnoe Obozrenie 2002, pp. 338.

– Filippov Vasilij, Stihi // «Arion», n. 2, 1994, pp.78-81.

– Filippov Vasilij, Stihi. // «Volga», n. 5-6, 1992, pp. 22-29.

– Filippov Vasilij, Stihi «Iz Bol’niènoj tetradi» // «Zerkalo», n. 19-20, 2002, pp. 7-10.

– Filippov Vasilij, Stihi. SPb., Associacija Novoj Literatury, 1998, pp. 144.

– Filippov Vasilij, Stihi // «Vestnik Novoj Literatury», n. 4 - 1992, pp. 89-103.

– Intervista con Mihail Šejnker: di Marco Sabbatini, Mosca, 19.03.2003.

– Ivanova Svetlana, Nekotorye aspekty izobra enija flory i fauny v proizvedenijah poètov «vtoroj kul’tury». (Elena Švarc, Vasilij Filippov, Sergej Stratanovskij) // Istorija

Leningradskoj nepodcenzurnoj literatury, Dean, Sankt-Peterburg, 2000 pp.127-136.

– Majzel’ Asja, L. Iz «Rasskaza o Vase Filippove (Pis’ma i stihi). // «Vestnik Novoj Literatury», n. 8, 1994, pp. 161-188.

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– Šubinskij Valerij (recenzija) // «Novaja russkaja kniga», n. 6, 2001.

– Urickij Andrej, Peterburgskie sny // «Znamja», n. 1, 1999.

 

 

 

 

Dalle caldaie di Pietroburgo.

I versi di Aleksandr Mironov tra metafisica e gnosticismo

 

E nostro Signore è di nuovo commestibile

In noi il Verbo dissemina,

Ma il verbo trova la carne,

E la carne gioisce.

(A. Mironov - 1978)

 

 

Il volto emaciato e la voce flebile, la pupilla lucida, l’espressione malaticcia che fissa negli occhi oltre modo e scruta l’indiscrezione altrui: l’aspetto di Aleksandr Nikolaevič Mironov è composto, tipicamente intellettuale nel senso più pietroburghese del termine, ma i modi compunti, riflesso di un carattere riservatissimo e suscettibile, lasciano emergere anche il lato ‘non conformista’ della sua inestricabile personalità, e qui nel senso più leningradese dell’attributo. Calandosi nelle vesti di personaggio ‘diverso’, egli è anche poeta blasfemo, imprevedibile, impalpabile nel suo assorto e anonimo meditare: è uno di quei poeti di cui per anni si può tranquillamente non sentir parlare, che con grande semplicità scompare dall’attenzione del mondo letterario, ma che con altrettanta disinvoltura è capace di riapparire e senza proclami riproporsi al lettore contemporaneo, provocando nel migliore dei casi un dovuto sgomento.

Nato il 28 febbraio 1948, A. Mironov appartiene alla generazione di autori russi figli del dopoguerra e cresciuti nell’era post-staliniana. Nella primavera del disgelo politico e culturale dei primi anni Sessanta, al pari di molti altri giovani poeti, usava recitare i suoi versi ai conoscenti, nelle spontanee riunioni in biblioteca, nell’atelier di qualche artista o nella cucina di qualche piccolo appartamento. Il luogo demandato a punto d’incontro privilegiato, anche per lui, era al centro di Leningrado, di fronte alla Biblioteca Nazionale, lungo la breve e famosa via Malaja Sadovaja, dove ci si radunava a bere caffè al distributore automatico o lì accanto ci si fermava al «Sajgon», il rinomato locale dove si davano appuntamento boèmien, intellettuali ed artisti di vario genere. Negli anni Sessanta, i testi di Mironov circolano e trovano apprezzamento solo tra pochi conoscenti, in particolare tra i poeti e gli artisti della «Malaja Sadovaja» tra cui V. Èrl’, T. Bukovskaja, N. Nikolaev, E. Zvjagin, A. Gajvoronskij ed altri autori prosecutori delle avanguardie russe, in particolare di Velemir  Hlebnikov e degli «Obèriuty». A. Mironov, già messosi in evidenza col suo parodiare tra i «Helenukty» (una compagnia di artisti creata da Vladimir Èrl’, in cui si esaltava lo sperimentalismo poetico delle avanguardie di matrice scherzosa e assurdista alla Harms), subisce l’influenza della poesia di N. Zabolockij, già a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta: a tal proposito è importante sottolineare il ruolo di diffusione della poesia di N. Zabolockij svolto dal poeta Leonid Aronzon, personalità di rilievo legata agli autori della «Malaja Sadovaja». Verso la seconda metà degli anni Settanta, le poesie di Aleksandr Mironov, grazie alle riviste in ‘samizdat’, sono accolte da un pubblico sempre più vasto e si diffondono ben oltre i confini di Leningrado, a Mosca ed in provincia. È questo il periodo in cui il poeta raggiunge la maturità artistica oltre ad un certa fama. Agli inizi degli anni Ottanta, il suo nome è tra i più in voga negli ambienti della letteratura non conformista: nel 1981 riceve il Premio «Andrej Belyj» per la poesia ed è al centro dell’attenzione della critica e delle discussioni con altri poeti leningradesi: è rimasta famosa la serata di poeti del «Klub-81», nel 1982, in cui prese vita, animata dal poeta Sergej Stratanovskij, una vivace disputa sui motivi religiosi nell’opera di A. Mironov, come è rimasta nella memoria del ‘samizdat’ («Obvodnyj Kanal» n. 4. 1983) la serata di poesia di A. Mironov al Museo Dostoevskij, del 29 marzo del 1983.

Davanti ai grandi cambiamenti storici, politici e sociali alla fine degli anni Ottanta e dell’ultimo decennio del ventesimo secolo in Russia, la cultura non ufficiale scompare e il poeta Aleksandr Mironov sembra volersi rifugiare con essa tra le righe dimenticate di un recente passato. Nella realtà letteraria post-leningradese, egli continua a vivere in maniera anonima, tra il suo appartamento nel cuore di Pietroburgo e il lavoro nell’impianto di una caldaia a gas, in quella che era definita una delle classiche occupazioni degli intellettuali della ‘seconda cultura’. Bisogna ricordare che molti dei maggiori rappresentanti della non ufficialità, in Unione Sovietica, lavoravano come bibliotecari o come custodi negli androni, nei cortili, nelle fabbriche, nei parcheggi, e appunto nelle caldaie: sceglievano modeste occupazioni ai margini della società sovietica, che gli potessero garantire uno status, permettendo loro di avere oltre ad un’attività minima di sostentamento materiale, anche la libertà e il tempo necessari per dedicarsi pienamente all’attività letteraria. Nel caso di Aleksandr Mironov il profilo antropologico del poeta nel microcosmo urbano di Leningrado- Pietroburgo è tipicamente da letterato ‘del sottosuolo’, da poeta volutamente autoemarginato. Tale condizione, che lo relega fuori anche dalle odierne logiche editoriali, di visibilità e di produzione letteraria, permette al poeta di continuare a proporre una poesia del tutto originale, tesa in un dialogo provocatorio ricco di quesiti esistenziali, non identificabile con le tendenze più in voga del postmodernismo russo. Per tale ragione, i suoi versi del primo periodo, appartenenti all’universo storico-culturale sovietico, al pari di quelli più recenti, restano attuali e vividi, capaci come sono di comunicare il turbamento vivo del poeta.

 

Cantano gloriose le genti sovietiche

Inebriate, ubriache, di sbronze a volontà

«bacio» gridano, e l’un l’altra si baciano,

sulle calde labbra ricolme di sangue,

con il loro bacio rovente di partito.

Io solo porgo attenzione a tale baldoria

Accovacciato in silenzio nella cuccia del cane

Gli alberi cosparsi di tristi perline

La notte su di me è un abisso immortale

Davanti a me la morte - sollazzo degli immortali.

 

(1973)

 

 

Ai motivi escatologici, alle riflessioni esistenzialiste, si sovrappongono i procedimenti dell’assurdo, l’‘obèrjutstvo’, la parodia, ma anche una lingua che deve molto all’Acmeismo russo. Queste caratteristiche della poetica di Mironov riemergono anche negli ultimi cicli di poesie, che dopo anni di attesa sono finalmente accessibili al lettore nel nuovo volume edito di recente in Russia da Inapress (Mironov Aleksandr, Izbrannoe. Stihotvorenija i poèmy 1964-2000, Sankt-Peterburg, Inapress 2002, pp. 384). Nell’autunno del 2002, di seguito all’uscita della raccolta, a San Pietroburgo è stata organizzata una serata al Museo «Anna Ahmatova », in cui l’autore è tornato in pubblico a declamare i suoi versi, presentato da altri due poeti pietroburghesi contemporanei, l’editore Nikolaj Kononov e il critico Valerij Šubinskij. Nell’odierno universo letterario russo, la relativa fama passata e l’indiscutibile talento non sono certo una condizione sufficiente per essere al centro delle attenzioni della critica, questo ritorno di Mironov sulla scena letteraria è tuttavia un segno importante per la cultura poetica contemporanea. Fino allo scorso anno, circolava in pochi esemplari soltanto una raccolta di poesie dell’autore: Metafizičeskie radosti (Gioie metafisiche), libro apparso nel 1993. Nel nuovo volume, venuto alla luce grazie alla dedizione delle persone amanti la poesia di Mironov, tra cui la poetessa Elena Švarc, che compare in veste di redattore, per la prima volta sono riuniti i testi già pubblicati e prodotti a partire dai primi anni Sessanta, insieme a quelli composti nei secondi anni Ottanta e Novanta, sino agli albori del nuovo millennio. La raccolta, nonostante resti volutamente incompleta, giacché non include molte poesie del primo periodo, offre un’ampia visuale dell’evoluzione letteraria di Mironov e consente di rintracciare le vie maestre lungo cui si dipana il discorso metafisico del poeta.

La musicalità è la caratteristica estetica fondamentale dei testi, ma le fonti ispiratrici il poeta sono prevalentemente la filosofia russa del secolo d’Argento, le arti figurative novecentesche, in particolare la pittura ed il cinema (soprattutto italiano, francese e polacco). L’ultimo dei dieci cicli di poesie inclusi nella raccolta, porta non a caso il nome di «Kinematograf» («Il cinematografo») e rappresenta il corpus principale dei testi degli anni Novanta. Rimangono di grande rilievo oltre alle poesie del periodo 1974-1982, il ciclo «Eπoχή» (1964-1969) e «Gnostičeskij cikl» (1969-1974). Da Dostoevskij a Faulkner, a Robbe-Grillet, attraverso Mandel’štam, Kuzmin, Zabolockij e la poesia polacca contemporanea, è arduo poter individuare tutti i maggiori referenti letterari della poesia di Mironov. Di fronte alle più sofisticate definizioni e classificazioni che lo vorrebbero incluso in una scuola poetica o una tradizione di pensiero piuttosto che un’altra, A. Mironov risponde sempre acconsentendo, oppure nel mai diretto dissenso, lascia trapelare giusto un accomodante sorriso. I componimenti del poeta vivono di raffinati rimandi allitteranti e, saturi come sono di complesse metafore, sanno generare un’impressione di ricchezza ed armonia linguistica; la sua è una poesia mentale, che sfocia talvolta nella transmentalità e non può essere puramente ‘lirica’. Il misticismo e la metafisica dell’Anticristo di Vladimir Solovev,  la filosofia di Kierkegaard, Focault, Losev, la figura dell’idiota di Dostoevskij, e soprattutto il pensiero di Pavel Florenskij sono tutti elementi determinanti la formazione intellettuale del poeta che riemergono nei versi. P. Florenskij gli è caro soprattutto riguardo al concetto di ‘nuovo medioevo’, periodoin cui, secondo lo stesso Mironov, si troverebbe coinvolto l’uomo contemporaneo.

 

 

IL NUOVO MEDIOEVO

 

Cosa c’è là davanti? Il brolo o solo gl’inferi?

Il centro del vulcano? I piattini volanti?

I morti ci trascinano indietro,

supplicando, convincendoci a voltarci

[...]

 

(1992?)

 

Molto spesso nei testi, l’io del poeta compare in una vesta ironica, velatamente tragica o maledetta: la profanazione dei temi religiosi, del sacro, della preghiera in poesia che si muta in orrore metafisico, sono gli aspetti caratterizzanti lo gnosticismo pregnante di gran parte della sua produzione.

 

Alla mia finestra arrugginisce l’autunno

E nelle stanze riscaldano da star male;

Il mio vicino sussurra: «la Gnosi, la Gnosi»

E accumula il miele vischioso della conoscenza

 

(1974)

 

Tra gnosi e gnosticismo si evolve la trama poetica: il lessico che attinge all’universo cristiano della conoscenza mistica e alla dogmatica ortodossa crea attriti e scarti semantici fondendosi spesso con rimandi diretti o metaforici al simbolismo erotico. In molti versi compaiono sembianze androgine a sottolineare la presumibile natura neo-barocca della poetica dell’autore (famoso è il componimento Osen’ androgina L’autunno dell’androgino – del 1978). Il linguaggio poetico di Mironov, attraverso una componente dissacrante ed eretica, assume a procedimento la decostruzione parodiata del codice religioso: la semantica del peccato, dell’apocalisse, fanno della sua poesia uno spazio sperimentale lingustico-liturgico, che vive di una insostenibile leggerezza ritmico-eufonica. Nello schema metrico Mironov non apporta grandi novità: egli si fa maestro di sintesi della tradizione ritmica russa novecentesca mostrando un grande eclettismo nella composizione, qualità distintiva anche altri dei maggiori poeti pietroburghesi della sua generazione. Le associazioni di senso passano spesso attraverso un riso carnevalesco, nel senso bachtiniano del termine, che non si manifesta nella piazza, bensì di fronte al tempio (secondo la definizione di Evgenij Pazuhin), e si muta da un’originaria dionisiaca gioia terrena, in un riso coinvolto nel dolore metafisico, che degenera in grida di sofferenza, di delirio, sfruttando il motivo cristiano-ortodosso dello jurodstvo (la veggente pazzia di un mentecatto di chiesa).

 

[...]

Riso che soffri nella danza dei dervisci

Io – tuo Giuda, il tredicesimo amico.

Fammi dono di un capestro di canapa

Dio mio, riso che mi rinneghi!

 

(1973)

 

 

Attraverso il grottesco religioso, il personaggio-Mironov manifesta la sua consapevolezza di fronte alla ‘Verità’ dell’uomo e sull’uomo, confusa irrimediabilmente nel linguaggio e nell’io del poeta.

 

Io non racconto più bugia

ugia

già

à

?

Io – divenuto improferibile

 

(1965)

 

 

Marco Sabbatini

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

– Avtorskij večer A. N. Mironova v muzee Dostoevskogo // «Obvodnyj kanal» (literaturno-kritičeskij žurnal) n. 4, Leningrad, 1983, pp. 252-265 [in SAMIZDAT].

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– Érl’ Vladimir, Kniga Helenuktizm, Prizma- 15, Sankt-Peterburg, 1989.

– Intervista con Aleksandr Mironov e Elena Švarc: di Marco Sabbatini, San Pietroburgo 02.11.2003.

– Intervista con Nikolaj Nikolaev: di Marco Sabbatini, San Pietroburgo, 03.03.2003.

– Krivulin Viktor, Peterburgskaja spiritual’naja lirika včera i segodnja (K istorii neoficial’noj poèzii Leningrada 60-80-h godov) // Istorija Leningradskoj nepodcenzurnoj literatury, Dean, Sankt-Peterburg, 2000, pp. 99-109.

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– Pazuhin Evgenij, V poiskah utračennogo begemota (O sovremennoj leningradskoj religioznoj poèzii) // «Beseda», n. 2, Leningrad-Pariž, 1984, pp. 132-163.

– Zubova Ljudmila, Sovremennaja russkaja poèzija v kontekste istorii jazyka. Novoe literaturnoe obozrenie, Moskva, 2000, pp. 51-53.

Zvjagin Evgenij, Pis’mo lučšemu drugu. Sankt-Peterburg, 1995.


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Iniziative
19 settembre 2024
Biblioteca Lettere Firenze: Mostra copertine Semicerchio e letture primi 70 volumi

19 settembre 2024
Il saluto del Direttore Francesco Stella

16 settembre 2024
Guida alla mostra delle copertine, rassegna stampa web, video 25 anni

21 aprile 2024
Addio ad Anna Maria Volpini

9 dicembre 2023
Semicerchio in dibattito a "Più libri più liberi"

15 ottobre 2023
Semicerchio al Salon de la Revue di Parigi

30 settembre 2023
Il saggio sulla Compagnia delle Poete presentato a Viareggio

11 settembre 2023
Presentazione di Semicerchio sulle traduzioni di Zanzotto

11 settembre 2023
Recensibili 2023

26 giugno 2023
Dante cinese e coreano, Dante spagnolo e francese, Dante disegnato

21 giugno 2023
Tandem. Dialoghi poetici a Bibliotecanova

6 maggio 2023
Blog sulla traduzione

9 gennaio 2023
Addio a Charles Simic

9 dicembre 2022
Semicerchio a "Più libri più liberi", Roma

15 ottobre 2022
Hodoeporica al Salon de la Revue di Parigi

13 maggio 2022
Carteggio Ripellino-Holan su Semicerchio. Roma 13 maggio

26 ottobre 2021
Nuovo premio ai traduttori di "Semicerchio"

16 ottobre 2021
Immaginare Dante. Università di Siena, 21 ottobre

11 ottobre 2021
La Divina Commedia nelle lingue orientali

8 ottobre 2021
Dante: riletture e traduzioni in lingua romanza. Firenze, Institut Français

21 settembre 2021
HODOEPORICA al Festival "Voci lontane Voci sorelle"

11 giugno 2021
Laboratorio Poesia in prosa

4 giugno 2021
Antologie europee di poesia giovane

28 maggio 2021
Le riviste in tempo di pandemia

28 maggio 2021
De Francesco: Laboratorio di traduzione da poesia barocca

21 maggio 2021
Jhumpa Lahiri intervistata da Antonella Francini

11 maggio 2021
Hodoeporica. Presentazione di "Semicerchio" 63 su Youtube

7 maggio 2021
Jorie Graham a dialogo con la sua traduttrice italiana

23 aprile 2021
La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

22 marzo 2021
Scuola aperta di Semicerchio aprile-giugno 2021

19 giugno 2020
Poesia russa: incontro finale del Virtual Lab di Semicerchio

1 giugno 2020
Call for papers: Semicerchio 63 "Gli ospiti del caso"

30 aprile 2020
Laboratori digitali della Scuola Semicerchio

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